IL CINEMA AMERICANO DEGLI ANNI 30: “LA PATTUGLIA DEI SENZA PAURA”

Questo film di William Keighley del 1935 è famoso soprattutto come film “simbolo” di una certa epoca (con particolari esigenze propagandistiche).
Il giovane avvocato Brick Davis (James Cagney, all’epoca star di molti film come questo) è cresciuto nei bassifondi, ma Mac McKay (William Harrigan) un gangster “non troppo cattivo” lo ha allevato e lo ha fatto studiare perché non diventasse un delinquente anche lui.
Quando il suo amico Eddie Buchanan (Regis Toomey), agente federale, viene ucciso dai gangsters, Brick decide di arruolarsi anche lui e combattere il crimine.
Inizialmente il suo nuovo superiore Jeff McCord (Robert Armstrong) lo accoglie con diffidenza se non addirittura con ostilità, ma Brick riuscirà a dimostrare quanto vale e a vendicare la morte dell’amico stanando tutti i suoi assassini.

Volendo non è un film che si segnala per particolare profondità o per una regia particolarmente autoriale (pur essendo peraltro di gradevole visione e ben confezionato). Caratteristica peculiare è invece il forte segnale propagandistico agli spettatori: in un’epoca in cui gangsters e criminali la facevano da padroni (per quanto il proibizionismo fosse stato abrogato), si sentì la necessità di ribadire al pubblico da che parte bisognava schierarsi, in questo film (e in quelli che seguirono, più la letteratura “pulp” e i fumetti), i poliziotti sono i buoni e i gangsters i cattivi, senza mezze misure. Perché fino a quel momento i film sui gangsters, a dispetto di intenti morali non ambigui (il gangster faceva sempre una brutta fine e giustizia era fatta) davano l’idea comunque di “esaltarne” le figure, mostrandoli sempre vestiti elegantemente, con belle auto e belle donne.
E se proprio devo dire la verità, è la sgradevole sensazione che a volte mi danno le recenti fiction sulla mafia: nonostante tutto, il messaggio sembra quasi essere sempre che il mafioso non lo è per colpa sua, e che per di più è onnipotente e chi lo combatte fa spesso una brutta fine (cosa che spesso non è riservata a lui, a differenza dei vecchi film americani dove almeno questo c’era), e in generale si finisce per domandarsi cosa possano imparare gli spettatori (soprattutto giovani) da questo genere di spettacoli, di cui non discuto la pregevolezza tecnica e artistica ma il messaggio finale un po’ troppo ambiguo e condiscendente verso il crimine organizzato.

Pertanto consiglierei a chi realizza le fiction sulla mafia di vedersi “La pattuglia dei senza paura” e domandarsi se non sia possibile dare messaggi un po’ più espliciti di sostegno alla legalità, e chi se ne importa se c’è meno “realismo” (il realismo è la rovina del cinema italiano, laddove il cinema senza sense of wonder e sospensione dell’incredulità non è quasi più cinema): educare gli italiani alla legalità non mi pare una causa disprezzabile.
Un paio di curiosità: pur non accreditato, si dice che per questo film abbia fornito la sua consulenza nientemeno che Edgar Hoover, all’epoca neo direttore dell’FBI (che sapeva quanto fosse importante la propaganda); inoltre si dice che (due anni prima) per creare il personaggio di Dick Tracy l’autore Chester Gould si fosse ispirato proprio al viso di Cagney, anche se l’attore poi più somigliante al personaggio disegnato fu Ralph Byrd (in film assai migliori del fiacco revival di Warren Beatty).

 Giuseppe Massari