Gianfranco Caliendo: Memorie e Musica di un “Musicista Capellone”

Intervista a Gianfranco Caliendo, voce storica de Il Giardino dei Semplici, con il suo nuovo libro Memorie di un Capellone.

Cari lettori di Mondospettacolo, oggi vi voglio parlare di Gianfranco Caliendo e del suo nuovo libro, Memorie di un Capellone – Luci ed ombre di un successo anni 70. Questo libro vi porterà dentro un mondo che nasce negli anni ‘70, nel quale la voglia di libertà ed amore si respirava nell’aria, uomini e donne si tenevano per mano e insieme diedero un colpo di spazzola ad un mondo ormai obsoleto.

Gianfranco nasce a Firenze, nel 1956, da genitori napoletani.

Nipote del compianto chitarrista Eduardo Caliendo, docente al Conservatorio di Avellino e ideatore della collana Napoletana di Roberto Murolo, per la quale suona e arrangia in tutti i dischi. Gianfranco comincia a muovere i primi passi nella musica a 8 anni, con la Calace regalatagli dallo zio. Anche il nonno Ettore era un valente mandolinista. 

Nel 1974 fonda, con Gianni Averardi, il gruppo che caratterizzerà tutta la sua carriera: Il Giardino dei Semplici. Nella band, egli è voce solista, chitarrista e autore della maggioranza dei brani inediti. Tra i successi del gruppo, si ricordano M’innamorai, Miele, Tu, ca nun chiagne, Vai del binomio Bigazzi – Savio e, ancora, Concerto in La Minore, Napoli Napoli, Tu, tu, tu, Silvie, Carnevale da buttare, …E amiamoci e tante altre… scritte dallo stesso Gianfranco.

Nel 2001, sua figlia Giada Caliendo segna un grande successo internazionale grazie a Turuturu, scritta dal padre e presentata al Festival di Sanremo. In quattro versioni, vende circa un milione e mezzo di CD nel mondo.

Dal 2012, fuoriesce dal gruppo e intraprende una carriera solistica, proponendo nuovi brani di ottimo spessore artistico e il suo consueto repertorio rielaborato. Ad affiancarlo, è sovente la sua compagna cantautrice Flora Contento, con la quale scrive, tra le altre: Memorie di un pazzo; Non si fa (con il rapper Ciccio Merolla) e Cia’ guagliò, dedicata a Pino Daniele. Si ricordano inoltre due brani “all-star”: Radio Amore, con la partecipazione di Tonino Cripezzi dei Camaleonti, Francesca Alotta, Stefano Artiaco, Daniele Montenero dei Romans, Pietro Barbella dei Santo California e Gianni Minuti dei Daniel Sentacruz; infine, Amore azzurro, inno per la squadra del Napoli, con Gianni Donzelli degli Audio 2, Tony Cicco della Formula 3, i fratelli Artesi, Antonello Rondi, Patrizio Oliva e Monica Sarnelli. Nel 2015, festeggia i suoi quarant’anni di carriera discografica con un gran concerto al Palapartenope e un doppio CD: Quarantena

L’anno successivo, la coppia Contento/Caliendo scrive La musica italiana, interpretata dai frontmen di tutti i maggiori gruppi anni ‘70.

Il 2016 è l’anno del lancio dell’album Amanapoli, tutto in vernacolo e condiviso con la sua compagna di viaggio Flora, e parallelamente nasce la Miele Band, che lo accompagnerà in tutti i suoi concerti.

Nella foto: la “Miele Band”

Il 4 aprile del 2019, al Teatro Mediterraneo di Napoli, Gianfranco propone il concerto Anime, per presentare il nuovo singolo cantato in coppia con Nick Luciani dei Cugini di Campagna.

Nel 2020, nonostante il rinvio per il lockdown, scrive e mette in scena il musical Fatti Santo, al Teatro Troisi di Napoli, per 4 giorni. Tra i protagonisti: Antonello Rondi; Gigi Attrice; Bruno Cuomo e la stessa Flora Contento, coautrice di tutte le canzoni. Nello stesso anno compone e diffonde il singolo Io resto a casa.

Parallelamente, svolge attività di produttore discografico, editore ed insegnante di canto, per cui pubblica il libro Voci di dentro, saggio di tecnica vocale moderna.

Nel 1994 insegna canto, dapprima nella scuola di Castellamare e successivamente nella propria scuola di Napoli, che nel 2006 diventa una vera e propria accademia (Accademia Caliendo). Volendo, ci sarebbe da raccontare di lui molto molto altro. Ma oggi siamo qua per parlare del suo libro autobiografico dal titolo Memorie di un Capellone – Luci ed ombre di un successo anni 70  (IacobelliEditore). 

