Nel 2018 vede la luce il secondo lungometraggio del regista del Michigan Rob W. King, Distorted, che ha come protagonisti due grandi interpreti, Christina Ricci e John Cusack. Il film è una sorta di thriller con venature sovrannaturali legate alla manipolazione della mente umana attraverso l’uso dei cosiddetti messaggi subliminali, ovvero informazioni, solitamente pubblicitarie, che il cervello di una persona assimilerebbe a livello inconscio. Il sapore complottista della pellicola la rende senz’altro accattivante, senza certo urlare al capolavoro, e l’ottima prova dei due interpreti, ed anche del resto del cast, ci regala un buon intrattenimento col quale passare un’oretta e mezza.

Lauren ed il marito Russell abitano in un grande appartamento nel centro di una caotica metropoli americana, dove si intuisce che la donna abbia subito una qualche sorta di trauma. Ella è spesso colta da veri e propri attacchi di panico, convinta che uno sconosciuto sia in casa sua e la minacci con un’arma. Nonostante sia in cura da una psicologa, la giovane non accenna a stare meglio, così il premuroso consorte decide di cercare un nuovo appartamento dove andare a vivere, lontani dai brutti ricordi. Le sue ricerche li porteranno ad un bellissimo e modernissimo alloggio in un grande e tecnologico centro residenziale conosciuto come Il Pinnacolo a causa della sua curiosa forma svettante. L’edificio si erge solitario in mezzo alla campagna, lontano dal caos e dal rumore cittadini, ed è dotato di ogni confort e di tutte le più sofisticate tecnologie per garantire la sicurezza dei residenti. Una volta giunti ad abitare lì, la serenità dei due coniugi avrà però breve durata. Le crisi paranoiche di Lauren si acuiscono, tanto da convincersi che qualcuno stia cercando di manipolare la sua mente attraverso messaggi subliminali audio e video che però solo lei sembrerebbe recepire. Il marito prende la decisone di farla ricoverare di nuovo in casa di cura, ma la conoscenza con un teorico della cospirazione, Vernon Sarsfield, farà capire a Lauren di essere tutt’altro che pazza.

L’attrice californiana Christina Ricci, volto storico della prima Mercoledì Addams cinematografica, che qui sfoggia un insolito caschetto biondo, ha toccato praticamente tutti i generi possibili ed immaginabili dando sempre un grande apporto alle pellicole che la vedono tra gli interpreti. La ricordiamo ad esempio ne Il Mistero di Sleepy Hollow di Tim Burton (1999), Monster di Patty Jenkins (2003), Cursed – Il maleficio di Wes Craven (2005), After.Life di Agnieszka Wojtowicz-Vosloo (2009) e Bel Ami – Storia di un seduttore di Declan Donnellan e Nick Ormerod (2012), giusto per avere un’idea del suo incredibile eclettismo. Al suo fianco, in un ruolo minore ma sicuramente di spicco, il versatile John Cusack, attore americano che nella sua lunga carriera ha dimostrato di saper passare senza il minimo problema dall’horror al thriller, dalla commedia romantica al drama, venendo diretto da registi del calibro di Rob Reiner, Woody Allen, Clint Eastwood, Roland Emmerich, David Cronenberg e Spike Lee. I due attori riescono bene a dar vita ai propri personaggi: la Ricci è Lauren, donna insicura che ha subito un grave lutto e che non riesce più a fidarsi di nessuno, neppure del marito e della sua psicanalista, e cerca risposte online, per qualcosa di cui è però già fermamente convinta, sebbene il mondo intorno sembri prenderla per pazza; Cusack è invece Vernon Sarsfield, hacker cospirazionista esperto in materia di esperimenti militari includenti il lavaggio del cervello e la manipolazione mentale, che non farà che dare concretezza e prove scientifiche ai sospetti della giovane che entra in contatto con lui, portandola alla risoluzione finale dell’enigma. Ad affiancare questa ottima coppia troviamo l’attore canadese Brendan Fletcher, nei panni del marito di Lauren, Russell, e l’americano Vicellous Reon Shannon, in quelli del vicino di casa Phillip Starks. Fletcher è un volto già noto agli appassionati di cinema di genere per aver preso parte a titoli quali la saga di Licantropia (Ginger Snaps), Freddy vs. Jason (Ronny Yu, 2003), Alone in the Dark e Rampage  (Uwe Boll, 2005 e 2009).

