Gabriella Cordone Lisiero è una figura di spicco nel panorama della fantascienza italiana e internazionale, una donna che ha saputo trasformare la sua passione in un percorso ricco di esperienze e collaborazioni straordinarie. Da traduttrice di celebri serie come Doctor Who e Sherlock a sceneggiatrice per fumetti iconici come Nathan Never, Gabriella ha intrecciato il suo amore per il genere con un lavoro che ha saputo arricchire il mondo del fandom. Fondamentale è stata la sua collaborazione con il marito, Alberto Lisiero, con cui ha portato avanti lo Star Trek Italian Club, un punto di riferimento per gli appassionati della celebre saga in Italia.

In questa intervista, Gabriella ci guida attraverso la sua carriera, raccontandoci aneddoti, sfide e il suo impegno per mantenere viva la passione per la fantascienza. Un dialogo che celebra l’importanza della diversità, del confronto e della curiosità, tratti che definiscono non solo il mondo di Star Trek, ma anche il suo approccio alla vita e al lavoro.

Scopriamo insieme il mondo affascinante di Gabriella Cordone Lisiero, una donna che incarna lo spirito dell’esplorazione e della scoperta.

Intervista a Gabriella Cordone Lisiero
1. Introduzione e Background

Puoi raccontarci come è iniziato il tuo percorso nel mondo della fantascienza e quali sono stati i momenti più significativi della tua carriera?

Non ho mai pensato di avere una “carriera” nella fantascienza, al massimo nel mondo del fandom! Forse perché la parola carriera presuppone un lavoro, mentre la quasi totalità delle cose che ho fatto e che continuo a fare per la fantascienza rientrano negli hobby! Mi sono avvicinata alla fantascienza grazie a mia madre, che era una grande appassionata e mi regalò i primi libri di Isaac Asimov. Sono stati poi fondamentali gli sceneggiati RAI di una volta (da “A come Andromeda” a “Gamma”), la serie di Spazio 1999 e poi Guerre Stellari al cinema nel 1977. Poi arrivò Star Trek – il film al cinema nel 1980 e, di seguito, la Serie Classica in replica su quella che poi sarebbe diventata Mediaset. Infine l’incontro con lo “Star Trek Italian Club” e Alberto Lisiero alla prima in lingua originale del quarto film Rotta verso la Terra e… voilà: ero diventata una “nerd” di fantascienza!

Nella foto Alberto Lisiero e Gabriella Cordone: Il nostro viaggio di nozze a Londra nel 2011 è stato anche un viaggio di lavoro per il lavoro di doppiaggio e localizzazione che facevamo per Paramount Home Video Entertainment.

La tua collaborazione con tuo marito Alberto Lisiero (purtroppo prematuramente scomparso) ha lasciato un segno importante nel panorama della fantascienza italiana. Come è stato lavorare insieme e come questa collaborazione ha influenzato il tuo percorso professionale?

Al di là della vita privata, con Alberto c’era una partnership in cui lui era il “capitano” e io il suo “primo ufficiale”. Dal momento del nostro incontro l’ho seguito in tutti i suoi progetti (primo tra tutti lo STIC, ovviamente), quindi la sua influenza è stata enorme. Senza di lui e la sua spinta creativa e professionale, non avrei tradotto libri, supervisionato il doppiaggio, collaborato alla localizzazione dei prodotti Trek in Italia, ecc. Alla sua morte tutti i lavori che facevamo insieme sono svaniti, e io infatti oggi lavoro come cassiera in spiaggia, dopo aver fatto lavoretti come badante, donna delle pulizie, dama di compagnia e vigilante del Faro di Bibione, quest’ultimo lavoro, che sembra molto romantico, all’atto pratico è stato un misto tra guida turistica e donna delle pulizie. Quel che il lavoro fatto con Alberto mi ha lasciato, ovviamente, è una grossa esperienza nei campi più disparati (lingue, organizzazione di eventi, impaginazione al computer, grafica, fotografia, montaggi video), ma sono cose che, senza di lui, ora sono tornata a fare quasi esclusivamente a livello amatoriale.

2. Traduzione e Adattamento

Hai tradotto serie iconiche come “Doctor Who”, “Orphan Black” e “Sherlock”. Quali sono le principali sfide nel tradurre serie così complesse e dense di riferimenti culturali?