Memorie di un Capellone non racconta solo la carriera artistica del suo protagonista, attraverso ricostruzioni storiche e aneddoti affascinanti mai rivelati prima, ma anche l’ambiente musicale e il contraddittorio business discografico di un tempo… con onestà, ironia e in primissima persona.  A partire dalla Napoli dei primi albori degli anni settanta, fino ai giorni nostri, il libro è un viaggio costellato di luci e ombre, ma anche un inno profondo all’amore per la musica in ogni sua forma.

La prefazione del libro è di Giorgio Verdelli. Edito dalla IacobelliEditore, include una bellissima galleria fotografica. Le prenotazioni sono aperte presso: ordini@iacobellieditore.it

Volevo iniziare subito l’intervista parlando del suo libro dal titolo “fighissimo” Memorie di un Capellone. Cosa ha simboleggiato in quell’epoca il termine “capellone”?

Grazie. Anche il mio editore trova fighissimo il titolo! Effettivamente, negli anni ‘70 il “capellone” era un termine usato per indicare, al di là della lunghezza dei capelli, un movimento giovanile spontaneo e non politicizzato, che inseguiva dei valori in netta contrapposizione al boom industriale degli anni ‘60. Quindi, rispetto per l’ambiente, emancipazione culturale e artistica, ricerca musicale e costante desiderio di… libertà.

Cosa muoveva nei giovani di allora questa voglia di libertà?

Io penso che noi “capelloni” avevamo intuito che bisognava salvaguardare il mondo dalla mastodontica macchina dell’industrializzazione, dalla globalizzazione e da tante altre iniziative che avrebbero esattamente portato a quello che siamo adesso, con un cellulare incollato davanti agli occhi per 15 ore al giorno, con una scarsa educazione e rispetto per il prossimo, e con una crescente diffusione di mediocrità artistica e culturale. Come sempre, però, devo ammettere che il movimento dei capelloni nacque oltreoceano, con il grande “exploit” del concerto di Woodstock del 1969, seguito a ruota da quello europeo dell’Isola di Wight, nel 1970. Questi maxi-assembramenti di giovani restano il simbolo del “Peace and Love”, in cui si protestava contro le guerre intraprese dagli americani e si praticava l’amore libero da vincoli e da pregiudizi.

Negli anni ‘70 i temi sociali e l’amore furono fonte di ispirazione nel mondo artistico. Cosa lo ha spinto a diventare un “capellone”?

Io credo che “capellone” lo sono tuttora… ma non solo perché ho un pessimo rapporto con i parrucchieri per uomini. Mi sento ancora un capellone innanzitutto perché, come quando ero ragazzo, ho una scala di valori molto precisa, in cui “essere alla moda” non è assolutamente una scelta prioritaria. Tuttora vivo la mia vita con molta attenzione per i problemi sociali che dilagano, cercando di dare il mio piccolissimo contributo con dei “messaggi” artistici lanciati attraverso i mezzi di comunicazione attuali, tra cui anche i famigerati “social”, che solo in alcuni casi svolgono un ruolo importante per la comunità. Quando posso, faccio anche tanta solidarietà, e questa cosa mi fa stare bene e mi fa sentire utile al prossimo. Poi, sono innamorato dell’amore e cerco di cantarlo e di scriverlo nelle sue innumerevoli sfaccettature, cogliendone gli aspetti che più mi coinvolgono emotivamente. Per finire… nelle mie scelte di vita, sono sempre più attratto dalle località “semplici”, e mi sento più a mio agio in una trattoria di campagna che non in un ristorante di lusso, tutto bianco e scintillante.

La scena musicale Italiana ed anglosassone dell’epoca fu enormemente ricca e variegata. Quale fu la musica che più la ispirò nelle sue scelte?

