Ambientato durante l’alluvione di Genova del 1970, il romanzo “Quella notte senza luna” dello scrittore Giovanni Margarone affronta tematiche sociali assai attuali in una società in cui l’egoismo e l’intolleranza appaiono sempre più presenti e vani sembrano i moniti a combatterli.

La storia di Elena è, infatti, una denuncia sociale che mette in luce il problema dell’emarginazione e dell’indifferenza verso i più deboli. Un romanzo diverso dagli altri che l’autore ha scritto fin qui, perché più che mai ha voluto far comprendere, tramite la protagonista, cosa voglia dire vivere un’esistenza sempre in salita, dove la speranza sembra essere man mano più flebile fino quasi ad annullarsi.

Giovanni, l’idea di scrivere questo romanzo è nata in un periodo difficile della tua vita. La sofferenza interiore può quindi essere fonte di ispirazione e, talvolta, risulta ancora più insidiosa di quella fisica?

La sofferenza interiore può essere molto più insidiosa di quella fisica, perché per superarla occorre essere resilienti e la forza per questo spesso non si trova. Inoltre quando si soffre di patologie legate ala mente, sovente non si è compresi dagli altri e ciò aggrava di più il patimento.

Essere resilienti significa poter reagire a ciò che limita e questo io l’ho espresso scrivendo. Infatti, durante il periodo buio della depressione, lo scrivere ha acceso una luce in fondo quel tunnel in cui ero finito e proprio il mio stato sofferente mi ha indicato cosa scrivere, è stato fonte di ispirazione, appunto.

Andiamo indietro agli anni ’70. Rispetto ad allora come vedi la società di oggi?

Nonostante i catastrofismi ricorrenti, amplificati da un megafono mediatico permeato di falsi messaggi, io vedo la società di oggi per certi versi migliorata e non vorrei rivivere gli anni ’70 e ciò per tanti motivi. Per fare i confronti con il passato bisogna essere freddi, non lasciarsi influenzare da nostalgie ed emozioni e informarsi molto leggendo dati e statistiche.

Oggi si afferma che è aumentata la povertà, ma cinquant’anni fa le cose non andavano meglio. A livello globale il reddito pro-capite è aumentato e ora, rispetto a quel tempo, è in atto un vero riscatto del c.d. terzo mondo in cui è diminuita la mortalità grazie ai progressi della medicina e degli aiuti che a livello internazionale sono aumentati in questa nostra epoca. Abbiamo un’India, che da paese fortemente depresso e arretrato in passato, sta diventando un competitor rilevante nelle tecnologie e nel progresso scientifico, per esempio, e il Vietnam che sta diventando un importante partner commerciale con l’Occidente; credo che tutti conoscano le condizioni di quella nazione negli anni ’70, devastato da vent’anni di guerra.

Parlando di casa nostra, gli anni ’70 sono stati gli anni di piombo, del terrorismo efferato, dell’austerità e di crisi economiche e politiche forse peggiori di quelle dei nostri tempi. E che dire dell’assoluta mancanza di lungimiranza di chi ci governava a quel tempo, che non badò alle generazioni future: noi. Quelli erano gli anni della speculazione edilizia con conseguente cementificazione dell’Italia, dell’insensibilità verso l’ambiente, degli sprechi pubblici, dell’assistenzialismo senza limiti di cui ora proprio noi ne stiamo pagando le conseguenze a caro prezzo; i problemi di oggi sono originati dal passato, da quel periodo in particolare, quando si pensava solo al presente e oggi non si fa altro che rimediare a quegli errori con uno sforzo immane. A differenza di allora, si pensa alle generazioni future, al mondo come potrà essere un giorno, cercando di non ripetere gli errori di quel passato. Io non voglio dire che oggi sia la società del bengodi, non lo è affatto, ma la curva è comunque in salita, non siamo in un clima di recessione come tanti vogliono farci credere. Bisogna prendere le distanze da chi promana catastrofismo e apocalissi e giudicare le cose con la nostra testa, non con quella degli altri. Bisogna non perdere mai la speranza e non avere nostalgia del passato, perché la memoria tradisce e ci occulta il peggio lasciando solo il meglio.

Come si evolve la relazione tra Elena e Filippo?

È il cuore del romanzo e per questo non posso svelarlo. Posso dire soltanto che è un’illusione. Leopardi nei “Pensieri” ha approfondito filosoficamente – il poeta è stato uno dei più grandi filosofi dell’800 – il significato di “illusione”: il risultato con il quale la ragione riesce a dare sostanza al nulla dell’essente. Trasposto al mio romanzo, Elena – miseranda mendicante travestita da ragazza “normale” – seduce Filippo, a sua volta indotto a credere – e quindi illudendosi – che Elena sia una ragazza “normale”; lui che ha preconcetti sui poveri, lui che appartiene alla borghesia benestante che ripudia quel mondo di sotto fatto di disperazione e miseria. Elena si illude di vivere un amore autentico, ma ha il timore di essere scoperta da Flippo circa la sua reale condizione. Come si evolverà questa storia d’amore? Leggendo fino in fondo il mio romanzo.

Qual è il ruolo del padre di Filippo nella vicenda?

Il padre di Filippo ha un ruolo fondamentale nella formazione mentale del figlio, perché lo plagia con i suoi pregiudizi e pretende che lui frequenti solo suoi pari e, a maggior ragione, abbia relazioni amorose con ragazze adeguate alle sue aspettative. Filippo e suo padre simboleggiano quella parte di società arrogante che pensa solo a stessa, priva di ogni sentimento di carità e solidarietà.

L’amicizia e l’amore: ci lasci intendere che a volte il primo sentimento sa essere più forte e vero del secondo?

Nel mio romanzo l’amicizia e l’amore sono profondamente trattati e da ciò emerge che mentre l’amicizia può essere un sentimento duraturo, l’amore no, perché la prima è molto più forte del secondo. Difficilmente l’amicizia – che comunque è un altro aspetto dell’amore – è distrutta dal tradimento, mentre l’amore fra due persone può essere annientato dal tradimento e da cause e in brevissimo tempo.

Qual è il significato dell’alluvione nella storia?

Ho voluto l’affresco storico dell’alluvione, che fa in parte cornice al romanzo, per rendere più pregnante il pathos narrativo e per omaggiare Genova con il mio ricordo personale di quella tragedia che mai dovrà essere dimenticata. La memoria è importante.

Per concludere, hai in cantiere altri libri di denuncia sociale?

Per ora no, poiché preferisco variegare. Magari più avanti.

Grazie.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Plugin WordPress Cookie di Real Cookie Banner
Verificato da MonsterInsights