Ghost town anthology: l’horror ectoplasmatico secondo Denis Côté

Ghost town anthology si svolge a Irénée-les-Neiges, una cittadina isolata con una popolazione di duecentoquindici anime, dove Simon Dubé muore in un incidente d’auto. La gente del posto è restia a discutere le circostanze della tragedia. Da quel momento, per la famiglia Dubé, il sindaco Smallwood e uno sparuto gruppo di altri concittadini il tempo sembra perdere senso e i giorni si trascinano senza fine. C’è qualcosa che sta lentamente calando sulla zona: in questo periodo di lutto, fra le nebbie cominciano ad apparire degli sconosciuti. Chi sono? Cosa sta succedendo?

A queste domande ha già risposto a modo suo Laurence Olivier con il romanzo Ghost town anthology, un titolo che racchiude in sé il DNA di un volume che si avventura nel terreno dell’horror psicologico e metafisico attraverso una frammentarietà di eventi non lineari al centro della quale si compone un puzzle di one lines di un folto gruppo di personaggi.

Da queste pagine Denis Côté ha tratto un plot che mette insieme i tasselli, dando ad essi una forma e una sostanza cinematografica, ma soprattutto un corpus narrativo e drammaturgico al fine di consegnare allo spettatore di turno una trama che avesse un inizio e una parvenza di fine.

Così facendo, il cineasta canadese ha potuto portare sullo schermo – della sessantanovesima Berlinale prima e del diciannovesimo Trieste Science+Fiction Festival poi – un’opera che è, al contempo, una metafora per puntare il dito verso episodi di ordinaria xenofobia e una parabola sul dolore, sulla perdita e sulla loro necessaria elaborazione.

Per farlo si è appoggiato al cinema di genere, nello specifico all’horror paranormale, rievocando una vicenda ambientata in un periodo storico che vide il Québec attraversato da un controflusso migratorio. Nel mezzo si verifica un incidente che interrompe bruscamente una pace solo apparente.

La reazione fu una netta chiusura da parte di una comunità che si barrica dentro se stessa per affrontare in prima battuta la tragedia privata e collettiva per la scomparsa di un suo giovane componente, in seconda per provare a fare fronte comune verso l’arrivo dell’altro ritenuto una minaccia.

Ciò ne fa un film assolutamente attuale che, nonostante la veste di genere, le presenze ectoplasmatiche e il lievitare in aria di qualche essere umano, mantiene una corteccia fortemente realistica.

L’approccio narrativo e tecnico spingono l’undicesimo lungometraggio del cineasta canadese verso un realismo che trova nella scelta di filmare in sedici millimetri e a spalla landscape e corpi immersi nel bel mezzo di distese innevate che sembrano fuori dal tempo il cuore pulsante. Ghost town anthology si alimenta e trova in queste dicotomie il proprio fascino intrinseco e ammaliante.

 

       

 

Francesco Del Grosso