Prima di rispondere vorrei sottolineare una cosa fondamentale: io ho solo tradotto, non ho “adattato” i dialoghi: l’adattamento è un lavoro tecnico molto più complesso della semplice traduzione, perché deve tenere conto di lunghezze, respiri, pause, movimenti labiali. Io fornisco una buona traduzione sulla quale poi gli adattatori e le adattatrici lavorano. Il dover fare una buona traduzione è la sfida principale, e non significa solo sapere un buon italiano oltre alla lingua originale, ma è anche capire quale sia il linguaggio da usare: ogni serie ha il suo stile a seconda del pubblico che vuole raggiungere e della sua ambientazione. Orphan Black ha uno stile molto più crudo e diretto di (ad esempio) Doctor Who, e di conseguenza la scelta della terminologia da usare è diversa. Inoltre ci sono ricerche da fare, e in questo (per fortuna al giorno d’oggi) mi aiuta la rete. I riferimenti continui dei dialoghi a episodi precedenti o a eventi/personaggi scritti nei libri non devono essere presi sottogamba. Essere appassionata di Doctor Who mi ha aiutato, ma per altre serie ho dovuto passare ore a cercare sul web quei riferimenti che non conoscevo: perché da “nerd” so bene cosa significa quando la traduzione non rispetta questi riferimenti. Infine ci sono i giochi di parole, o i giochi con le parole, con cui gli autori si dilettano in originale e che (purtroppo!) spesso non possono essere trasferiti in italiano nonostante tutti gli sforzi.

L’ultima mia partecipazione a una fiera per conto dello STIC-AL, insieme ad altri Soci del club: Games&Co. di Pordenone.

Puoi condividere un aneddoto o un momento particolarmente impegnativo che hai affrontato durante l’adattamento di una di queste serie?

Parlo di Doctor Who e faccio una premessa: ho avuto la fortuna di incominciare a tradurre per la serie quando RAI4 non la trasmetteva in contemporanea con il Regno Unito. Fortuna perché ho potuto condividere la scelta della terminologia di cui parlavo sopra con il gruppo di “whovians” di cui faccio parte su Facebook (i Doctor Who Hermits United). Molti cervelli pensano meglio di uno, e io potevo parlarne tranquillamente proprio perché in UK gli episodi erano già usciti ed erano stati già visti dai “nerd” del gruppo. E’ stata una collaborazione utilissima che però non si è potuta ripetere spesso (oggi, poi, è impossibile, con le piattaforme che rilasciano gli episodi in contemporanea mondiale!). La nona stagione della nuova serie del 2005 ho dovuto tradurla senza l’aiuto del gruppo, perché ancora inedita e il primo episodio avrebbe dovuto essere trasmesso in anteprima a Lucca Comics & Games. In una scena di quell’episodio il Dottore si trova in un villaggio medievale ai cui abitanti ha insegnato a scavare un pozzo e a costruirci un centro turistico accanto, alcune nozioni di matematica avanzata e… la parola “dude”, che non ha una traduzione precisa in italiano! La parola è piuttosto importante nel contesto, legata all’ambiente musicale (la scena è tutta incentrata sulla musica) ed è una parola che deve suscitare ilarità nello spettatore, perché completamente fuori contesto in un’ambientazione medievale. Su questa parola ci ho speso due giorni! Dovevo assolutamente trovare una parola italiana (breve per via del labiale) che non esistesse nel medioevo e che facesse ridere! Ad esempio non potevo usare “coso” (usato in Lost per  tradurre “dude”), perché nel medioevo la parola coso/cosa/cose esisteva, come esistevano altre parole tipo figo o ganzo, tipo ecc.! Alla fine ho scelto il gergale “bellazio”, sperando andasse bene. L’adattatrice ha accettato il mio suggerimento ed è finita nel dialogo. Potete immaginare quanto fossi preoccupata alla prima a Lucca: non solo la sala era piena di “nerd” che dovevano ridere al sentire la parola, ma era presente anche Steven Moffat, l’autore della sceneggiatura originale e showrunner all’epoca. Sicuramente non sarebbe rimasto contento se nessuno avesse riso di gusto! Per fortuna tutto è andato bene e tutti si sono divertiti! Ma è stata una faticaccia!

