Drive my car: come trasformare un libro di quaranta pagine in tre ore di cinema

Tratto da una storia breve di Haruki Murakami (solo quaranta pagine), Drive my car è un film di Ryusuke Hamaguchi.

Vincitore della Palma per la migliore sceneggiatura al Festival di Cannes, con un cast comprendente Hidetoshi Nishijima, Toko Miura, Masaki Okada e Reika Kirishimasi concretizza in tre ore di visione che potrebbero spaventare sulla parola il ragionier Fantozzi ben più della mitica corazzata Potemkin, ma i cui troviamo, invece, l’essenza del cinema d’autore giapponese.

Un cinema che può ben legarsi a colleghi di Hamaguchi come Kore-eda, Kyoshi Kurosawa e altri contemporanei. Un lungometraggio che sceglie di raccontarci una storia all’apparenza basata su un classico tradimento, ma che presto scopriamo essere, in realtà, il modo con cui il protagonista e sua moglie riuscivano nella realizzazione dei loro lavori teatrali. Perché Kafuku è un attore e regista teatrale e il film ci introduce i personaggi attraverso lungo prologo che, poi, spinge lo spettatore a cercare di comprendere meglio la vicenda. Un tradimento, appunto, scoperto per caso o, almeno, così crediamo, a causa di un ritardo dell’aereo che doveva portare il protagonista ad un festival teatrale in Russia. Un tradimento che lui non svela alla moglie, fingendo di essere già arrivato alla kermess, mentre si trova ancora nella città di partenza. Al suo ritorno cerca di riconquistare l’affetto della consorte, e questo illude lo spettatore che, forse, si trattava solo di una mancanza di attenzione; ma, di lì a poco, l’improvvisa scomparsa di lei a causa di una emorragia cerebrale ci proietta direttamente a due anni dopo, con i titoli di testa.

Da qui prende avvio il vero racconto, con la scelta di Kafuki di accettare di dirigere Zio Vanja di Anton Pavlovič Čechov, un lavoro teatrale per un festival di Hiroshima. La Hiroshima dove Kafuku conosce Misaki, una giovane silenziosa incaricata di fargli da autista e di guidare la sua macchina, una Saab 900 rossa.  Durante i loro viaggi e la preparazione dello spettacolo Hamaguchi gioca con Čechov, trasforma la storia breve di Murakami in una lunghissima analisi del linguaggio sull’amore, sul come ci si rapporta tra le persone. E Drive my car, sicuramente, divide il pubblico in chi, magari, a causa delle proprie limitate conoscenze cinematografiche non saprà apprezzarlo, a chi, invece, convinto dal suo enorme bagaglio culturale cercherà di comprenderlo senza, probabilmente, riuscirci. Ma una cosa è certa: si tratta di tre ore in fotogrammi che vi faranno riflettere sui vostri rapporti con la vita e le relazioni, rivelandosi più utili di un cinecomic Marvel o DC che si dimentica subito dopo l’uscita dalla sala. Tre ore in fotogrammi in cui scoprire qualcosa di diverso che viene trasmesso attraverso l’uso di tanti linguaggi, perfino di quello dei gesti (con la scelta di un’attrice sordomuta).

 

 

Roberto Leofrigio