Era l’agosto del 1993 quando Hellboy mise per la prima volta i piedi in un fumetto. L’occasione fu un albo promozionale distribuito dalla Dark Horse Comics a una convention in quel di San Diego. Ma quello nato nella mente e dalla matita di Mike Mignola è uno di quei personaggi che non ha bisogno di presentazioni poiché ha impiegato davvero pochissimo a entrare nei cuori e nell’immaginario dei lettori prima e degli spettatori poi.
Risale, infatti, al 2004 l’esordio sul grande schermo del celebre detective del Bureau of Paranormal Research and Defense per mano di Guillermo del Toro, al quale sarà affidato quattro anni dopo anche il sequel (Hellboy II: The Golden Army). Nel mezzo un paio di lungometraggi animati e di videogiochi per allargare gli orizzonti del franchising, poi un silenzio audiovisivo durato oltre un decennio.
Ma l’attesa è finalmente terminata e a riportare il famoso diavolo rosso nelle sale ci ha pensato Neil Marshall, al quale è stato chiesto di firmare la regia delle nuove avventure cinematografiche del semi-demone che protegge la Terra dalle creature soprannaturali che la minacciano e nei panni del quale, stavolta, non vi è Ron Perlman, bensì David Harbour (star della serie Stranger things, al cinema con I segreti di Brokeback Mountain e La guerra dei mondi).
Il cineasta britannico, noto agli addetti ai lavori per il folgorante horror The Descent – Discesa nelle tenebre, non dà forma e sostanza ad un ulteriore sequel, ma riavvolge interamente il nastro azzerando la timeline con un reboot per scrollarsi di dosso quanto fatto prima dal collega messicano e segnare un nuovo inizio della saga.
In Hellboy il leggendario supereroe è chiamato in Inghilterra per combattere tre giganti infuriati. Qui scopre le sue origini e deve vedersela con Nimue, la Regina di Sangue (Milla Jovovich), un’antica strega resuscitata dal passato e assetata di vendetta contro l’umanità. Hellboy deve cercare di fermarla con ogni mezzo, in un epico scontro per scongiurare la fine del mondo.
Lo script di Andrew Cosby attinge a piene mani dalla matrice, molto di più di quanto fatto in passato da del Toro nei suoi due capitoli. Il risultato è una versione molto fedele al fumetto con plot, personaggi, humour nero e azione a fornire tutti gli ingredienti della ricetta originale.
Il mix che ne viene fuori è un divertissement politicamente scorretto che mescola senza soluzione di continuità adrenalina, qualche risata e una dose massiccia di splatter che mancava ai capitoli precedenti.
Alla spettacolarità balistica e semi-coreografica delle scene d’azione si accompagna una maionese impazzita di effettistica digitale, di make up vecchio stile, di ettolitri di sangue, anfratti, interiora e arti mozzati, oltre a un cocktail di battute al vetriolo ben piazzate e altrettante buttate lì per strappare qualche sorriso in più. Detonazioni più o meno fragorose, botte da orbi con l’immancabile pugno infernale, slow motion e accelerazioni come se non ci fosse un domani, una pioggia di lapilli di fuoco e proiettili di grosso calibro completano l’opera.
Detto questo, il rinato Hellboy di Marshall assolve al suo compito, offrendo allo spettatore le solite due ore piene d’intrattenimento a uso e consumo degli appassionati del filone e del personaggio in questione. Ciononostante, anche se quanto portato sullo schermo dal cineasta inglese ci ha riempito a sazietà, al contempo dobbiamo essere sinceri nel dire che il nostro cuore resta legato e affezionato ai precedenti capitoli, in particolare al secondo.
Narrazione e drammaturgia, in quel caso, avevano dimostrato una scorrevolezza, un equilibrio, una coesione e una completezza che in questo reboot sono venuti meno per lasciare spazio a un puzzle videoludico e fumettistico i cui pezzi sono stati messi insieme alla meglio.
In Hellboy vige il caos e Marshall, invece di riportare l’ordine, lo ha ulteriormente alimentato, assecondando la riscrittura a briglie sciolte di Cosby per poi divertirsi con la macchina da presa come si fa con un giocattolo nuovo di zecca.
Francesco Del Grosso
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