In che modo il processo di traduzione di una serie televisiva differisce rispetto a quello di un fumetto o di un’opera scritta?

Sono tre cose diverse. In un libro normalmente puoi permetterti la lunghezza delle frasi che vuoi, perché raramente sei legato a limiti di parole (considerate che la lingua italiana è molto più verbosa di quella inglese). Nel fumetto la cosa si fa più difficile perché la traduzione deve entrare nei “balloon”, anche se oggi è possibile allargarli graficamente per avere più spazio, ma non si può esagerare. In un dialogo per un film o telefilm bisogna tenere conto della quantità di sillabe, dei movimenti delle labbra, dei respiri, delle pause… non è facile! Personalmente però è la sfida che amo di più, soprattutto adesso che questo “lavoro” lo faccio più che altro per hobby!

Il mio viaggio più recente: con amici a Dublino. Qui sono “in compagnia” di James Joyce al Temple Bar Pub.

3. Sceneggiatura e Fumetti

Hai lavorato come sceneggiatrice per serie Bonelli come “Nathan Never” e “Legs Weaver”. Come è nata questa collaborazione e quali aspetti del tuo approccio creativo consideri fondamentali per il successo di queste storie?

La collaborazione è nata grazie ad Antonio Serra, uno dei “tre sardi” creatori di Nathan Never. Alberto ed io avevamo scritto alla redazione in occasione dell’uscita di Nathan Never per complimentarci della nascita, finalmente in Italia, di un fumetto di fantascienza! Antonio si mise in contatto perché anche lui grande appassionato di Star Trek, e ci chiese se volevamo provare a scrivere per la collana. Il fatto è che aveva riconosciuto la potenzialità del nostro lavoro a quattro mani: Alberto era un grande esperto di fumetti, da lettore e da disegnatore amatoriale, e io sapevo come scrivere dialoghi e storie. Non ho idea del perché le storie abbiano avuto successo (bisognerebbe chiederlo ai lettori!), ma è possibile che il connubio tra il punto di vista da “fan” di Alberto e il mio più professionale abbia dato un qualche sapore particolare alle nostre storie.

Il personaggio di Hadija, creato da te, ha avuto un impatto significativo nel mondo di Nathan Never. Quali sono stati i tuoi obiettivi nella creazione di questo personaggio e come è stato accolto dal pubblico?

Nessun obiettivo. La prima storia è nata solo come episodio “stand-alone”, e ci voleva un avversario del mese per Nathan. Abbiamo attinto al nostro essere trekker per creare un “cattivo” che non fosse realmente un cattivo e avesse qualche motivazione per le sue azioni. Personalmente non ho mai amato le automobili e questo è stato lo spunto per la trama. Ma non c’erano altri obiettivi. Mai avremmo pensato che la protagonista di un albo sarebbe diventata la “donna dell’eroe”! Però il personaggio di Hadija è piaciuto e gli altri autori l’hanno usato ampliandolo e facendolo crescere con una sua storia e un suo sviluppo. Ah, a proposito… il nome si pronuncia “hadìgia” con la acca aspirata e la g che ha il suono di una “dz”.

Hai qualche progetto in cantiere nel mondo del fumetto di cui puoi parlarci?

Quella parte della mia “carriera” è finita con la storia breve “Connessione” (uscita su Agenzia Alfa numero 37 nel 2016). Anche se non mi dispiacerebbe, un giorno, vedere pubblicata una sceneggiatura che avevamo scritto per Gregory Hunter e mai uscita perché la collana ha chiuso! Per molte ragioni diverse, comunque, non scrivo più se non qualche articolo o report per l’Inside, la rivista dello STIC-AL edita da Ultimo Avamposto. Ho perso la creatività perché mi manca l’input da “fan” di Alberto. Come ho detto sopra, il nostro era un lavoro a quattro mani, e farlo da sola è quasi impossibile.

Uno dei tanti momenti di incontro con il pubblico delle STICCON, qui nel 2016.

4. Star Trek Italian Club (STIC) e Attività di Promozione

Dopo la scomparsa di Alberto Lisiero, hai assunto la guida dello Star Trek Italian Club. Quali sono stati i momenti più sfidanti e soddisfacenti di questa esperienza?