Distorted può essere definito un thriller psicologico ad alto contenuto tecnologico e decisamente paranoico, e come tale agisce fino alla fine e senza grosse scosse o sorprese, sebbene non risulti mai né banale né noioso e svolga egregiamente il suo compito di intrattenere con tensione. Il disturbo della bipolarità è portato in scena con gran classe dalla Ricci, che dà corpo ed espressione a tutte quelle persone che ne sono purtroppo affette e devono fare giornalmente i conti con chi le guarda come se fossero da internare da un momento all’altro. Lauren non si fida di sé stessa, delle proprie percezioni, ed è ogni giorno soggetta ad una continua lotta tra illusione e realtà, tra paranoia e lucidità, tra autosuggestione e fobie inconsce mai superate, il tutto condito da pesanti dosi di psicofarmaci che sembrano ottenebrarle la mente. Il Pinnacolo, grande palazzo hi-tech dotato di tutti i confort e della massima sicurezza, in realtà non dà assolutamente nessuna buona vibrazione a guardarlo, né fuori né dentro, nonostante il suo lusso ostentato, e così nemmeno coloro che vi lavorano, che si capisce subito essere asserviti a qualcosa di ben più grande. Gli inquilini, poi, sono lasciati tutti volutamente ambigui, in una specie di Rosemary’s Baby moderno dove tu stesso cerchi di capire di chi puoi fidarti e di chi no.

Insomma, non è certo un filmone memorabile, questo Distorted, ma ha una buona fattura, ed il materiale e le idee a disposizione sono ben gestiti ed amalgamati nel disegno complessivo. La regia di King è solida, l’atmosfera squisitamente claustrofobica, la trama piuttosto originale, il senso di suspense e di mistero sempre presenti, e la fotografia, soprattutto all’interno del Pinnacolo, minimale ed algida al punto giusto. Certo i difetti non mancano, ad esempio Cusack poteva essere sfruttato meglio e di più, ed il finale un po’ più sviluppato e meno tirato via, soprattutto cercando di dare maggior concretezza alla persona ed alle cause che stanno dietro al piano criminale nel quale si è ritrovata suo malgrado la povera Lauren. Ma il misto di mistero, allusioni, ipotesi e complottismo salva una sceneggiatura non totalmente convincente e ci rende un prodotto, come già detto, piuttosto accattivante e godibile, anche se (e forse meglio) senza alcuna grossa pretesa. Lo spettatore rimane sempre all’erta a causa delle molte domande aperte continuamente, alle quali vengono però date poche risposte dosate col contagocce, in modo tale da non far mai cadere l’attenzione, costruendo un’atmosfera tesa e sinistramente inquietante. Anche il fatto che fino a pochi minuti dalla fine non venga spiegato quale sia il trauma nel quale è incorsa Lauren, ma solo suggerito, non può che far aumentare la curiosità di giungere in fondo ed avere finalmente una risposta ai nostri mille dubbi e domande.

Come spesso è accaduto nella storia del cinema, è la celere incursione del progresso nelle nostre vite a fare realmente paura: il rapido avanzare della tecnologia, che viene presentato come il modo per migliorare il nostro status, si mostra in realtà come l’ennesima manifestazione dell’atavica contrapposizione dell’uomo alla macchina, della creatura al suo creatore. La macchina, che serve per darci benessere, in realtà ci rende schiavi, non riusciamo più a farne a meno, fino ad esserne totalmente assoggettati, schiacciati, manipolati fin negli antri più reconditi delle nostre menti. La casa iper tecnologica, in cui Lauren andrà ad abitare per scappare dalle sue paure e lasciarsi alle spalle la sua malattia e la sua insicurezza, dovuta ai traumi vissuti, si trasformerà in un’inquietante prigione da incubo che sembra perseguitarla e negarle ogni speranza di guarigione e di un futuro finalmente sereno.

Strizzando l’occhio, nemmeno tanto velatamente, oltre che al suddetto Rosemary’s Baby anche ad altri classici del complottismo quali L’Inquilino del Terzo Piano ed Essi Vivono, ma anche all’argentiano Suspiria, King porta in fondo un film debitore di tutto un filone di cinema distopico – subliminale che suggerisce molto ma mostra poco, permeando ogni angolo dello svettante edificio hi-tech di un opprimente senso malefico e insicuro, puntando sull’implacabile labilità tra realtà e follia, che porta il regista a regalarci un buon film fatto di complottismo e di tensione senza andare però a cercare nessun tipo di concretezza socio-politica. La paranoia, il perturbante, l’inquietudine: questi gli ingredienti principali di Distorted. Accomodatevi pure, ne vale la pena.

https://www.imdb.com/it/title/tt6143850


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