Gretel e Hansel. Già. Non Hansel e Gretel. Stavolta è il nome della sorella che passa avanti a quello del fratello, in questa ennesima rilettura cinematografica della celebre fiaba dei Fratelli Grimm. A firmare questa versione ginocentrica della storia dei due poveri bimbi abbandonati e della strega cattiva troviamo nientemeno che il figlio del grandissimo Anthony Perkins, noto in tutto il mondo per essere stato il volto di uno dei più famosi psicopatici di tutti i tempi, il Norman Bates di Psyco. Ebbene, suo figlio Oz, nato nel 1974, dopo aver esordito al cinema come attore, oggi lavora soprattutto come sceneggiatore e regista, e Gretel e Hansel è il suo terzo lungometraggio, classe 2020. La sua rilettura in chiave femminile e femminista della fiaba dei Grimm è davvero stupefacente, perché vi è dentro una sensibilità che ci si aspetterebbe forse più da una donna che da un uomo. Ma tant’è, è così. Oz Perkins riscrive un’opera nuova partendo da un archetipo ben noto, e trasforma Gretel nella sorella maggiore, la quale stavolta dovrà occuparsi del fratellino, e non viceversa.

La storia classica è ben nota: Hansel e Gretel, cresciuti in una famiglia povera, vengono abbandonati nel bosco dal padre e dalla matrigna, e nel cercare la strada di casa si imbattono nella casetta di marzapane della strega cattiva, che li imprigionerà per mangiarseli a tempo debito. Ecco, di quelli che sono i punti chiave del racconto pochissimi sono stati mantenuti nella rilettura di Perkins. Qui la madre dei bimbi è sola, vedova o abbandonata non è dato saperlo, e non ha modo di nutrire se stessa ed i figli, così li caccia letteralmente di casa dicendo loro di andare a cercare riparo nel convento. Durante il cammino i piccoli troveranno dei pericoli e saranno soccorsi da un cacciatore, il quale li indirizzerà dai boscaioli, per farli lavorare presso di loro. Lungo la strada Gretel racconta a Hansel la storia di una bimba dal cappellino rosa che incarnava il Male in persona, per essere stata salvata dalla morte da una strega potente ma oscura che le aveva infuso il suo buio dentro. Una fiaba dentro una fiaba, tanto che Gretel mentre racconta si chiederà “Come si fa a diventare il personaggio di una fiaba? A me piacerebbe esserlo….”. Tra un racconto, una mangiata di funghi allucinogeni e una serie di visioni spettrali tra gli alberi, i bimbi giungeranno alla casa della strega, e da qui la storia si inserirà in un binario tutto suo, abbandonando completamente il sentiero seminato dai Grimm.

Due sono i campi semantici emblematici ai quali Perkins sembra attingere a piene mani: l’antico simbolismo che si nasconde dietro la figura della piramide e il culto atavico della dea madre e dell’eterno femminino. Gretel e la Strega sono entrambe due figure forti, strutturate, portatrici di un sapere e di poteri che o non sanno di avere o dei quali abusano senza accorgersi di strafare. La strega cerca in Gretel la sua erede, ma più che altro cerca di condividere con lei i suoi atroci segreti, come se facendole accettare i suoi incredibili poteri si ripulisse in qualche modo la coscienza dal modo torbido in cui lei è riuscita ad ottenerli. Gretel, quindi, è come la parte bianca, pura, angelica ed immacolata della magia nera, oscura e perversa della Strega. Hansel qui ha un ruolo assolutamente secondario, anche se di fatto diviene elemento fondamentale per far capire a Gretel quale strada seguire, e sarà proprio lui la chiave di volta finale di tutta la vicenda. E poi c’è la piramide, la figura iscritta dentro il triangolo. Piramide che avevamo incontrato già all’inizio, a incorniciare la prima apparizione della strega, come donna potente ma altra rispetto alla comunità in cui nasce la famosa bambina col cappello rosa, che richiama subito alla mente il villaggio di puritani del 1600 in cui vivevano Thomasin e la sua famiglia nel gioiello di Robert Eggers del 2015 The Witch. La strega come punto nevralgico al centro della simbologia piramidale, un’immagine veramente ancestrale, devastante. E la piramide ritorna, sia nell’architettura della casa della Strega in cui incapperanno i nostri fratellini fuggiaschi, sia nei sotterranei della casa stessa, dove si svolgerà l’incontro/scontro finale tra Gretel e Holda. Esatto, perché a chi di voi abbia visitato le famose piramidi egiziane, non può sfuggire la somiglianza che Perkins ha voluto creare tra la stanza segreta sotto la casa della strega e la camera funeraria dove venivano tumulati i faraoni delle prime dinastie egiziane. La stessa Holda, che nei sotterranei non è più una brutta e vecchia strega ma diviene una fanciulla dalla pelle candida e dalla bellezza innaturale, richiama nella foggia e nell’acconciatura le famose immagini delle più potenti principesse e regine dell’Antico Egitto. Egitto dispensatore di conoscenze remote, Egitto nel quale le donne avevano un ruolo principe nella società, quelle donne che Perkins ha voluto mostrarci come detentrici di poteri antichi che hanno tramandato attraverso i secoli. La casetta di marzapane, òvvia, lascia quindi il posto alla casa-piramide dalle suggestioni bauhaus (che sembra esistere veramente da qualche parte in Irlanda), dentro la quale non poteva che vivere un gatto di razza Sphynx, Sfinge.  E Gretel, non appena vi giunge, porrà il suo occhio nello spioncino della casa, per guardarvi all’interno, creando così un simbolo dalla fortissima valenza esoterica: l’occhio nel triangolo, l’occhio della provvidenza, i cui mille significati nella storia sono troppo estesi e variegati per poterli eviscerare qui, e lo stesso Perkins lascia il simbolo alla nostra personale interpretazione.