I primi anni tre anni dopo la morte di Alberto sono stati una vera sfida, perché in concomitanza con il mio nuovo ruolo di “capitano” (e non più “primo ufficiale”, come dicevo sopra) ho avuto molti problemi personali (soprattutto economici) che hanno interferito pesantemente con il mio impegno amatoriale con l’associazione. Insieme a Nicola Vianello, Massimo Romani, Marco Pesaresi e Marina Domenicali, ho rifondato l’associazione, per aggiornarne lo Statuto e soprattutto per dedicarla ad Alberto: adesso si chiama infatti “Star Trek Italian Club – Alberto Lisiero”. Quello è stato un momento dolce-amaro per me, ma fondamentale, perché è stato allora che abbiamo raccolto il testimone lasciatoci dall’“Ammiraglio” e abbiamo deciso di portare avanti quello che era stato il sogno cui aveva dato vita nel 1986 insieme a Mariangela Cerrino, AnnaMaria Bonavoglia, Annarita Guarnieri, Marilena Maiocco, e altre, e che aveva fatto crescere con l’aiuto di tantissimi appassionati. La soddisfazione maggiore è quella che, nel corso degli anni, lo STIC-AL sia andato avanti restando quel faro di riferimento per gli appassionati con lo stesso spirito di aggregazione di sempre. Personalmente, ripeto, è stata una sfida non da poco, e infatti nel 2016 la mia depressione e i problemi privati hanno avuto il sopravvento tanto che ho dovuto lasciarne la guida in mani sicure, tornando ad essere una semplice Socia! Oggi, sono di nuovo pronta a rientrare in gioco se i Soci dello STIC-AL mi vorranno di nuovo alla loro guida (sempre mai da sola!)… ma questa è una sfida che mi attende a maggio, durante l’Assemblea Sociale che si terrà alla STICCON (all’interno della StarCon di Bellaria).

Lo STIC è ormai un punto di riferimento per gli appassionati italiani di Star Trek. Qual è il segreto della sua longevita e del continuo coinvolgimento dei fan?

Secondo me la risposta è semplice e profonda allo stesso tempo: la “morale” ottimista di Star Trek. Fondamentalmente conoscere persone che hanno la tua stessa passione è tipico di ogni associazione, soprattutto quelle non a scopo di lucro come lo STIC-AL in cui tutti fanno tutto volontariamente e per passione. Nello specifico c’è anche l’atteggiamento di apertura mentale verso ogni tipo di diversità tipico di Star Trek: l’universo è bello perché è vario, perché possiamo incontrare persone differenti da noi sotto ogni punto di vista (colore, religione, lavoro, etnia, provenienza sociale o geografica, ecc.) e godere di questa diversità. Incontrarci senza scontrarci! Potrebbe essere il nostro motto! Negli ultimi anni ho poi sentito molti nuovi associati dire che sono “saliti a bordo” del club perché si sentono parte di un sogno, e questo rinnovato senso di appartenenza (che c’è sempre stato) è forse ciò che rende lo STIC-AL così longevo e coinvolgente.

Puoi raccontarci qualche aneddoto curioso o speciale legato agli eventi e alle convention organizzate dallo STIC?

Ce ne sarebbero decine, forse centinaia. A cominciare dagli incontri causali poi diventati fondamentali nella creazione di coppie: per un certo periodo (e la cosa è ancora vera) ci divertivamo a chiamare lo STIC una “agenzia matrimoniale” tante erano le persone che si erano conosciute durante le nostre convention e che poi avevano messo su famiglia. Sono abbastanza vecchia da aver letteralmente visto i figli di queste coppie diventare adulti e creare a loro volta nuove coppie! Però c’è una cosa che differenzia le nostre convention… o forse dovrei dire tutte le convention italiane dedicate alla fantascienza (sia letteraria che di altri media) diverse e più soddisfacenti delle analoghe del resto del mondo, soprattutto diverse da quelle americane. I pasti! Pranzi e cene in cui, per ben due ore, le attività della convention si fermano e tutti i partecipanti vanno a mangiare insieme continuando a dibattere sulle loro passioni. Più di un ospite ci ha detto nel corso degli anni che questa è una cosa che non si riesce a concepire oltreoceano. Uno di questi ospiti ha detto, cito testualmente perché mi è rimasto così impresso che ricordo la frase a memoria: “Da voi in Italia sembra di partecipare ogni giorno a un matrimonio”!

