E’ LA VOCE DI TANTISSIMI PERSONAGGI DEL CINEMA E DELLA TV: SI CHIAMA MINO CAPRIO E LA NOSTRA SARA VIVIAN E’ ANDATA AD INTERVISTARLO!

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In concomitanza dell’uscita nelle sale Italiane del film “Ted 2”, oggi intervisto per voi amici e lettori di Mondospettacolo.com la voce che sta dietro l’irriverente e adorabile orsacchiotto: Mino Caprio, famoso e storico doppiatore Italiano, voce di molti personaggi che hanno fatto parte della storia del Cinema e della televisione. Da “La tata” (voce di Niles, il maggiordomo) a “Harry Potter” (voce di Arthur Weasley) da “Star Wars” (C3PO) a “I Griffin” (Peter) e i “Muppets” (Kermit); potrei davvero continuare a lungo, ma esiste Wikipedia per leggere tutti i lavori fantastici a cui ha preso parte, mentre oggi voglio scoprire qualcosa di più su questa inimitabile Voce.

Ciao Mino, è un vero onore averti qui con noi e poterti intervistare per Mondospettacolo. Ti chiedo subito com’è nato l’amore per la recitazione?

Nasce attraverso la visione degli sceneggiati tv relativi alla prosa che andavano in onda su Rai 2 il venerdì e la domenica sera ed erano tratti dai capolavori della letteratura italiana e straniera, quindi spettacoli teatrali con regia televisiva Anton Giulio Majano, Sandro Bolchi, Edmo Fenoglio ecc. Vedendo questi grandi attori e attrici di prosa, che potevo vedere anche a teatro, mi sono completamente innamorato di questo mondo.
L’Orlando furioso di Ronconi, mancato quest’anno peraltro, mi colpì moltissimo per i personaggi che salivano su delle pedane con sotto delle ruote, che venivano spostati dagli attrezzisti e il pubblico, coinvolto, si spostava in mezzo agli attori in movimento.

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Come ti sei avvicinato al mondo del doppiaggio e, soprattutto, perché?

Io nasco come attore teatrale, con “Sogno di una notte di mezza estate” nel ruolo di Teseo, all’ultimo anno di liceo classico. Il primo anno di Università richiamai parte della compagnia teatrale del liceo insieme ad altri nuovi giovani e misi nuovamente su, questa volta come regista e adattatore del testo e delle musiche “Sogno di una notte di mezza estate”. Era il 1975.
Il doppiaggio mi ha sempre affascinato: cercavo personalmente i nomi dei doppiatori, che erano poi attori di teatro: le voci erano ormai diventate a me famigliari e li riconoscevo quando facevano prosa in tv o a teatro in carne e d’ossa, identificandone il nome.
Una mia amica poi mi disse che conosceva un direttore della CVD, Carlo Baccarini. Notarono che c’era qualcosa nella mia vocalità che era sfruttabile e iniziai i primi turni con loro. Da lì mi feci conoscere anche dalla CDC e SAS, che erano le più grandi cooperative di doppiaggio.
Nei primi anni ’80 cominciavano a crescere sempre più piccole società di doppiaggio e io essendo un doppiatore libero potevo essere convocato da tutti.
Conobbi così grandi doppiatori, tra cui Oreste Lionello, che è stato il mio maestro.
Con lui vinsi il provino per Troilo in “Troilo e Cressida” (doppiavo Anton Lesser, che poi ridoppiai qualche anno fa con enorme piacere), che andò in onda nell’83 su Rai 3 in una serie legata alle opere di Shakespeare. Quella fu la vera e propria svolta. Ero ormai laureato in Giurisprudenza, ma non avevo mai abbandonato il teatro. Lionello mi ha fatto conoscere delle tecniche di recitazione, anche intimistiche che non conoscevo, che lui ha maieuticamente estrapolato.

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Come ho citato prima, hai dato voce veramente a tantissimi personaggi e attori. Qual è il personaggio che hai doppiato a cui sei più affezionato?

Come attore direi Martin Short in “In Fuga per tre” con Martin Short appunto e Nick Nolte. Grazie al direttore Riccardo Cucciolla, che mi convocò direttamente senza fare il provino.
Poi direi Niles della Tata grazie a Guido Leoni, perché mi portò fortuna e fu divertente doppiare un maggiordomo “british” trapiantato in America
Grazie a Mario Maldesi doppiai Daniel Day Lewis in “Camera con vista”, capolavoro di James Ivory.
Infine “My beautiful launderette” è stato il secondo film suo che ho doppiato.
Sono molto legato anche a Benoit Poelvoorde, che è un attore belga trapiantato in Francia, che ho doppiato tre o quattro volte, tra cui il film “Emotivi anonimi”.
Loro sono tre attori “umani”, ma, tra tutti i personaggi dell’animazione che ho doppiato, amo anche Kermit e Peter Griffin. E’ anche nato il “fenomeno Ted”, questo orsetto trasgressivo e sboccacciato e mi piace perché è un bel modo di “recitare parlando”, ossia di buttare le battute senza essere stucchevoli nella recitazione, essendo veri e autentici.

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Quindi sei affezionato a Ted! Perciò, anche se non fosse stato collegato al personaggio di Peter Griffin, avresti accettato di doppiare un personaggio così irriverente?

