Gabbo torna con una nuova produzione che unisce tradizione e innovazione: la sua reinterpretazione di “Cantaloupe Island”, celebre brano jazz di Herbie Hancock, è un tributo sentito a uno dei suoi musicisti di riferimento, ma anche una dichiarazione d’intenti artistica.

Lontano dalle logiche della viralità, Gabbo costruisce un suono autentico, dove il basso elettrico diventa protagonista e l’arrangiamento si ispira alle strutture tipiche dell’hip hop.

Affiancato da DJ Stile e Squarta in studio, Gabbo dà vita a una versione che vibra di groove e libertà espressiva, pur restando saldamente ancorata a una visione musicale precisa e consapevole. Senza pretese educative, ma con grande passione, l’artista riesce a trasformare un classico del jazz in qualcosa di attuale, accessibile e profondamente personale.

Un lavoro che conferma ancora una volta la cifra stilistica di Gabbo: radici forti, spirito libero e una naturale inclinazione a creare musica che duri nel tempo.

“Cantaloupe Island” è un brano storico del jazz. Cosa ti ha spinto a sceglierlo come singolo e a reinterpretarlo in chiave moderna?

-È sicuramente uno dei brani jazz più conosciuti, di uno dei miei musicisti preferiti, un gigante che ha esplorato il jazz in lungo e in largo in tutti i suoi aspetti, Herbie Hancock. Ho ascoltato Cantaloupe Island per anni ed anni, ne ho sempre apprezzato il tema e il ritmo, non ho fatto altro che vestirlo del suono che più mi appartiene, oltre a rendere il basso elettrico protagonista del brano.
 
Nel pezzo si percepisce subito il groove, ma anche una grande libertà creativa. Quanto conta l’improvvisazione in un brano così costruito nei dettagli?

-Devo dire che il brano ha un arrangiamento, una produzione ed un processo lavorativo che si avvicina molto di più al mondo dell’hip hop, di veramente improvvisato c’è ben poco, solo nella parte solistica mi sono lasciato andare. Mi piace essere guidato dall’istinto, negli assoli non amo pianificare nulla.
 
Hai parlato di DJ Stile come una figura chiave in questa produzione. Com’è stato lavorare insieme in studio? Cosa ha portato lui al pezzo?

-Dj Stile è una figura chiave dell’hip hop direi, e il suo talento ha reso il brano magico. Lavorare con lui e Squarta sul brano in studio è stata
un’esperienza indescrivibile.
Dopo aver lavorato alla prima bozza di produzione, io e Squarta ci siamo guardati e abbiamo detto “su questo Stile ci starebbe da paura” e così l’ho contattato.
 
Hai trasformato un classico jazz in qualcosa di fresco e urbano. Pensi che brani così possano aiutare anche i più giovani ad avvicinarsi al jazz?

-Guarda, non ho mai avuto questa pretesa, ho fatto questo perché mi piace. Poi se involontariamente, ascoltando le mie versioni, in qualcuno possa accendersi la curiosità di ascoltare anche quelle originali e così magari da appassionarsi ad un genere musicale che amo, questo mi fa solo che piacere e non poco, ma non ho la pretesa di avere questo potere 😉
 
La tua versione di “Cantaloupe Island” sembra muoversi tra passato e futuro. Quando suoni, senti più il peso dell’eredità musicale o la voglia di romperne le regole?

Quando suono sento tutto e niente, non so che mi succede, ma i pensieri svaniscono e vivo semplicemente il momento, sento che mi fa stare bene e sto facendo la cosa che più amo, che probabilmente ha reso la mia vita quella che è adesso.

In un’epoca dove tutto sembra fatto per essere “virale”, quanto è importante per te invece creare musica che resti nel tempo?

-Non appartengo alla generazione in cui si pensa a fare le cose perché diventino virali, le faccio perché le amo. Ovviamente fa piacere se poi quello che fai con tutta la passione e perché ci credi veramente arriva a più persone possibili, fa molto piacere! Ecco, se questo accade mi rende davvero felice.


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