Attore, regista, direttore artistico e insegnante, Flavio De Paola è una figura poliedrica del panorama teatrale italiano. Fondatore del Teatro degli Audaci, ha saputo creare uno spazio che è diventato un punto di riferimento per la scena culturale romana, un luogo dove il teatro non è solo spettacolo, ma esperienza, incontro e crescita.
In questa intervista, ci racconta il suo percorso, le sfide della direzione artistica, il significato del suo ultimo spettacolo Un papà per tutti e i suoi sogni ancora da realizzare. Un viaggio tra passione, impegno e l’incessante ricerca di nuove forme di espressione.
Flavio, hai un percorso artistico ricco e variegato. Come è nato il tuo amore per il teatro e cosa ti ha spinto a fondare il Teatro degli Audaci?
Il mio amore per il teatro è nato da ragazzo, quando ho scoperto la magia che si crea sul palcoscenico, quell’energia unica che si trasmette tra attore e spettatore. La decisione di fondare il Teatro degli Audaci è stata la naturale evoluzione del mio percorso: volevo creare uno spazio dove il teatro fosse accessibile a tutti, un punto di riferimento culturale per Roma e per il III Municipio. Desideravo un luogo dove il pubblico potesse sentirsi a casa e dove il teatro potesse continuare a vivere e innovarsi.
Oltre che attore e regista, sei anche direttore artistico. Quali sono le sfide maggiori nel dirigere un teatro e come riesci a bilanciare il tuo ruolo gestionale con quello creativo?
Le sfide maggiori sono sicuramente legate al trovare un equilibrio tra sostenibilità economica e offerta artistica di qualità. Essere Direttore artistico significa avere una visione, ma anche sapersi adattare ai cambiamenti e alle esigenze del pubblico. Per bilanciare il ruolo gestionale con quello creativo, mi affido a una squadra fidata e dedico del tempo esclusivo alla creazione artistica, senza mai perdere di vista il mio obiettivo principale: emozionare il pubblico.

Parliamo del tuo spettacolo Un papà per tutti. Di cosa tratta e cosa ti ha colpito di questa storia tanto da volerla portare in scena?
Un papà per tutti è una commedia vivace e profonda che intreccia diversi temi di grande attualità, come l’adozione e l’omosessualità, attraverso situazioni comiche e rocambolesche. Al centro della storia c’è Matteo, un architetto alle prese con il desiderio di costruire una famiglia attraverso l’adozione, ma anche con i giudizi e le aspettative della società. Quello che mi ha colpito di questo testo è la sua capacità di affrontare temi delicati con leggerezza e sensibilità. La commedia non solo esplora il percorso di un uomo verso la paternità, ma sfida anche i pregiudizi, mostrando come l’amore e il rispetto siano alla base di ogni relazione, che si tratti di legami familiari o di coppia. È una storia che riesce a far sorridere e riflettere, con personaggi che incarnano le contraddizioni e le bellezze della nostra società.
Come hai lavorato alla messa in scena di Un papà per tutti? Quali sono stati gli aspetti più stimolanti o le difficoltà incontrate durante la realizzazione dello spettacolo?
La messa in scena di Un papà per tutti ha richiesto un grande lavoro sul ritmo comico e sulle sfumature emotive dei personaggi. Uno degli aspetti più stimolanti è stato il trattamento del tema dell’omosessualità, che viene presentato con naturalezza e senza cliché, attraverso dialoghi che bilanciano perfettamente ironia e autenticità. È stato importante creare una narrazione che non si limitasse a far ridere, ma che mostrasse anche la forza e la vulnerabilità dei protagonisti. La difficoltà maggiore è stata gestire la complessità dei temi trattati – l’adozione, le relazioni omosessuali, le dinamiche familiari – rendendoli accessibili e leggeri senza mai sminuirne l’importanza. Ogni scena è stata pensata per portare il pubblico a riflettere, senza perdere il coinvolgimento emotivo e il divertimento.
