Hawkeye: una serie Marvel senza barriere architettoniche

È da poco terminata Hawkeye, la serie focus sul personaggio di Occhio di Falco e la sua partner, nonché erede “spirituale” Kate Bishop, disponibile sulla piattaforma Disney+.

Andata in onda dal 24 Novembre al 22 Dicembre 2021 la serie, che si compone di sei episodi della durata media di quarantacinque minuti, appartiene in tutto e per tutto al canone del Marvel Cinematic Universe (MCU) e si svolge dopo gli eventi di Avengers: Endgame, precisamente un anno dopo.

Clint Barton alias Occhio di Falco (Jeremy Renner), durante un soggiorno a New York si ritrova immischiato nelle disavventure della giovane Kate Bishop (Hailee Steinfeld), braccata da criminali che la credono Ronin, la versione “malvagia” del Burton post Avengers: Infinity War, disperato per aver perso la sua famiglia (poi recuperata). Proprio la famiglia è uno dei fili conduttori della serie, non solo perché lo stesso Hawkeye dovrà risolvere la situazione per riabbracciare la sua entro Natale (uno dei simboli per antonomasia dei legami familiari), ma proprio perché il concetto stesso verrà declinato in molti modi: da quella problematica, ossia quella di provenienza della co-protagonista, a quella criminale, a quella perduta (prendiamo ad esempio Maya, uno dei villain della serie, che ha perduto il padre da piccola, oppure Yelena Belova, la quale a sua volta ha perduto la sorella Natasha) e acquisita. Ovviamente, passando per il tentativo dello stesso Clint di mantenere “perfetta” la propria.

L’inclusione è poi il secondo punto cardine sul quale ruota Hawkeye. Due dei personaggi principali, infatti, sono portatori di disabilità: Occhio di Falco, nel rispetto dei fumetti, è audioleso, proprio come Maya (Alaqua Cox), che in aggiunta ha anche una protesi alla gamba. Vogliamo poi parlare dell’obesità di Kingpin, il boss finale interpretato da Vincent D’Onofrio (si proprio lui, il soldato Palla di Lardo di Full Metal Jacket)?  Potrà sembrare banale, ma, se nei fumetti è già da decenni che si sono superate determinate barriere, sul piccolo e grande schermo ogni volta che ciò accade è tutt’oggi un evento da ricordare. È tutta una questione di simboli, no? L’eroe deve essere forte. Debolezze? Al massimo psicologiche, emotive, traumi ma risolti. Questo va bene, però… deve essere “tutto d’un pezzo”. Direte voi lettori: “E allora Xavier degli X-Man?”.

Una risposta potrebbe essere: “È lui l’eroe o la sua squadra di giovani e atletici studenti?”. Che è un po’ come chiedersi se fa rumore un albero che cade in una foresta e nessuno lo sente. Un eroe con una debolezza “evidente” è sempre un atto di coraggio, soprattutto simbolico, anche oggi nonostante l’avanzare del politically correct e dell’inclusività. Questo perché molto spesso quelle barriere architettoniche menzionate nel titolo restano mura inviolabili, soprattutto nella mente del pubblico che dovrà giudicare. Hawkeye è un bel passo verso la normalizzazione e ci riesce senza evocare nessuna forma di pietà al riguardo; anzi, un calcio con una gamba metallica fa più male e il linguaggio dei segni può rivelarsi utilissimo in molte occasioni. In fondo, Occhio di Falco è pur sempre un Avenger, come ben ci ricorda il trashissimo musical iniziale del primo episodio. Daredevil non sei solo!

 

 

Dario Bettati