Gauguin a Tahiti. Il paradiso perduto: Adriano Giannini e l’arte

Colori brillanti e paradisi esotici sono le caratteristiche di Paul Gauguin, noto pittore francese e principale interprete del post-impressionismo. Gauguin a Tahiti. Il paradiso perduto è il docufilm di Claudio Poli che vede la partecipazione straordinaria Adriano Giannini e che si inserisce nel ricco calendario della Grande Arte al Cinema.

Il docufilm trasforma in immagini il libro d’avventura che fu la vita di Paul Gauguin, con le sue luci e le sue ombre.

Dalla tranquilla vita borghese a Parigi alla selvaggia Britannia, fino alla fuga a Tahiti, dove resterà fino alla sua morte. La sua pittura diventa, così, originale e unica: la disperata e febbrile ricerca di autenticità prende vita nelle linee sinuose delle seducenti indigene, nei colori brillanti della natura più lussureggiante e selvaggia. È un cromatismo nuovo, legato ai movimenti dell’anima, alle più intime riflessioni sull’esistenza.

Gauguin è stato un’artista bohémien, dissoluto e tormentato, che ha cercato di fuggire dal moderno e caotico Occidente restando, però, sempre figlio di una potenza coloniale: dipinge tra le grandi palme ma con la mente rivolta al pubblico dell’Occidente. Questo paradosso si avverte in tutte le sue opere, oggi conservate nei grandi musei americani, dal Metropolitan Museum al Chicago Art Institute, dalla National Gallery of Art di Washington al Museum of Fine Arts di Boston.

Il docufilm si avvale delle testimonianze di esperti e critici come David Haziot e Belinda Thomson, ma anche del peculiare collezionista Paul Yeou Chichong o di fantomatici eredi tahitiani. Il racconto, inoltre, si arricchisce della lettura di Adriano Giannini di alcuni brani tratti da testi autobiografici, come il Noa Noa.

Gauguin a Tahiti. Il paradiso perduto, però, non è un film sull’arte del pittore, ma maggiormente incentrato sulla sua torbida e dissoluta vita privata. Aspetti e particolari dell’artista bohémien che non possono che far storcere il naso allo spettatore.

Il docufilm, infatti, non svela curiosità o analisi specifiche delle sue grandi opere.

 

 

Anastasia Mazzia