Hotel Artemis: resa dei conti nell’albergo del crimine

Sceneggiatore di blockbuster quali Iron man 3 Mission: impossible – Rogue nation, Drew Pearce esordisce alla regia con Hotel Artemis, che sembra riprendere la tematica degli alberghi adibiti a luoghi abitati da soli iscritti/criminali sfruttata nella trilogia John Wick per contestualizzarla in un futuro prossimo, in mezzo ad una vera e propria crisi sociale.

Nel 2028, precisamente, con una invecchiata Jodie Foster nei panni della protagonista denominata L’infermiera e, al suo fianco, Dave Bautista, Sofia Boutella, Charlie Day, Zachary Quinto e Jeff Goldblum; mentre per le strade impazza una rivolta popolare contro le autorità e la dittatura del paese.

Un contesto in cui troviamo esperti del crimine coinvolti in situazioni al di là del pensabile e che, rinchiusi nell’albergo del titolo, adibito a clinica pronto soccorso e gestito da L’infermiera (Foster) e dal suo aiutante Everest (Bautista), oltre ad essere feriti si ritrovano faccia a faccia, alle prese con una resa dei conti prossima ad implodere in un violento scontro: i fratelli Waikiki (Sterling K. Brown) e Honolulu (Brian Tyree Henry), appena scampati ad una rapina andata male, la misteriosa e bella Nice (Boutella), lo scontroso Acapulco (Day) e il grande capo Niagara (Goldblum), finanziatore e gestore dello stabile, che arriva accompagnato dall’ambizioso figlio Crosby (Quinto).

E, quando si hanno a disposizione una location stabilita e un gruppo di attori dai nomi di richiamo, appoggiarsi alla coralità è il minimo che un regista possa fare, quindi Pearce tira giù uno script capace di essere all’altezza della situazione, creando dialoghi che caratterizzino profondamente i personaggi, in modo che rimangano impressi nella mente dello spettatore.

Con una prima parte di film totalmente costruita attraverso questo espediente, si rischia sicuramente di far girare a vuoto, a tratti, l’intero racconto, aprendo parentesi improvvise (e anche gratuite, come quella dedicata alla poliziotta interpretata da Jenny Slate) che sembrano tirate in ballo solo per aumentare la durata; quindi, sebbene Pearce dimostri senso del dialogo e capacità di uniformare il microcosmo descritto, il tutto vacilla tra l’intenzione di creare uno sci-fi pulp degno di nota e l’idea che l’insieme sarebbe stato meglio se presentato in un pilot televisivo (che, in fin dei conti, Hotel Artemis sembra essere).

Una visione, quindi, l’operazione la merita di sicuro grazie alla forza trainante della scrittura e all’affidabile cast (con la Foster che spicca e il magnetismo trascinante della Boutella), ma l’impressione generale è quella di trovarsi dinanzi a un titolo non poco fine a se stesso che, in apparenza metafora sociale (ognuno dei protagonisti porta il nome di un luogo del mondo), rimane, probabilmente, l’occasione sprecata di assistere ad un prodotto adrenalinico e originale.

 

 

Mirko Lomuscio