5. Riflessioni sulla Fantascienza e il Futuro

Come vedi l’evoluzione della fantascienza in Italia e quali credi siano le differenze principali rispetto ad altri paesi?

A mio parere, il genere fantascientifico ha sempre sofferto qui in Italia perché come popolo non abbiamo l’abitudine a pensare razionalmente. Al contrario di paesi come gli Stati Uniti, la nostra cultura è prevalentemente umanistica, letteraria e artistica. Questo ci rende una nazione unica al mondo, e non c’è dubbio che immensa sia la quantità di artisti e letterati cui abbiamo dato i natali nei secoli. Ma  questo fa anche sì che un genere che si basa moltissimo sulla scienza e la scoperta di nuove tecnologie, faccia fatica a diventare “mainstream”. Però devo dire che le cose sono cambiate molto nel corso dei decenni: fino agli anni ’90 se fermavi qualcuno per strada e gli chiedevi se conosceva Star Trek ti guardava come se tu fossi fuori di testa, mentre oggi non siamo più mosche bianche! Tra fiere, piattaforme social e piattaforme di streaming la fantascienza è sempre più presente. Anche se alla fine è la fantascienza più spettacolare quella che si ricorda, la percezione che sia un genere solo per ragazzini o fuori di testa è finalmente scomparsa.

In che modo la cultura transmediale ha influenzato il modo in cui oggi si fruisce la fantascienza (fumetti, serie TV, film e videogiochi)?

Come accennavo prima, direi moltissimo. Però, quegli stessi media che hanno aiutato a sdoganare la fantascienza come genere non di nicchia hanno spostato l’attenzione dalla parola (scritta e parlata) all’immagine. Serie come la Classica di Star Trek o The Next Generation sono molto verbose rispetto alle serie TV di oggi. Un film “lento” come il primo di Star Trek al cinema oggi probabilmente sarebbe un flop. D’altro canto, per come la vedo io, oggi è molto più facile rispetto a una volta passare dal libro che hai letto alla saga da cui è tratto, o viceversa quando vedi un film o una serie che ti piace recuperarne il libro originale. Bastano pochi click sul web e puoi farti arrivare a casa fumetti, riviste, libri, videogiochi dei personaggi che hai scoperto nel film che sei per caso andato a vedere al cinema con gli amici. E questo aiuta moltissimo la diffusione della fantascienza in quanto genere. C’è purtroppo più superficialità nella fruizione: una volta dovevamo faticare così tanto per vedere quella serie TV o comprare quel determinato libro che ci gustavamo ogni minuto e ogni pagina. Oggi è tutto un po’ più “usa e getta”… ma quello che tra venti o quarant’anni verrà ricordato, rivisto e riletto, avrà retto alla prova del tempo.

Secondo te, come è cambiato il pubblico della fantascienza negli ultimi anni? Cosa cerca oggi uno spettatore o un lettore di fantascienza?

Posso dirti come sono cambiata io per quel che riguarda la lettura, perché non saprei rispondere generalizzando. So di essere un po’ anomala perché cerco utopie e non distopie, mentre moltissima letteratura di fantascienza è distopica e non fa per me. Ultimamente mi sono dedicata alla lettura di letteratura per bambini e ragazzi e lo stesso faccio con serie e film. Personalmente ho letto con piacere la saga del Robot Selvaggio e considero Wall-E un capolavoro della fantascienza. In generale per quel che riguarda i media i numeri parlano chiaro: l’immagine spettacolare è la preferita, rispetto all’introspezione dei personaggi o alla coerenza con la scienza e la tecnologia odierne. D’altronde è più difficile per chi produce creare prodotti che danno da pensare quando la concorrenza è spietata, e forse è per questo che si tende ormai a serializzare le avventure: si porta il lettore e soprattutto lo spettatore a dover vedere l’episodio successivo e quello dopo ancora e dopo ancora per capire la storia. Con serie in cui ciascun episodio è a se stante (ce ne sono ancora, ad esempio Doctor Who) si rischia di perdere lo spettatore a cui non è piaciuto l’episodio di quella settimana e che la settimana successiva non guarda più il prodotto.