Resta il fatto che questo Gretel e Hansel è un romanzo di crescita e di formazione, un rito di passaggio, la storia di un’iniziazione, quella di Gretel, ma in qualche modo anche quella del fratellino: si tratta del cosiddetto Coming of Age. I due bambini vengono manipolati e diretti verso le rispettive strade da lei, Holda, ieratica e regale, effimera, suadente ed oscura, senza età e senza tempo, come l’ha definita lo stesso Perkins “una derivazione fiabesca di Darth Vader” i cui poteri sono orientati da un trauma iniziale. Gretel diventa donna, ed a sancirlo è l’arrivo delle prime mestruazioni; Gretel diventa strega, ed a sancirlo è un bastone biforcuto che sarà per lei una sorta di bacchetta magica primordiale. A interpretare le due grandi Dee del film troviamo Sophia Lillis e Alice Krieg. La piccola Sophia, ai tempi delle riprese appena sedicenne, è arrivata alla ribalta per aver interpretato Beverly Marsh, unico frammento femminile del Club dei Perdenti, in It di Andrés Muschietti del 2017. Alice Krieg, attrice sudafricana dalla lunga e variegata carriera, è nota al pubblico dell’horror per essere stata la perfida Christabella Wolf nella versione cinematografica del famoso videogioco Silent Hill, leader della setta diabolica che governa l’oscura cittadina. La Krieg ha quindi delle doti notevoli nell’interpretare villain ed antagoniste, e non delude nemmeno stavolta, dando vita ad una strega torbida e inquietante come non mai.

A rendere conturbante e spaventoso tutto il film non sono però solo le due brave attrici, che giocano la carta dell’innocenza turbata e della crudeltà repressa nel migliore dei modi, ma anche le spettrali atmosfere di cui sono permeate le riprese nei boschi irlandesi, che grazie alla superba fotografia di Galo Olivares ed alle musiche insinuanti di Bob, divengono davvero un mondo ostile e pericoloso nel quale sarebbe meglio non perdersi, proprio come era quello in cui si trovava a vagare, sola e cieca, la dolce e combattiva Ivy del capolavoro di M. Night Shyamalan del 2004, The Village. Ed i richiami a The Village si sprecano, perché in entrambi i film le foreste che circondano l’abitato familiare e confortevole divengono l’habitat di pericolose creature che non si sa se siano immaginarie o reali, ma tanto basta per far passare la voglia di attraversarle, a meno che si abbia un cuore puro e sincero, come quello di Gretel, come quello di Ivy. I bellissimi colori del bosco, delle foglie secche, dei funghi, servono solo temporaneamente a smorzare la tensione, perché gli alberi che si innalzano come spettri verso il cielo ci immergono nella dimensione più dark della novella più oscura mai scritta dai fratelli Grimm. L’impatto visivo di questo film è assolutamente una bomba, arriva come un quadro impressionista e ti trasporta all’interno della fiaba, in modo che anche noi possiamo sentircene un po’ parte. E’ impossibile non notare il richiamo alle atmosfere ed alle suggestioni care a Guillermo del Toro, che viene visibilmente omaggiato nella scena del lauto banchetto che è ovviamente ispirata a quella, affine anche come significato, oltre che come significante, de Il Labirinto del Fauno (2006).

Se questa è una versione a metà tra l’horror e il fantasy della famosa fiaba dei Grimm, molte volte Hansel e Gretel sono stati trasportati sul grande schermo: la prima volta che i fratellini più sfortunati della storia approdano al cinema è con un corto muto del 1897 del regista tedesco Oskar Messter, Hansel und Gretel; il primo lungometraggio che viene loro dedicato è invece del 1917, ed è il film americano The Babes in the Woods dei registi Chester e Sidney Franklin. Nel 1982 anche il regista Tim Burton si interessa alla storia dei fratellini nel mediometraggio Hansel and Gretel. In Italia troviamo una rilettura della storia a opera di Giovanni Simonelli nel 1990, Hansel e Gretel. Gli ultimi due film più noti dedicati ai due fratelli sono in realtà riletture molto libere e solo appena ispirate alla fiaba, cioè Hansel e Gretel – Cacciatori di Streghe di Tommy Wirkola del 2013 e Hansel e Gretel e la Strega della Foresta Nera di Duane Journey del 2013.

Ma è proprio questo Gretel e Hansel, così ricco di archetipi e significati, a porsi come summa della fiaba horror contemporanea, in quanto ne risulta essere compendio e paradigma, tradizione e rivoluzione.

Il film è attualmente disponibile sulle piattaforme Amazon Prime Video, YouTube, Apple TV, CHILI, TIM Vision e Google Play Film, ed in dvd e blu-ray Midnight Factory.

https://www.imdb.com/it/title/tt9086228


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