Ma sai è lavoro, come fai a dir di no? Poi tra l’altro doppiare un orsacchiotto è ancora più difficile, la voce a quel punto è importantissima, è fondamentale! Più che con un attore in carne e ossa. Sarebbe stata comunque una sfida. Un attore deve essere uno strumento a servizio della parte, del ruolo.

Verissimo e tu hai dato voce davvero a tantissimi personaggi, caratterizzandoli, cosa non da poco. Mi chiedo a questo punto chi ti sarebbe piaciuto doppiare, ma non hai potuto farlo?

Senza dubbio Woody Allen, anche perché era stato doppiato da Oreste Lionello. Feci il provino, ma era stato già deciso che sarebbe stato doppiato da Leo Gullotta.
Robin Williams è stato un altro attore che ho amato, anche se Carlo Valli ha fatto un lavoro perfetto, non tralasciando anche il lavoro di Marco Mete che l’ha doppiato in alcuni film.

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Fino adesso hai citato dei personaggi che sono stati davvero dei cardini del teatro Italiano e questo mi ha fatto riflettere sul fatto che la recitazione teatrale differisce molto da quella televisivo/cinematografica italiana, che sta prendendo sempre più piede nel nostro Paese. Quanto pensi che tutto ciò possa influenzare il mondo del doppiaggio?

Sono cambiate le epoche. Prima c’era la prosa in tv, che negli ultimi anni è stata sostituita dalle fiction, che a volte confinano con i reality. Molto regionalistica, quindi non bisogna essere “puliti” nella recitazione.
E’ normale che sia così perché le storie si basano su certe città italiane e quindi è giusto che si sentano i dialetti locali, ma un attore deve essere completo. Pensa a Pierfrancesco Favino, quando fece la fiction su Bartali: usò il toscano, con uno studio approfondito perché Favino è Romano o ancora la fiction “De Gasperi, l’uomo della speranza” con Fabrizio Gifuni, che usò una vocalità simile al linguaggio nordico. L’attore deve fare questo sforzo. Mi è dispiaciuto quando ho visto la fiction su Pantani, tutti parlavano in Romagnolo, tranne l’attore protagonista.
Se si doppia un film straniero, invece, non si può usare una cadenza dialettale, quindi in questo il doppiaggio risente meno. Certo se tu fai un cartone animato dove si vogliono usare espressioni dialettali, allora sì, è permesso, ma perché è una cosa voluta.
I talent in questo non aiutano, perché vengono chiamati personaggi che non sono minimamente attori (Selvaggia Lucarelli, Signorini o Belen) che non hanno alcun studio di recitazione.

Chi è che, artisticamente parlando, stimi di più?

Ci sono colleghi che hanno la mia stima per la tecnica, specie quelli che sanno recitare parlando. Ferruccio Amendola è stato un pioniere di quel doppiaggio parlato, restando nella lingua italiana pur senza avere alcuna inflessione. A me piace sentire l’autenticità.

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A tuo avviso cosa contraddistingue un grande attore dagli altri?

Quella creatività, quell’improvvisazione che gli viene da dentro, quella magia che altri non riescono ad esternare e lui/lei riesce. Sono cose innate. Gli attori americani, ad esempio, sanno trasformarsi, chi è sempre diversificato nei vari ruoli, da essere oggetto di stupore, una certa irriconoscibilità in chi li guarda. Quello è il complimento più bello. Meryl Streep ad esempio, doppiata da Maria Pia Di Meo è fantastica.

Vorrei farti una domanda “scomoda”, ma attuale. Il web permette a tutti di vedere le opere anche in lingua originale, cosa che una volta era molto più difficile reperire. Questo però ha creato un vero e proprio schieramento: doppiaggio vs lingua originale. Faccio un esempio proprio con una serie tv che ti ha coinvolto che è “La Tata”, la cui trama è stata letteralmente cambiata dal doppiaggio originale. Secondo te, perché vengono apportate modifiche così notevoli?

Guarda ti cito il film “My fair lady” come esempio: in lingua italiana hanno usato un dialetto, ma in lingua originale lei parlava un dialetto inglese, impossibile da riprodurre ricreando lo stesso effetto. Per la Tata, ad esempio, Guido Leoni, ha usato l’escamotage di render la tata una ciociara, potevano darle un altro dialetto, ma essendo una lunga seria non voleva stancare a lungo andare. Il risultato è comunque un successo, sia in Italia che in America.

Secondo te perché il mondo del doppiaggio è ancora così elitario?

Lo era forse più prima. E’ questione di tempi, di essere al posto giusto al momento giusto e di essere pronti. Non si può sforare nei tempi consentiti di lavorazione; bisogna essere precisi e pronti. Se c’è il talento esci fuori, però non è semplice. Io ho notato che i direttori di doppiaggio sono interessati quando sentono una voce nuova, non copia della copia. Io negli ultimi anni ho conosciuto giovani che avevano fatto teatro e studi teatrali.

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Progetti futuri?

Legati a uno spettacolo teatrale fatto l’anno scorso con purtroppo sole 6 repliche, perché limitato negli spazi del Salone Margherita, si chiama “Raffaello e la Leggenda della Fornarina” ed è un musical. Io interpretavo lo scrittore, unico attore sempre in scena contornato da tanti bravissimi cantanti e performers. Questo musical mi ha dato davvero tanta gioia e spero di poterlo rifare presto. Ci occorre trovare un produttore per l’avvio dello spettacolo, poi lo show va da sé, perché è molto bello.

Sara Vivian