6. Progetti Futuri e Aspettative

Hai qualche progetto futuro, nel campo della traduzione, della sceneggiatura o dell’organizzazione di eventi, che puoi anticiparci?

Continuerò a dare la mia consulenza ai dialoghi italiani per il doppiaggio di Star Trek, insieme a Marcello Rossi (il quale, in realtà, fa sempre la maggior parte del lavoro). E continuerò a farlo anche per Doctor Who, per cui sto già seguendo la lavorazione della seconda stagione del nuovo Dottore interpretato da Ncuti Gatwa. Come ho detto prima non mi occupo più di scrittura, anche se sto ripescando dei miei vecchi racconti per partecipare a due concorsi a cui tengo: Omega Short, legato alla StarCon, e Aliblu legato alla Sci-Fi-Universe. Per gli eventi, non sono più da anni in prima persona nell’organizzazione della StarCon e di altre convention, ma continuerò a fornire il mio aiuto volontario dove riesco a partecipare. Con “Il Mondo della Fantascienza” di Antonio Palazzo e Kappa, stiamo creando una specie di “enciclopedia” visiva della serie Classica di Star Trek commentata da Marcello Rossi e da me, con vere chicche dietro le quinte! E poi c’è un progetto dello STIC-AL a cui parteciperò in prima persona, che è però ancora in fase di studio, quindi preferisco per ora non dire niente.

Come immagini il futuro dello Star Trek Italian Club? Ci sono iniziative o novità in arrivo per i fan?

Da anni il club ha perso quello che era un suo punto forte all’inizio, ovvero la possibilità di fornire notizie fresche agli appassionati: con l’avvento del web negli anni ’90 e poi dei social, le notizie arrivano nel giro di pochi secondi all’intero mondo! Perciò personalmente vedo il nostro compito statutario di divulgazione di Star Trek e della fantascienza espletato in modo diverso: come occhio storico e presenza. La cosa unica dello STIC-AL è l’eredità di oltre trent’anni di storia di Star Trek in Italia: la storia di come, un po’ alla volta, case editrici, distributori di home video, cinema, negozi specializzati abbiano inglobato Star Trek nella loro produzione. Siamo stati i promotori di traduzioni e localizzazioni di ogni possibile media e abbiamo fatto di tutto perché la trasposizione in italiano dei prodotti Trek rimanesse coerente a se stessa (nella terminologia, ma anche nella cronologia “in universe”) e di alta qualità. E questa storia per me dovremmo raccontarla dappertutto, in ogni fiera, in ogni convention, in ogni evento si parli di fantascienza. Non per presenzialismo, ma per testimonianza. Perché alla fine ciò che abbiamo fatto in tutti questi anni è stato perseverare nel voler dare il meglio agli appassionati italiani di Star Trek. E poi, personalmente ho il sogno di un museo permanente dedicato a questa avventura di Star Trek in Italia, semmai riuscirò a trasformare l’Ammiragliato in un luogo visitabile. Ora è come entrare nel magazzino che si vede alla fine del primo film di Indiana Jones o nella serie Warehouse 13: c’è tantissimo (dialoghi del doppiaggio, prove dei fascicoli da edicola, riviste, libri e fumetti ormai introvabili, scambi epistolari con Soci ora famosi e tantissimo altro), ma è tutto nascosto in scatole e casse! Se vinco alla lotteria trasformerò tutto in un posto ludico e interattivo dove scoprire come lo STIC e Star Trek si sono evoluti dalla fine degli anni ’80 in poi.

7. Domande Personali e Curiosità

Se potessi viaggiare nel tempo, in quale periodo storico o futuro ti piacerebbe andare e perché?

Vorrei viaggiare nel futuro, dove spero di trovare una Terra come quella di Star Trek. Sono un’ambientalista della prima ora (quando avevo la sua età ero esattamente come Greta!) e quel che il nostro pianeta sta soffrendo a causa nostra lo trovo intollerabile. Vorrei vedere se saremo così saggi da rendercene conto in tempo e trasformarlo in quel paradiso utopico che Gene Roddenberry aveva immaginato. E così potrei tornare al presente e, a tutti quelli che oggi fanno di tutto per distruggere la nostra unica “casa-astronave”, dire con un sorriso… “non ci riuscirete!”

