Elena Pagani – Una vita tra libri e giornalismo.

Ilaria Solazzo giornalista pubblicista e blogger ha intervistato la scrittrice Elena Pagani.

INTERVISTA

ILARIA: Come sei arrivata alla scrittura? Hai mai avuto paura di non essere all’altezza?
ELENA: Quando ero bambina, alle elementari, la cosa che amavo maggiormente fare erano i temi. Ricordo ancora le scritte “Bravissimissima” della mia maestra in fondo alla pagina. Amavo scrivere e soprattutto lo facevo in maniera naturale. C’erano bambini bravi a disegnare, altri bravi con i numeri, io sapevo scrivere e sentivo dentro di me che la scrittura avrebbe fatto parte della mia vita. Alcuni pomeriggi li trascorrevo dai miei nonni e durante uno di questi, su un quadernetto a righe grosse, iniziai a scrivere una storia alla quale diedi un titolo improponibile: “Le avventure di Jeremy e Leckly”. Ovviamente è rimasto un inedito e lo dico con ironia. Crescendo, la letteratura ha sempre fatto parte del mio mondo. Al liceo vivevo a pane e teatro, pane e letteratura. In quarta liceo pubblicarono sulla pagina de L’Eco di Bergamo, il quotidiano principale della mia provincia, una mia lettera nella quale criticavo uno spettacolo teatrale, una versione moderna di “Romeo e Giulietta” che mi aveva letteralmente lasciato con l’amaro in bocca. La mia lettera fu pubblicata integralmente, occupava un’intera pagina, i miei compagni di classe mi dimostrarono un grande entusiasmo. Fu lì che decisi: sarei diventata giornalista! Perché scrivendo si ha la possibilità di far sentire la propria voce in maniera concreta, non esiste strumento migliore della scrittura. Per rispondere alla seconda domanda, penso che si sia sempre all’altezza quando si fa ciò che si ama, che ci appassiona. Non mi sono mai posta il problema. Scrivo, e quando leggo, mi piace ciò che ho scritto. Mi appaga, mi permette di riconoscermi. Si è giornalisti, non si fa i giornalisti. Si è scrittori, non si fa gli scrittori.

ILARIA: Perché e per chi scrivi? Come ti senti quando scrivi?
ELENA: Scrivo per raccontare, per informare, per comunicare. La scrittura rappresenta la più grande rivoluzione nell’ambito della comunicazione. Basti pensare che l’invenzione di Internet è la seconda rivoluzione nel settore, dopo la nascita della scrittura. È una frase che amo molto e che ben rappresenta il valore che ha per me scrivere. È un atto potente, identificativo. Scrivo per me stessa, ma anche per gli altri: si scrive quasi sempre per essere letti.  Lo faccio pensando ai lettori che potrebbero identificarsi nelle mie parole, comprendere e apprendere, immedesimarsi, o anche essere totalmente contrari. Il mio ultimo libro (“Clorinda e il tempo sospeso”) invece l’ho scritto per il mio bambino, anzi lo abbiamo quasi scritto insieme. Ha un valore completamente diverso da tutto il resto. È un vero e proprio regalo che ci siamo fatti durante il periodo pandemico. Il potere della scrittura è smisurato. Quando scrivo mi sento bene. Sembra banale come riposta, ma è così: la scrittura talvolta è sfogo, terapia, consapevolezza; trovo sia la dimensione della consapevolezza di sé.

ILARIA: Quando Montale, ormai quarant’anni fa, tenne il proprio discorso di ringraziamento alla cerimonia del Nobel si interrogò sul senso della poesia nella nuova era della comunicazione di massa. Ad oggi la situazione probabilmente è ancora più critica – soprattutto se consideriamo il numero di lettori in Italia. Mi chiedevo, quindi: qual è il senso della letteratura, secondo te?
ELENA: Una domanda splendida, che mi suscita grandi emozioni, soprattutto in questo periodo della mia vita, ma dopotutto nulla accade per caso, nemmeno questa intervista. La letteratura per me è sempre stata carica di un senso profondo. È un vero e proprio mondo nel quale rifugiarsi a volte, o che meglio ci aiuta a comprendere quello reale. Permette una scissione tra ciò che potremmo e ciò che vorremmo. È una frase che si fa forse fatica a spiegare, ma spesso e volentieri la letteratura e la poesia sono entrate nella mia vita trasportandomi. Non mi è ancora chiaro se fossero il mare nel quale navigavo o lo strumento, ovvero la nave, che mi permetteva di muovermi. Credo non siano nemmeno definibili l’importanza e il senso della letteratura per me: hanno costellato i momenti principali della mia vita, anche quelli più difficili, ma non sarei la persona che sono senza le opere di Shakespeare, Il Dottor Zivago di Pasternak, le poesie di Montale e di Leopardi, la Divina Commedia di Dante.

ILARIA: Da lettrice, quali autori ti hanno formata? Quali, invece, tra gli autori italiani contemporanei, trovi più promettenti?
ELENA: Da ragazzina facevo parte di una compagnia teatrale, quella della mia scuola. Questo per dire che mi sono formata con William Shakespeare, ma anche con Baricco, Thornton Wilder. “La piccola città” è a mio avviso una delle opere più belle che esistano. Dovrebbe essere letta per legge. E poi nomino lei, Oriana Fallaci. Ho letto tutti i suoi libri e credo sia stata una donna, una giornalista, una reporter senza eguali. Tra i contemporanei, oltre alla Fallaci, cito sicuramente Baricco e Stefano Benni.

