Ci sono canzoni che entrano nelle orecchie e altre che ti entrano sotto pelle. “Fantasma” di Alessandro Zavatti è una di quelle che non puoi scrollarti di dosso facilmente. È un brano che sa di rabbia, di dolore, ma anche di una disperata voglia di essere ascoltati.

Fin dalle prime note, la chitarra ti prende e ti trascina in un vortice emotivo da cui è difficile uscire. Il rock graffia, il cantato mescola influenze urban e indie, creando un’atmosfera che sa di inquietudine e di urgenza. Ma è il testo a colpire più di tutto. Parla di depressione senza filtri, di quel senso di vuoto che diventa gabbia, di un malessere che si insinua nella testa e non ti lascia scampo. Non è solo una storia, è una confessione.
La voce di Zavatti non chiede permesso: arriva dritta, intensa, vera. Non c’è spazio per mezze misure o parole di conforto facili. Qui c’è solo la cruda realtà di chi combatte con i propri demoni e cerca un modo per far sentire la propria voce.
“Fantasma” è una di quelle canzoni che ti restano addosso, che ascolti e riascolti perché dentro c’è qualcosa che riconosci, qualcosa che ti riguarda. Ed è questo che la rende speciale: non è solo musica, è una ferita aperta trasformata in suono.
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