C’è un personaggio della fantascienza, della letteratura o del cinema, a cui ti senti particolarmente legata?

Molti, ma non posso fare una lista troppo lunga e quindi mi limito a citarne due: Luke Skywalker della trilogia originale di Star Wars, quello che passa dall’essere un ragazzotto di campagna a Jedi, perché è un po’ il percorso che ho fatto nella mia adolescenza per passare dall’essere ignara di questo mondo fantastico che è la fantascienza a nerd! E secondo ma non meno importante, William Riker, l’eterno “numero uno” a bordo dell’Enterprise-D di The Next Generation, colui che mette in pratica le decisioni del suo capitano ma ne è anche il braccio destro e un pochino la coscienza. Non ho mai considerato me stessa una “leader”, ma solo una esecutrice, per questo mi sento molto legata a quel personaggio che nella finzione aspetta moltissimi anni prima di accettare un comando tutto suo. Ecco… io sono un Riker che non è riuscito a salvare Locutus (lo so… questa è per nerdissimi!!!).

Un consiglio per chi sogna di diventare traduttore, sceneggiatore o promotore culturale nel mondo della fantascienza?

Studiate. Se volete tradurre, studiate le lingue, ma non solo col metodo scolastico, immergetevi nella cultura della lingua, frequentatela con libri, televisione, teatro, incontri al pub. Se volete sceneggiare o scrivere, leggete e imparate tutto ciò che hanno fatto prima di voi i vostri autori preferiti, fate ricerche sul loro metodo di scrittura, sulla costruzione dei personaggi. Imitate e poi troverete la vostra voce. E se volete organizzare eventi o fondare un club, ascoltate i vostri “colleghi” appassionati che avranno idee differenti dalle vostre: lo scopo di una fiera o di una associazione è quello di soddisfare i partecipanti, di dar loro non solo quello che vogliono ma quello che ancora non vogliono e non lo sanno. Per farlo, però, bisogna conoscerli e ascoltare ciò che hanno da dire. Avrete migliaia di opinioni diverse e sarà difficile (se non impossibile) accontentare sempre tutti, ma se darete il meglio nel farlo, anche gli scontenti riconosceranno il vostro sforzo e torneranno l’anno dopo, e quello dopo ancora.

8. Conclusione

C’è qualcosa che non ti è mai stato chiesto in un’intervista e che ti piacerebbe condividere con noi?

In realtà credo che me l’abbiano chiesto in passato. Ma sono arrivata a un’età in cui posso dire senza vergognarmi “non me lo ricordo più”! La domanda è… se nella mia vita applico l’IDIC, ovvero quell’Infinite Diversità in Infinite Combinazioni che è un po’ la definizione della “morale” di Star Trek. Ebbene… sì. Mi deliziano le differenze. Adoro i confronti con persone che non sono come me, che non la pensano come me, che hanno abitudini diverse dalle mie. Non amo gli scontri, questo no, e soprattutto non amo chi pensa di avere la verità in tasca… perché la verità assoluta non esiste. Come nella scienza esistono i fatti (la Terra non è piatta, a meno che qualcuno non dimostri il contrario), così nella vita esistono verità che sono vere per ciascuno di noi in modo diverso fin quando qualcuno non dimostra con metodo scientifico il contrario. E allora subentra il cambiamento. Ho cambiato idea tante volte nella mia vita, proprio per seguire le meravigliose diversità che mi si presentavano davanti. Ed è bellissimo.

Un messaggio finale per i fan di Star Trek, della fantascienza e per tutti i lettori di Mondospettacolo?

Siate entusiasti! Non perdete mai la curiosità di scoprire che è tipica del bambino che abbiamo in noi. E poi… consideratevi una goccia in un oceano: magari pensate di non essere importanti, ma senza ogni goccia presente, non ci sarebbe l’oceano. Quel che facciamo lascia un’impronta: fate sempre in modo da lasciare un’impronta positiva, anche se piccola, in questo mondo e negli esseri che lo abitano.


Una risposta a “Gabriella Cordone Lisiero: Viaggio tra Fantascienza, Traduzione e Passione per Star Trek”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Plugin WordPress Cookie di Real Cookie Banner
Verificato da MonsterInsights