ILARIA: È sempre molto affascinante venire a sapere come gli scrittori costruiscano le storie. C’è chi dice di inseguire i personaggi tra le strade della città, chi racconta a partire da uno sguardo scambiato furtivamente per strada. Tu, invece? Da dove hai tratto l’ispirazione per questo tuo libro e come lo hai costruito?
ELENA: L’ispirazione per la stesura di Clorinda è nata da Elia, il mio bambino, dalla nostra quotidianità durante il lockdown, dal bisogno di raccontare come la stessimo affrontando e in che modo immaginazione e fantasia ci stessero aiutando. È un libro nato dal desiderio di condividere qualcosa di bello anche in un momento così difficile come quello del primo lockdown. È stata proprio lei, la rana Clorinda, che ha preso forma su un foglio bianco, a diventare fautrice e protagonista della storia.

Scatto del fotografo DAVIDE BERNARDELLI

ILARIA: Una delle frasi più incisive del libro L’esercizio (La nave di Teseo), che ho letto recentemente, recita: “chi scrive vuole sentirsi Dio”. Sicuramente questa affermazione ha molto a che fare con ciò che la storia racconta, ma mi chiedevo, tu che sei proprio una scrittrice, come ti relazioni a questo?
ELENA: Una frase sicuramente forte, ma che si allontana dalla mia visione della scrittura. È vero, scrivere è creare, permette di costruire mondi, personaggi, storie, quindi, in un certo senso, gli scrittori diventano creatori di un nuovo Eden. Tuttavia per me la scrittura va di pari passo con l’umiltà di volersi mettere al servizi degli altri: i lettori. È un modo per rivelarsi, per raccontarsi, per ritrovarsi tra le pagine di un racconto, di una storia.

ILARIA: C’è qualche autore che ti ha – direttamente o indirettamente – ispirato nella scrittura di questo libro?
ELENA: Mentirei se rispondessi in maniera affermativa. In questo caso, nella stesura di Clorinda e il tempo sospeso, non mi sono ispirata a nessun autore.

ILARIA: “Clorinda e il tempo sospeso” quando hai deciso di scriverlo ed in quanto tempo?
ELENA: Ho deciso di scriverlo durante i mesi del primo lockdown, tra aprile e maggio 2020. La stesura del testo è stata abbastanza veloce, forse la più rapida di tutta la. mia vita. Era già tutto pronto, dovevo solo raccontare ciò che avevamo fatto e che ancora stavamo facendo, dargli una forma letteraria. Il grande impatto l’hanno dato le illustrazioni di Giulia Stucchi. Io il libro lo immaginavo proprio così: illustrato, avevo bisogno che qualcuno desse alle parole una trasposizione artistica. Ho pubblicato la richiesta su Facebook: “cercasi illustratore/illustratrice per un progetto di scrittura per bambini.” Ho ricevuto diverse richieste, ma con Giulia ci siamo trovate immediatamente. Ha capito il progetto, le è piaciuto il testo e rimasi esterrefatta quando vidi le prime bozze. Erano esattamente come le immaginavo.

 

ILARIA: Sei blogger, giornalista e scrittrice. Hai all’attivo un bellissimo libro con Bertoni. Ti chiedo tre aggettivi per descrivercelo dal tuo punto di vista…
ELENA: Gioioso. Significativo. Autentico.

ILARIA: Secondo te qual è il segreto per conquistare un piccolo lettore?
ELENA: Scrivere un libro che sia gioioso, significativo e autentico. Non lo dico per dire, ma è ciò che cercano i bambini: la gioia innanzitutto della quale sono portatori. Il senso, lo cercano molto più di quanto non facciano gli adulti e l’autenticità. Leggete ai bambini storie nelle quali possano immedesimarsi e comprenderne il significato.

ILARIA: C’è un ricordo del tuo percorso che ti sta più a cuore degli altri, vi è un aneddoto che vorresti condividere con noi?
ELENA:  Altra domanda carica di senso. Sono in un periodo molto emotivo della mia vita e fare un qualunque salto tra i ricordi, soprattutto tra alcuni in particolare, mi scuote. Ricordo il primo giorno del liceo quando sulla lavagna lessi questa frase: “L’essenziale è invisibile agli occhi”. È uno dei ricordi più nitidi che possiedo. Quell’immagine mi torna alla mente in tante occasioni: felici, tristi, complesse, liete. Quella frase, scritta dal mio professore di lettere del liceo, il primo giorno di scuola, per me è e sarà sempre l’essenziale.

Scatto del fotografo DAVIDE BERNARDELLI

ILARIA: Progetti futuri?
ELENA: Un progetto nell’ambito della scrittura ce l’ho. Scrivere il romanzo della vita. È una frase fatta, ma l’ho già iniziato, solo che non so quando e se riuscirò a finirlo. Ha un titolo: “Le donne della mia vita” ed è ispirato alla mia realtà e a quella delle donne che gravitano attorno alla casa dei miei genitori, prima fra tutte mia madre. Loro sono le zie, come amo chiamarle, sebbene con nessuna ci sia un legame di sangue. Hanno tutte storie particolari alle spalle e il comune denominatore è sempre lo stesso: la sofferenza, la delusione causatagli da quelli che credevano essere gli uomini della loro vita. Non ho ancora capito se a causare le delusioni siano le persone o il sentimento stesso. Forse una persona ci delude solo perché ciò che proviamo per lei la carica di senso, aspettative, la rende personaggio e non più semplice uomo o donna. Comunque vorrei davvero raccontare le loro storie e non per sminuire gli ex compagni, non mi permetterei mai anche perché alcuni nemmeno so che faccia abbiano, ma per esaltare il potere delle donne, capaci ogni volta di ricostruirsi, di comprendere, di superare, di affrontare la vita con lo stesso spirito di Rossella O’Hara in Via col Vento quando afferma: “Domani è un altro giorno”. Perché mentre c’è sempre qualcuno che se ne infischia, domani per noi sorge sempre un nuovo sole!

 

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