Fulci talks: spiragli di Lucio

Diretto dalla Antonietta De Lillo autrice, tra l’altro, de Il resto di niente e del documentario Il pranzo di Natale, Fulci talks altro non è che una conversazione di ottanta minuti con colui che ci ha regalato …e tu vivrai nel terrore! L’aldilà e Paura nella città dei morti viventi.

Una conversazione che, registrata nel Giugno del 1993, a Roma, dalla De Lillo stessa affiancata dal critico cinematografico Marcello Garofalo, prende il via da simpatici aneddoti relativi ad una presunta somiglianza tra il compianto cineasta capitolino e i maestri della Settima arte Orson Welles e Alfred Hitchcock.

Un cineasta convinto del fatto che un regista deve essere al contempo scrittore e muratore e che, nel raccontare il proprio rapporto con Totò e l’esperienza ne L’uomo la bestia e la virtù di Steno, non dimentica neppure di rievocare gli esordi presso il Centro sperimentale di cinematografia. Prima di spiegare il suo passaggio dalle pellicole interpretate da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia al western con Le colt cantarono e fu… tempo di massacro; che ha preceduto la svolta thriller rappresentata da Una sull’altra.

Un genere, il thriller, in cui ha avuto modo di stabilire un vero e proprio feeling umano con l’attrice Florinda Bolkan, diretta in Una lucertola con la pelle di donna e Non si sevizia un paperino, tra i suoi lavori maggiormente riusciti insieme a Zombi 2, del quale ricorda la genesi. Il film che lo ha fato diventare “regista horror per caso”, come apprendiamo si riteneva; mentre trova anche il tempo di parlare di Beatrice Cenci e di come il suo All’onorevole piacciono le donne con Lando Buzzanca abbia precorso alcuni aspetti della politica italiana emersi soltanto vent’anni dopo l’uscita del lungometraggio nelle sale. Come pure tramite I guerrieri dell’anno 2072 anticipò l’epoca televisiva dei sempre più estremi reality.

E quali erano i cinque cult preferiti dal grande Lucio? E i cinque registi italiani che amava maggiormente? Fulci talks fornisce risposte a tutte queste domande, man mano che si tirano in ballo anche Sergio Leone, i bertolucciani Ultimo tango a Parigi e Il conformista, Wes Craven, Steven Spielberg e Il silenzio degli innocenti.

Oltre a Riccardo Freda e Dario Argento, che lo accusava di copiarlo e del quale dice(va) che fa finta di volergli bene. Il Dario Argento che definisce chiuso nei propri incubi, a differenza sua che, propenso a giocare con l’orrore come ha fatto soprattutto in Un gatto nel cervello, dichiara suo unico incubo l’onorevole Galloni.

Lui che si proclama un mite anarchico la cui anarchia, tra l’altro, è constatabile nei titoli che ha realizzato, tutti accomunati dalle tematiche del peccato e del dubbio. Titoli di cui considera tra i più brutti Zombi 3, terminato da Bruno Mattei, e dei quali ricorda il flop italiano di Sette note in nero, rivelatosi invece un successo all’estero.

Quell’estero che considerava grandi registi nomi allora (e non solo) ignorati dalle nostre parti, da Mario Bava a Vittorio Cottafavi; offrendo di conseguenza a Fulci talks di lasciar emergere anche il pensiero di colui che esordì dietro la macchina da presa con I ladri nei confronti della critica cinematografica, della quale definisce quella di sinistra la peggiore.

Un’osservazione pienamente condivisibile, considerando soprattutto il molto poco tenero trattamento che ha riservato ad un validissimo uomo di set oltretutto proveniente da una famiglia di antifascisti poveri. Un uomo di set secondo le proprie parole bugiardo nella vita ma non sul lavoro, destinato anche a dover affrontare la tragica morte della moglie. Un uomo di set amante delle barche a vela e convinto del fatto che, se la televisione impone i messaggi, il cinema ci consente di sceglierli.

Quindi, il messaggio che ci sentiamo di scegliere in questo caso è che l’interessante documentario della De Lillo – programmato nelle sale insieme ad una mini rassegna costituita da I quattro dell’Apocalisse e dal sopra menzionato Sette note in nero – deve essere visto sia da coloro che hanno amato il poeta dello splatter tricolore, sia da chi non ne era a conoscenza… soprattutto in un terzo millennio in cui maestri del suo calibro continuano a non venire riconosciuti, occultati da mestieranti promossi a geni dei fotogrammi in movimento, spesso, proprio da quella disprezzabile critica di sinistra citata pocanzi.

 

 

Francesco Lomuscio