Io ho avuto una crescita musicale molto particolare, nel senso che, essendo nato in una famiglia a “trazione” partenopea, con mio nonno Ettore mandolinista, mio zio Eduardo insegnante di chitarra al conservatorio e storico maestro di tanti grandi artisti napoletani, ho avuto già da bambino la possibilità di avvicinarmi alla musica. Anche mio padre Mario suonava vari strumenti. A casa di mio zio, mi incrociavo con Roberto Murolo, Sergio Bruni, Roberto De Simone, i fratelli Bennato, la NCCP etc… Nonostante questa faciltà, e le preziose lezioni di chitarra classica di mio zio, io, da buon capellone, sono stato molto presto attratto dalla sperimentazione e dalla libertà di espressione musicale, cosicché ascoltavo e studiavo sui dischi dei Led Zeppelin, dei Deep Purple, dei Vanilla Fudge e, naturalmente, dei Beatles. Poi adoravo le grandi vocalità “black” di oltreoceano, e divoravo i dischi di Stevie Wonder, Ray Charles, Aretha Franklin e Otis Redding. Ma, paradossalmente, ciò che maggiormente ha influenzato il mio modo di fare musica sono stati proprio i “capelloni” nostrani, in particolare i grandi cantautori come Battisti, Baglioni, De Gregori, Venditti, e i grandi “complessi” dell’epoca, come Equipe 84, Dik Dik, i Camaleonti, i “napoletani” Showmen e Alunni del Sole e, per finire in bellezza, i Pooh.

In questo lungo viaggio che ci accompagna nel libro, quali sono le luci e quali le ombre?

Nel libro, viene descritto e radiografato, minuziosamente, il racconto di un successo discografico di quel magico decennio, in tutte le sue sorprendenti fasi, con tante soddisfazioni raccolte, tante affermazioni e tante emozioni. Purtroppo, a questi momenti di “luce” intensa, in una carriera come la nostra, si sono alternate tante delusioni e difficoltà. Dall’esterno, il nostro era spesso considerato un “mestiere dorato”, invidiato e desiderato da tutti… ma io ho voluto invece raccontare gli ostacoli che quattro ragazzi, per giunta meridionali, sono costretti a superare durante il loro percorso. Porte chiuse in faccia, incidenti di percorso, pericolosi avvicinamenti camorristici, truffe e imbrogli contrattuali, solo per citare alcuni degli ingredienti nella lista delle “ombre”.

All’epoca, tutti gli artisti musicali avevano al seguito le “groupies”. C’è qualcuna che per lei è stata la sua Marianne Faithfull? La ricorda ancora?

Personalmente, non ho avuto occasione di legarmi ad una “groupie”, anche perché mi sono sposato giovanissimo e, a poco più di 21, avevo già un figlio a cui badare. Per le ragioni descritte nel mio modo di vivere da capellone, ho sempre preferito la famiglia e il lavoro allo svago e ai divertimenti e non ho alcun rimpianto a riguardo. In effetti, per tutta la fine degli anni ‘70 avevamo tantissime fans che ci seguivano e scrivevano alla nostra casa discografica. Arrivavano montagne di lettere e, in genere, le aprivamo tutte… a volte persino la mia ex moglie Milena le leggeva, e provava tenerezza per le ingenue “dichiarazioni d’amore” e proposte matrimoniali che arrivavano dirette a me.

Quali sono stati i momenti salienti che hanno segnato il cammino de “Il Giardino dei Semplici”?

Volendo sintetizzare il cammino della nostra band, credo che bisogna partire dalla prima tappa importante, cioè l’incontro tra il sottoscritto e Gianni Averardi, colui che ha creduto fortemente in questo progetto. Poi, la “benedizione” dei nostri due grandi produttori, Totò Savio e Giancarlo Bigazzi, in pratica la storia della musica pop italiana. Loro scrissero le nostre prime canzoni, tra cui M’innamorai, Vai e Miele. Una tappa fondamentale per il nostro cammino fu quando io ebbi la possibilità di scrivere, per la prima volta e con Gianni, la canzone Concerto in La Minore, scelta per il Festivalbar 1978. Sempre con Gianni, nella nuova struttura discografica WEA, scrissi tutte le canzoni inedite di B/N (Bianco e nero, 1979), che fu una vera svolta professionale: interamente in lingua napoletana, avemmo la possibilità di trattare argomenti sociali di un certo interesse, nonché di “sfoderare” un sound molto più evoluto e al passo con i tempi. Dopo l’ingresso di Tommy nel gruppo, abbiamo attraversato periodi non facili, per oltre trent’anni… ma credo che, comunque, sia riuscito a mantenere, attraverso le canzoni che scrivevo e gli arrangiamenti che suggerivo, un livello artistico piuttosto elevato che ha tenuto legati a noi i nostri fan, i quali tuttora continuano a seguirmi anche da solista.

Il suo rapporto con Napoli e con la scena artistica napoletana?

