Ghost stories di Jeremy Dyson e Andy Nyman in home video per Midnight Factory

Ghost stories è molto di più della consueta storia di fantasmi vista e stravista al cinema in tutte le salse possibili. E di più anche di uno dei tanti filmetti horror che circolano in sovrabbondanza negli ultimi tempi. Sì, perché la questione della spettralità assume nel lungometraggio di Jeremy Dyson e Andy Nyman una valenza universale nella misura in cui il prendere forma del fantasma – il suo divenire ontologicamente consistente o, se preferire, fenomenologicamente visibile – incarna esemplarmente quel movimento di ritorno del rimosso che tanta valenza assume nella vita interiore dei singoli, ma anche, e soprattutto, sul piano collettivo, comunitario.

Il docente di psicologia Phillip Goodman (lo stesso Andy Nyman), un “positivista” intento con tutte le forze a smascherare gli eventi cosiddetti paranormali, ascrivendone l’origine alla tendenza all’auto suggestione dell’essere umano, si ritrova a doversi confrontare con tre casi “particolari” che eccedono l’ordinaria amministrazione. Il gioco innescato dai registi (e sceneggiatori), che hanno adattato la loro omonima opera teatrale, è efficace, laddove conduce lo spettatore in un labirinto di visioni e sensazioni, senza però mai sganciarsi da una prospettiva di osservazione radicata nella realtà.

Gli spettri appaiono e terrorizzano, spaventano, tolgono il fiato, facendo smarrire per sempre la serenità e l’equilibrio psicologico di chi li ha avvistati. Il cinema, allora, costituisce, in questo senso, il dispositivo per eccellenza per illuminare le presenze invisibili dei fantasmi, fornendo, con il suo rito liturgico della visione in sala, la possibilità agli spettatori, colti in un momento di aggregazione comunitaria, di confrontarsi con quel rimosso sempre destinato al fuori campo della prosaicità del quotidiano. Quelle improvvise apparizioni, mostruose, indefinibili e agghiaccianti, possono essere considerate una sorta di “irruzione del Reale”, che rompe la catena dei rimandi dei significati dell’ordine Simbolico, con la precipitazione di un “significante che marchia”, per dirla utilizzando alla buona il gergo lacaniano.

Il senso di colpa, il dolore e il passato non elaborato sono un resto indistruttibile che, se trascurato, torna a perseguitare gli individui assumendo forme insopportabili, impreviste. Circostanza che aveva meglio di tutti segnalato ed evidenziato Ingmar Bergman nell’incipit di Persona (1960), in quella potentissima sequenza in cui mostrava un ragazzino sfiorare uno schermo (cinematografico) in cui appariva, con i tratti sbiaditi – e perciò inquietanti – il volto della madre (Liv Ulmann), un’eccedenza che necessitava di un filtro (lo schermo) che la rendesse sopportabile.

Il finale a sorpresa conferma questa ipotesi, riconducendo chi guarda dall’evanescenza del fantastico alla “concretezza” dell’economia psichica, fornendo una buona occasione per tornare a confrontarsi con i fantasmi che agitano gli incubi di tutti noi. Non è nell’originalità della storia o della messa in scena che risiede il valore di Ghost stories, piuttosto nel suo lucido “fare segno” a questioni importanti, etiche ed estetiche, veicolandole con semplicità ma, al tempo stesso, grande efficacia; senza omettere di provocare, come un film horror deve saper fare, una consistente dose di spavento nello spettatore. Per questi motivi, ne consigliamo con convinzione la visione.

Distribuito da Midnight Factory, la prestigiosa collana horror di Koch Media, Ghost stories è disponibile in blu ray, in formato 2.35:1, con audio originale e in italiano (DTS-HD Master Audio 5.1) e sottotitoli opzionabili e un booklet incluso nella confezione. È presente anche una ricca sezione di contenuti speciali: Sul set di Ghost stories: la casa/la brughiera; Di cosa hai paura; Intervista ai registi; Trailer italiano.

 

 

Luca Biscontini