Deciso a replicare il successo di pubblico e critica conseguito nove anni or sono con lo scaltro dramedy corale Perfetti sconosciuti, suggellato dal David di Donatello come miglior film a dispetto dell’empatico ed evocativo apologo sull’università della strada Non essere cattivo del compianto Claudio Caligari, l’ambizioso regista capitolino Paolo Genovese mette ancor più carne al fuoco nella rom com FolleMente.
Il nodo da sciogliere sul versante dell’analisi critica consiste nel capire se si tratta d’un salto in avanti stilistico ed espressivo, sancito dalla conoscenza intima dei batticuori e dei rompicapo alla base del racconto dal piglio in apparenza originale, oppure se dietro il colpo di gomito dell’opera autoctona, fuori degli schemi consueti per il nostro cinema, s’annida la pigrizia delle idee prese in prestito da modelli provvisti di ben altro estro.

Il passaggio dai segreti celati nei telefoni cellulari in Perfetti sconosciuti al pluralismo dei punti di vista delle voci interiori fa pensare su due piedi a un ulteriore approfondimento del chiodo fisso di scandagliare in leggerezza i pesanti fardelli che mandano a carte quarantotto il dilettevole controcampo relativo alle relazioni tra uomo e donna. Anche se la lapalissiana analogia col cartoon a stelle e strisce Inside out sembrerebbe spostare l’ago della bilancia dalla parte dei plagi nemmeno camuffati da omaggi. A ben guardare però il nume tutelare al quale FolleMente attinge con maggior insistenza l’esimio carattere d’ingegno creativo, per conferire al valore terapeutico dell’umorismo lo stesso spessore intellettivo dei cunicoli esistenziali esplorati dal maestro svedese Igmar Bergman, è senz’altro l’inimitabile Woody Allen. Sia per quanto concerne l’episodio di Tutto quello che avreste sempre voluto sapere sul sesso e non avete mai osato chiedere col cervello dell’appassionato partner maschile esibito dal di dentro alla stregua d’un alacre laboratorio tecnologico intento a dare direttive ai diversi apparati in previsione del coito concluso dal lancio d’impauriti spermatozoi costretti a paracadutarsi sulle trascinanti note di Puccini. Sia per gli spassosi pensieri nascosti dell’avventizia coppia in contraddizione rispetto alle frasi di circostanza d’entrambi in Io e Annie. Negli sprazzi di realtà convertiti nel solco dell’ironia surreale da Genovese – con l’ausilio dell’affiatato lavoro di squadra in fase di sceneggiatura di
Francesco Piccolo, Isabella Aguilar, Lucia Calamaro, Paolo Costella e Flaminia Gressi – vengono altresì a galla alcuni evidenti debiti nei confronti di What women want – Quello che le donne vogliono dell’alacre Nancy Meyers e dell’iconico action movie Arma letale 3 di Richard Donner. Specie nella giustapposizione dei personaggi interpretati da Pilar Fogliati (Lara) ed Edoardo Leo (Piero) con la gara inventata lì per lì da Mel Gibson alias Martin Riggs e Rene Russo alias Lorna Cole in merito alle cicatrici sparse sul corpo destinate a fungere in un amen da apripista al congiungimento carnale che covava sotto la cenere dell’antagonismo bambinesco assurto ad affinità elettiva.