Il mio rapporto d’amore per Napoli comincia già dalla mia nascita… a Firenze. Infatti, nonostante la mia famiglia napoletanissima, io sono nato in riva all’Arno, ed evidentemente ho già respirato il desiderio di tornare a Napoli dei miei genitori. Infatti, avevo due anni quando i Caliendo decisero di rientrare nella propria città. Ho pensato più volte che, per motivi professionali, noi del Giardino avremmo dovuto trasferirci o a Milano o a Roma, ma questa cosa da decidere in quattro era davvero complicata e finivamo sempre per “trovarci” delle motivazioni per restare dove eravamo. Mi ricordo che una sera, in Piemonte, in una tournée stracolma di impegni che ci teneva lontani da Napoli da mesi, guardando in tv il film Carosello napoletano, cominciai a lacrimare come un bambino, e anche i miei ex amici erano commossi come me. Il rapporto con Napoli è così, viscerale, carnale e indissolubile. Poi quando, negli anni ‘90, ho cominciato a frequentare le biblioteche e a documentarmi per scrivere sulla rivista Cantanapoli della Masar, mi sono reso conto che avevamo una storia musicale straordinaria e irripetibile. Un patrimonio di canzoni, di eventi e di personaggi che sono stati, sono e saranno protagonisti assoluti della musica internazionale. Ormai, da qualche anno sono promotore di un progetto, affiancato dalla storica Radio Amore e dalla sua saggia guida Antonio Romano: Amanapoli.

Sotto questa denominazione sono nati dei concerti, una trasmissione televisiva e un disco condiviso con Flora Contento ma siamo solo all’inizio. Della scena artistica napoletana attuale penso che, purtroppo, con la scomparsa di Pino Daniele, le nostre energie si siano un momento assopite e non vedo all’orizzonte tanti giovani artisti, nati all’ombra del Vesuvio, che possano emulare la genialità e la creatività della precedente generazione. Cito però alcune eccellenze di cui vado, da napoletano, orgoglioso, e cioè: Enzo Gragnaniello; Enzo Avitabile; Roberto Colella de La Maschera; Ciccio Merolla e il mio “cavallo di razza” Christian Brucale, con il quale condivido il progetto Vienteterr.

Molte unioni importanti (mi vengono in mente Margaret Mazzantini e Sergio Castellitto) riescono attraverso il loro amore a creare arte con un trasporto unico. Lo stesso rapporto che lei ha creato con la sua compagna Flora Contento. Quanto è stato determinante nella realizzazione dei testi e della musica?

Negli ultimi anni, la mia scrittura musicale e letteraria ha avuto una svolta proprio grazie alla mia compagna Flora Contento. Lei, a differenza della Mazzantini, non lo ha mai fatto per professione, infatti nella vita lavora nel campo dell’ottica, ma è indubbiamente in possesso del “dono” della “parola facile”. Attraverso la sua penna, le immagini, le situazioni, i luoghi, le storie e le vicende si tramutano in un linguaggio sorprendente e mai banale. Lei sa cogliere, in ogni contesto, la parte più nascosta e più interessante dei sentimenti delle persone e li tramuta in parole. Inoltre, anche come cantante, la trovo un’interprete al di sopra del comune e riesce sempre ad emozionarmi.

Una domanda che mi piace formulare ai miei intervistati è: quanto c’è in lei oggi del bambino di ieri?

Io ho cominciato a lavorare molto presto, già a 14 anni. Parallelamente alla scuola, guadagnavo i primi soldini, sia con la musica che in altri contesti in cui facevo il lavoro di mio padre, nei centri elaborazione dati, a contatto con i primi computer. Poi, come ho accennato prima, ho messo su famiglia molto presto, con tutte le responsabilità e le preoccupazioni che un padre porta naturalmente con sé. Probabilmente, questa “precocità” mi ha portato a fondere dentro di me tantissimi aspetti del Gianfranco bambino. Mi ritrovo spesso a convivere con la spensieratezza e anche un po’ l’incoscienza di quel bambino, ma anche a sognare ad occhi aperti come lui, a fantasticare, a giocare con il mondo che mi circonda e a progettare futuri molto lontani. Con i miei allievi più giovani, mi diverto moltissimo e spesso mi sento uno di loro.

Ci vuole rendere partecipi dei suoi nuovi progetti? Dai videoclip al nuovo disco in progetto, fino ad arrivare al suo nuovo libro?

