I figli del fiume giallo: un melò per la nuova Cina che fa paura

Dall’acclamato regista Jia Zhangke – vincitore del Leone d’oro a Venezia, nel 2006, per il suo Still life – arriva I figli del fiume giallo, nuova opera incentrata sui cambiamenti sociali della Cina, che da paese contadino è diventata (o, meglio, ritornata) l’impero celeste, attraverso una espansione irrefrenabile in tutti i settori.

La storia de I figli del fiume giallo si colloca in una lunga linea temporale di oltre venti anni in cui il regista, sfruttando anche del girato precedente, porta lo spettatore sullo sfondo dei cambiamenti sociali e paesaggistici della Cina.

I figli del fiume giallo

Un’opera riuscita a metà, che non può non annoiare e che, in realtà, ci trasmette solo il timore per lo sviluppo incessante di questa nazione, che sembra pronta ad acquistare tutto il mondo.

Sebbene,  sempre parlando di un regista notevole come  Jia Zhangke, la critica sia lecita,  ci troviamo di fronte ad un lungometraggio che riprende fin troppo i temi dei suoi film precedenti. Nonostante le sue notevoli capacità mostrate anche nel raccontare i paesaggi rurali che ormai vanno sparendo in Cina, la lunga linea temporale riesce solo a confondere lo spettatore, anche il più attento. La  storia d’amore, ma ambientata nel mondo dello jianghu. La società nascosta e senza regole di piccole bande criminali cinesi senza fissa dimora. I due  protagonisti che si spostano dalla zone delle miniere di carbone dello Shanxi alla regione delle Tre Gole, sul fiume Yangtze, per poi tornare di nuovo a casa, lungo l’arco temporale di quasi vent’anni, e si ritrovano al termine delle loro vite in  condizioni terribili (con lui menomato da un ictus e lei reduce da anni di duro carcere).

Decisamente complicato è descrivere tutti i cambiamenti sociali e dei luoghi con tanti riferimenti totalmente sconosciuti al pubblico occidentale, a meno che abbiate avuto la fortuna di viaggiare nel celeste impero.

I figli del fiume giallo

Se il film, al termine, riesce a convincere dal punto di vista visivo, della fotografia e del solido cast (bravi i protagonisti Liao Fan e Zhao Tao, moglie del regista), lo sviluppo della trama finisce per rivelarsi eccessivamente frammentato per convincere lo spettatore e perfetto per annoiare il critico.

Il risultato finale , oltre a farci comprendere perché Trump insista così tanto con i dazi sulla Cina, in realtà ci porta solo molta bellezza stilistica, e, per parafrasare un noto cantautore romano, tutto il resto è noia.

I figli del fiume giallo, quindi, si riduce alla fine ad un interessante melò per chi vuole capire cosa sia successo negli ultimi vent’anni nel celeste impero, che, dopo aver subito i disastri economici di Mao Tse Tung, ora viene idolatrato dai giovani cinesi e si ritrova un nuovo imperatore in Xi Jiping, il quale non crede nella democrazia e incarna il nuovo social-capitalismo. Quello che vuole vendere merci cinesi a tutto il mondo e che, finora, sembra riuscirci con grande successo.

 

 

Roberto Leofrigio