Al di là delle ovvie interpolazioni apportate, per adattare il desiderio di buttare in ridere le frecce di Cupido nel millennio scorso alla contemporaneità monopolizzata dagli echi postmoderni, la sensazione di déjà vu permea l’intera trama sin dall’incipit. Ma, tralasciando l’elenco delle composite marche di preservativi dai nomi anglofani ed eccentrici da scegliere da solo ex ante e l’impiego d’una punteggiatura sonora talvolta troppo invadente, il mix d’interioritá ed esteriorità allestito in occasione del primo appuntamento nell’abitazione dell’incerta Lara, che nel cercare l’atmosfera giusta combina una sorta di cortocircuito luministico seguendo le indicazioni diametralmente opposte tra loro dello stream of consciousness al femminile capitanato dalla militante Alfa, coglie nel segno. Grazie alla mitragliate di battute, affidate prevalentemente all’impulsiva e sagace Trilli, al brioso ritratto delle composite personalità insite nella testa dell’avvenente padrona di casa e del signorile professore di lettere, disposto a ostentare indifferenza per l’esito del derby di Roma disputato nel frattempo pur di rompere al meglio il ghiaccio nel dibattuto tête-à-tête, alla geometrica esattezza della trama. Garantita dall’abilissimo montaggio dell’esperta Consuelo Catucci. Non bastano tuttavia i botta e risposta dispiegati tanto in ambito dialogico quanto nel corollario figurativo per frugare appieno tra le emblematiche pieghe dell’animo degli indicativi protagonisti. La lectio magistralis fornita dal Free Cinema inglese giunge comunque in soccorso di Genovese per riuscire ad abbinare alla speditezza del ritmo narrativo l’arguzia riscontrabile nello scontro delle indoli agli antipodi ampliate in una girandola di guizzi satirici. Che assicurano ai molteplici piani d’ascolto la destrezza di semplificare le cose difficili anziché complicare le cose facili sull’esempio dei tromboni eletti ad autori dalle conventicole ammanicate. La dinamica interiore delle modulazioni psicologiche ed emotive attinenti all’altalena degli stati d’animo, scevra dall’aura inutilmente severa, cinge in tal modo di tenerezza domestica le punture di spillo rifilate alla morale corrente, l’importanza attribuita dall’edonista Eros alle copule spensierate, i sospiri romantici alieni agli amplessi privi di coinvolgimenti sentimentali condivisi a distanza dall’impacciato Romeo e dalla dolce ed estatica Giulietta, le disillusioni esternate dalla tenera Scheggia, l’ansia malicomica di Valium, i piedi per terra del Professore di turno.

Siamo in ogni caso molto lontani dalla forza anarchica dell’azzeccato sarcasmo ad appannaggio dei guri tirati in ballo. Con buona pace della voluttà di apparire singolare ed esemplare FolleMente tradisce un’aria in cui circola un ché di convenzionale. Oltre a una congerie assai risaputa, sebbene gradevole, di gag visive e verbali connesse al tormentone di ghermire nel fermento della materia grigia gli angeli custodi e i demoni privati che operano negli anfratti reconditi. Lo scopo principale della rappresentazione risiede nel rendere affabili i suddetti anfratti. Tramite l’irrinunciabile crescendo musicale legato step by step all’orgasmo, il richiamo citazionistico ravvisabile nelle perle di saggezza del dotto Italo Calvino, incline ad anteporre ai macigni che pesano sul cuore la levità di planare dall’alto sui problemi da risolvere, l’intesa raggiunta palmo a palmo traendo partito dal flusso di coscienza senza tenere in considerazione al dunque i falsi allarmi. Il succo della storia si esaurisce così nel vano pistolotto del politicamente corretto, sia pure dissimulato ad arte dalla posa cool, incapace, nondimeno, di battere sul serio il sottobosco del flusso di coscienza in questione e d’inserire negli stilemi della commedia di situazione l’appeal magnetico d’un affresco davvero ammaliante ed esilarante. Al posto dell’ennesimo spettacolo consolatorio dell’epilogo che salva capre e cavoli. Sciupando la prova di un cast in grande spolvero. Impreziosito dalla spontaneità interpretativa di Marco Giallini nel ruolo del Professore ed Emanuele Fanelli nei panni della calorosa e assennata Trilli. FolleMente spreca quindi nel momento di quagliare l’indovinata egemonia della sottorecitazione sulla pleonastica tentazione dell’iperbole con delle logore variazioni tematiche. Restie ad aggiungere qualcosa d’eminentemente concreto alla smania di lenire attraverso il sano dileggio l’alienazione odierna ed emancipare sulla scorta del sacrosanto trasporto l’opportuno spirito d’iniziativa dalla sarabanda d’infertili elucubrazioni.
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