Diciamo che uno dei pochissimi aspetti di questo dannato Covid che posso ritenere positivi, è stato quello di avere molto tempo in più da utilizzare. Allora, anziché andare in depressione, ho preferito rimboccarmi le maniche e mettermi al lavoro per costruire le basi della mia attività post-pandemia. Ho finalmente scritto il libro che desideravo già da diversi anni di scrivere, che parla di me senza censure e… senza bugie. Poi ho scritto il musical Tarantella – Storia d’amore e di camorra, ma questo era già programmato, perché eravamo riusciti a mettere comunque in scena, nel settembre dello scorso anno, con grande successo, Fatti Santo; il musical dedicato alla figura del beato don Giustino Maria Russolillo, che tra pochissimo tempo verrà canonizzato. Dunque, abbiamo girato il videoclip del nuovo brano della Miele Band, con la grandissima novità che non sarò più da solo a cantare, ma ho dato spazio anche ai miei musicisti. In effetti, 38 anni di band con il Giardino mi avevano lasciato questa voglia di condivisione e di unione musicale e goliardica. Il singolo farà parte, comunque, di un progetto discografico che stiamo cercando di orientare nel momento più propizio per poter suscitare un po’ di attenzione.

Finalmente stiamo uscendo da un periodo veramente difficile per il mondo intero. Lei e la sua Miele Band quando riprenderete i concerti?

Questa domanda la leggo come un augurio che tutti noi musicisti auspichiamo che si avveri presto. In effetti, non posso esimermi dall’essere polemico con le istituzioni, perché hanno davvero trascurato le nostre esigenze e necessità. E non parlo soltanto del nostro settore. Per ora i musicisti sono ancora “al palo”, perché le restrizioni hanno determinato un’enorme confusione tra coloro che organizzano manifestazioni all’aperto. Qualcuno sta “osando”, ma la maggioranza dei comuni, delle pro loco, dei locali e delle parrocchie, sono ancora un po’ ferme con la programmazione delle feste. In particolare, le parrocchie sono anche bloccate da alcuni “regolamenti” dei vari vescovati che addirittura vietano, e non autorizzano, manifestazioni collettive all’aperto. Noi con la Miele Band, tuttavia, abbiamo già alcune date in calendario, ma le ritengo sempre “precarie” e condizionate dall’andamento del virus e dalle “creative” decisioni di chi ci amministra.

Che consiglio darebbe a dei giovani musicisti pieni di sogni e di speranze?

Nella mia accademia di musica, che gestisco da oltre vent’anni, sono sempre a contatto con tanti giovani, con i loro sogni, le loro speranze ed aspirazioni. Da parte mia, ho sempre avuto uno “stile” d’insegnamento che mi porta a suggerire ai miei allievi di non volare troppo in alto con le proprie ambizioni, per non ricevere delusioni. L’invito è quello di sognare “moderatamente” e di prepararsi per poter affrontare qualsiasi evenienza che la vita, prima o poi, ti mette davanti. Purtroppo i giovani sono bombardati, tra televisione, web e affini, da false immagini di “talent show”, nei quali viene sempre favorito il ragazzo più carino, o quello con le storie strappalacrime alle spalle, e raramente vengono premiati i veri talenti. Io cerco di fare scudo per proteggerli da questi bombardamenti, ma non posso certo impedire loro di sognare e di aspirare ad essere uno di quei partecipanti ai talent. Però una cosa posso dirla con certezza. Finora dai talent sono uscite alcune voci interessanti, che hanno avuto anche dei grandi successi, supportati e promozionati dalle reti televisive, ma purtroppo, in oltre vent’anni di talent, non abbiamo ancora assistito all’exploit di musicalità geniali, di cantautori o di interpreti originali in assoluto. Se fossero nati adesso i vari Battisti, Pino Daniele, Dalla, De André, De Gregori, etc.… non credo che avrebbero trovato spazio per uscire fuori da queste trasmissioni.

Quanto per lei è contata la disciplina oltre al grande talento?

Se per disciplina intendi il lavorare alle proprie idee con solerzia e attenzione, allora io penso di essere stato disciplinatissimo. Quando penso al mio lavoro, purtroppo mi isolo dal resto del mondo e sono capace di pensare alla frase di una canzone anche per tutta una notte. Dico “purtroppo” perché divento, in questi casi, “asociale”. Però, da insegnante, ti confesso che riesco ad ottenere maggiori risultati con la dolcezza e non con l’imposizione di regole e di provvedimenti disciplinari. Quando vuoi vivere nella musica e per la musica, non hai bisogno di sgridate né di regolamenti, perché se ne sei già innamorato non hai bisogno di chi ti impone di sposarla, è già tua moglie.

Grazie per essere stato con i lettori di Mondospettacolo. La aspetteremo nuovamente per raccontarci nuove emozioni professionali e di vita.

Grazie infinite a voi tutti, che avete un eccezionale portale sullo spettacolo, molto interessante e ben gestito, e complimenti per le domande pertinenti e originali.

Corinna Ivaldi

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