Il teatro è spesso uno specchio della società. Un papà per tutti affronta tematiche attuali? Pensi che possa offrire spunti di riflessione al pubblico?
Assolutamente sì. Un papà per tutti è una commedia che affronta con grande intelligenza temi universali come l’adozione, l’omosessualità e il desiderio di costruire una famiglia. Il testo riesce a raccontare, con leggerezza e profondità, le difficoltà e le bellezze di accogliere un bambino, mettendo in discussione gli stereotipi legati ai ruoli genitoriali e alle dinamiche di coppia. Credo che lo spettacolo offra al pubblico l’opportunità di riflettere su temi che riguardano tutti noi: l’inclusività, il valore delle relazioni umane e la necessità di superare i pregiudizi. È una storia che celebra l’amore in tutte le sue forme, mostrando che ciò che conta davvero è la capacità di prendersi cura degli altri, indipendentemente dalle convenzioni sociali.
Hai avuto una formazione molto ampia, tra teatro, doppiaggio e cinema. In che modo queste esperienze hanno influenzato il tuo approccio alla recitazione e alla regia?
Ognuna di queste esperienze mi ha dato qualcosa di unico. Il doppiaggio mi ha insegnato l’importanza della voce e della sua espressività, il cinema mi ha mostrato il potere dei dettagli e della verosimiglianza, mentre il teatro è stato e rimane la mia casa, il luogo dove tutto prende vita.
Oltre a dirigere e recitare, da oltre quindici anni insegni teatro. Qual è l’aspetto che più ami dell’insegnamento e cosa cerchi di trasmettere ai tuoi allievi?
Amo vedere la crescita degli allievi, il loro percorso verso la consapevolezza di sé e delle proprie capacità. Cerco di trasmettere passione, disciplina e la capacità di ascoltare, qualità fondamentali per diventare un attore ma anche per affrontare la vita.
Hai lavorato a spettacoli di grande successo come Rumori fuori scena, Aspettando Godot e Finale di partita. C’è un’opera che sogni di mettere in scena e che non hai ancora avuto modo di realizzare?
Un sogno nel cassetto è La tempesta di Shakespeare. È un testo che trovo incredibilmente affascinante, sia per la profondità dei temi che per le possibilità sceniche che offre.
Il Teatro degli Audaci è diventato un punto di riferimento nella scena culturale romana. Quali sono i tuoi progetti futuri per il teatro e quali nuove produzioni hai in programma?
Tra i progetti futuri, sono particolarmente entusiasta di Dietro le Quinte del Tempo, uno spettacolo che considero un omaggio al mondo del teatro e a chi ne vive la magia. La storia si svolge nell’intimità di un vecchio camerino teatrale, un luogo carico di ricordi e segreti, dove si intrecciano passato e presente, realtà e finzione. Protagonista è Victor Ross, un leggendario attore anziano che si trova a confrontarsi con il declino della sua carriera e della memoria. Al suo fianco c’è Andrew Reed, il suo fedele assistente, che rappresenta la nuova generazione di attori. Lo spettacolo celebra il teatro stesso e il passaggio del testimone tra le generazioni, in un racconto che emoziona e ispira.
Se dovessi descrivere il tuo stile artistico con tre parole, quali sarebbero e perché?
Coinvolgente, intenso, innovativo. Coinvolgente perché voglio che il pubblico si senta parte della storia; intenso perché credo nella forza delle emozioni; innovativo perché cerco sempre nuovi modi di raccontare.
Concludendo, cosa ti auguri che il pubblico porti con sé dopo aver visto Un papà per tutti?
A: Spero che il pubblico esca dal teatro con un sorriso, ma anche con una riflessione sul valore delle relazioni umane. Voglio che si sentano arricchiti, come se avessero vissuto un viaggio emotivo che li abbia fatti sentire meno soli.
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