Gli Invasati di Robert Wise

«Nessun organismo vivente può mantenersi a lungo sano di mente in condizioni di assoluta realtà; perfino le allodole e le cavallette sognano, a detta di alcuni. Hill House, che sana non era, si ergeva sola contro le sue colline, chiusa intorno al buio; si ergeva così da ottant’anni e avrebbe potuto continuare per altri ottanta. Dentro, i muri salivano dritti, i mattoni si univano con precisione, i pavimenti erano solidi, e le porte diligentemente chiuse; il silenzio si stendeva uniforme contro il legno e la pietra di Hill House, e qualunque cosa si muovesse lì dentro, si muoveva sola.»  Così inizia una delle più famose Ghost Stories della letteratura del XX secolo, L’Incubo di Hill House, della scrittrice statunitense Shirley Jackson. Il romanzo del 1959, che porta il titolo originale di The Haunting of Hill House, ha avuto tre trasposizioni, due cinematografiche e una televisiva. Ed è proprio della prima di queste che voglio parlarvi oggi.

Uscito in Italia col titolo Gli Invasati, il primo adattamento per grande schermo del romanzo della Jackson porta la firma di uno dei più talentuosi registi hollywoodiani degli anni Cinquanta e Sessanta, Robert Wise, figura eclettica che nella sua carriera è riuscita a passare con risultati sempre eccellenti dal musical all’horror, dalla fantascienza al noir, dal western ai film di guerra. E così, il primo ottobre del 1962, Wise inizia le riprese di quello che sarà considerato uno dei suoi capolavori, ed una delle storie di fantasmi approdate al cinema più belle di tutti i tempi, The Haunting.

Un antropologo, John Markway, chiede ed ottiene di potersi recare, con un gruppo di studiosi e ricercatori, a svolgere delle indagini in una magione che si dice sia infestata dai fantasmi, Villa Crain (la Hill House dell’originale, che nel doppiaggio italiano, per qualche strana ragione, non verrà mai chiamata così). Nei suoi 80 anni di esistenza, nella sinistra villa sono successi i peggiori fatti di sangue: la moglie del magnate che la costruì, tale Hugh Crain, morì in un incidente in carrozza prima di poterla raggiungere, la figlioletta dei due, Abigail, vi crebbe ed invecchiò da sola, dopo la morte della seconda moglie del padre e la fuga del padre stesso, e la sua dama di compagnia fu ritrovata impiccata alla scala a chiocciola in metallo della biblioteca. Da allora nessuno ha più abitato Villa Crain, fino all’arrivo del gruppetto capitanato da Markway, di cui fanno parte la delicata e fragile Nora, che ha badato tutta la vita la mamma inferma e si è giocata dietro a lei la giovinezza, la bella ed affascinante Theo, ed il giovane Luke, erede della dimora, dalla quale spera di ricavare un ingente gruzzolo in futuro. I 4, chiusi nella villa, dovranno riuscire a capire se i fenomeni paranormali esistono veramente o sono solo frutto di dicerie e suggestione.

Girato in un glaciale bianco e nero, con un sottofondo musicale all’avanguardia per gli anni, che fa uso anche di effetti elettronici, senza alcun effetto speciale particolare e completamente privo di quei fastidiosi jumpscares che oggigiorno infestano il cinema per nascondere la mancanza di idee che spaventino davvero, Gli Invasati è un film che ancora a distanza di quasi 50 anni riesce a costruire una tensione quasi palpabile, ed è in grado di entrare dentro lo spettatore e suscitare nella mente di chi guarda i più martellanti interrogativi, primo fra tutti uno: Quello che sembra accadere nella villa accade realmente o in verità succede solo nella fragile mente di Nora che crede di aver trovato finalmente la sua dimensione personale fondendosi alla Villa Maledetta? Ed è così, con le sue suggestioni, i suoi toni cupi e goticheggianti, e le sue presenze solo suggerite ma mai mostrate, che Wise crea un horror potente ed ambiguo, giocato sui minimi elementi visivi e sonori, in grado di costruire un modello inarrivabile di tensione e coerenza narrativa, accolto con enfasi da pubblico e critica allora come oggi.

La casa maledetta, infestata dagli spiriti, presentata già prima dei titoli di testa come assoluta protagonista della vicenda e collocata nel film nel New England, è in realtà un hotel di lusso, l’Ettington Park, situato a Stratford Upon Avon, città natale di William Shakespeare. Gli interni non vennero ovviamente girati nell’hotel, ma sono tutti ricostruiti dentro agli Studios di Borehamwood, situati a una ventina di km a nord di Londra, dove sono stati girati grandi film quali Moby Dick, Il Dottor Zivago e 2001 Odissea nello Spazio. Il silenzio e la solitudine della campagna inglese pare abbiano giocato un ruolo fondamentale nella preparazione degli attori, i quali ebbero grande capacità di raccoglimento e concentrazione che permise loro di immedesimarsi totalmente col clima di tensione che si doveva ricreare. Si racconta che soprattutto l’attrice principale del film, la bravissima Julie Harris che interpreta Nora Lance, si sia integrata pochissimo col resto del cast, rimanendo per lunghi periodi da sola a respirare il clima inquietante delle locations, in modo da dar vita a un personaggio quanto più credibile possibile. Ed infatti saranno proprio il suo dissidio interiore, i suoi tormenti, il senso di colpa che la pungola da quando la madre è morta, che la porteranno a perdere completamente la percezione di quello che è e che non è reale, trascinando anche noi all’interno dei suoi deliri: dentro Villa Crain si stanno davvero manifestando dei fatti paranormali o è solo la suggestione che ci sta giocando un brutto scherzo? La casa è veramente viva, come viene suggerito più volte, o è solo una vecchia dimora i cui precedenti proprietari sono stati particolarmente sfortunati?  Perché l’attuale proprietario la definisce “malata, strana, folle, disturbata, nata male”, come se parlasse di una persona? E cosa sono i suoni, i rumori, i mugolii, le risate che durante la notte paiono avvertirsi tra le pareti della villa?

Wise non sembra realmente interessato a dare una risposta a questi interrogativi, anzi, sembra divertirsi a giocare con le nostre menti, talvolta suggerendoci che ciò che stiamo guardando sta accadendo davvero, ed altre invece facendoci credere che è solo la mente di Nora che vacilla…sarà lo spettatore che, completata la visione, dovrà scegliere se credere o meno all’esistenza dei fantasmi di Villa Crain. E forse è anche per questo che Wise non ha tentato di usufruire di effetti speciali particolarmente vistosi, perché, se avesse mostrato troppo, l’ambiguità sarebbe andata a farsi benedire. Ed invece è proprio l’ambiguità l’elemento fondamentale che permea tutto il film, persino nei rapporti interpersonali: il dott. Markway sembra avere un interesse sentimentale nei confronti di Nora, pur essendo sposato, ma sarà vero o sarà solo una proiezione dei desideri della donna, vissuta da sola accanto ad una vecchia fino ad allora? E l’interesse quasi omosessuale che Theo dimostra nei confronti di Nora è reale o anche quello fa parte di un gioco di ambiguità messo su per confondere lo spettatore? Non sarà dato saperlo, ma solo immaginarlo.

Quindi ancora oggi Gli Invasati mantiene intatta la sua forza espressiva grazie al genio di Wise, al lavoro perfetto dei truccatori e degli scenografi, ed all’ottima prova degli attori. Ancora oggi coinvolge e spaventa, ed i pochi effetti visivi, come le fasi di invecchiamento di Abigail che si susseguono sul suo volto (espediente già utilizzato felicemente da Mario Bava nel suo La Maschera del Demonio di due anni precedente), o la massiccia porta di legno che si incurva come sottoposta a una tensione sovrumana, sono molto all’avanguardia per l’epoca. Percorrere gli eleganti ma soffocanti corridoi di Villa Crain porta lo spettatore a compiere un viaggio tra l’onirico ed il reale, che disorienta e quindi non può che spiazzare e spaventare. I dialoghi, ottimi e mai scontati, aiutano nella costruzione dei personaggi e danno spessore alla trama, non sono mai vuoti ed inutili, l’uso di lenti distorcenti associate al bianco e nero rende tutto più inquietante e grazie alle scale musicali eseguite al contrario la paura e la tensione sono assicurate per tutta l’importante durata del film. E’ proprio grazie a questa perfetta combinazione di tutti gli elementi filmici che Gli Invasati viene ritenuto un capolavoro epocale, che ha riscritto e gettato le basi per nuove regole del genere “Case Infestate”, sfruttando però con maestria tutti i clichè del genere, dalle porte che sbattono agli specchi che confondono, dal vento alla presenza di oggetti minacciosi, alle scale pericolanti ed anguste. L’uso sapiente delle riprese distorte ed audaci, dei rumori molesti, delle luci e delle ombre, contribuisce perfettamente alla costruzione di un’atmosfera opprimente ma frenetica, spiazzante come l’irruzione improvvisa dell’assurdo nel quotidiano.

Molti sono stati gli omaggi che il cinema ha tributato a questo capolavoro, a cominciare dal remake del 1999 di Jan De Bont, uscito in Italia come Haunting – Presenze, che però manca completamente del mordente dell’originale, nonostante l’ottimo cast che vede tra i protagonisti Liam Neeson, Catherine Zeta Jones e Owen Wilson. Nel 2018 viene proiettata su Netflix la prima stagione di una serie diretta da Mike Flanagan, The Haunting of Hill House. Anche Stephen King omaggerà il capolavoro della scrittrice Shirley Jackson e quello di Robert Wise nella sua Rose Red, miniserie televisiva del 2002 diretta da Craig R. Baxley, per la quale il Re scrive soggetto e sceneggiatura, ispirandosi ovviamente a L’Incubo di Hill House. Il ballo che Nora improvvisa, come rapita, sotto il gruppo scultoreo che rappresenta Hugh Crain con le due mogli, la figlia, la governante ed il cane, viene ripreso e riadattato da Tim Burton in uno dei suoi gioielli più gotici, Edward Mani di Forbici, nella scena in cui Kim balla sotto la scultura dell’angelo di ghiaccio realizzata da Edward, avvolta in un turbinio di fiocchi di neve.

Nessun appassionato di storie di fantasmi può quindi dirsi tale se non ha visto questo gioiello del genere, preferibilmente accompagnando la visione alla lettura del libro da cui tutto ha avuto inizio.

https://www.imdb.com/title/tt0057129/

Ilaria Monfardini