IL CINEMA DI MONDOSPETTACOLO: DAVIDE COMOTTI INTERVISTA ENZO G. CASTELLARI

Come si è avvicinato al mondo del cinema?

Ci sono nato!

Anche Suo padre è stato un celebre regista: Le ha fatto da maestro? Oppure è stato autodidatta? Oppure chi Le ha insegnato le basi del mestiere?

Mio padre.

Qual è stato il primo film da Lei diretto?

Firmato “7 winchester per un massacro”…non firmati molti altri.

Il 1966 è l’anno di Pochi dollari per Django: ho sempre avuto il dubbio se il film fosse più Suo o di Klimovsky. Può dirimere la questione?

Mio…quasi tutto…

I Suoi primi film sono western: da cosa nasce l’amore per questo genere?

Sono sempre stato un fan dei western americani sin da piccolo.

Quella sporca storia nel West è, a mio avviso, uno dei Suoi western migliori, con la sua atmosfera gotica, onirica e tragica al contempo: mi può parlare un po’ della nascita di questo film?

Il soggetto era di Sergio Corbucci…era impegnato e suggerì il mio nome ai produttori. Ancora oggi, vedendolo, mi piace ancora !

Come mai negli anni Settanta realizzò anche i due western parodistici Tedeum e Cipolla Colt?

Mi sembrano estranei ai Suoi canoni estetici e narrativi.
Io, fondamentalmente, sono portato per il comico. Il film che amo di più è Helzapopping.

Keoma è lo struggente e spettacolare “canto del cigno” del cinema italiano, diretto proprio da Lei che è stato uno dei fondatori del genere: può raccontarmi un po’ la nascita e la realizzazione di questo capolavoro?

Manolo Bolognini mi propose il soggetto di Luigi Montefiori. Mi piacque, lo proposi a Franco e decidemmo di farlo. La sceneggiatura fu fatta senza di me perché impegnato nel Grande racket; quando la lessi non mi piacque e decisi con l’accordo degli attori e del produttore di buttarla via e girare, inventando le scene giorno per giorno…visto che la storia di Montefiori era perfetta.

Qual è, fra i Suoi western, quello che preferisce e/o ritiene più riuscito?

Keoma.

Lei è stato uno dei fondatori del poliziesco italiano vero e proprio, con La polizia incrimina, la legge assolve, che ha creato anche il mito del “poliziotto Franco Nero”: questo film nasce più da un intento sociologico o spettacolare? Glielo chiedo perché nel film convivono armoniosamente questi due aspetti. La stessa cosa vale per gli altri Suoi polizieschi?

Ambedue gli intenti fanno parte della mia cinematografia…in questo soprattutto.

Qual è, fra i Suoi polizieschi, quello che preferisce e/o ritiene più riuscito?

Il grande racket.

È nato un lungo sodalizio fra Lei e Franco Nero: com’è stata la Vostra collaborazione?

Straordinaria…abbiamo gli stessi gusti cinematografici, e durerà ancora…

Quel maledetto treno blindato è probabilmente il migliore e più spettacolare film di guerra italiano: è stata difficile la realizzazione?

Credo che il mio La battaglia d’Inghilterra sia migliore. Su Inglorious bastards ci hanno tolto le armi a metà film per una legge idiota…ho faticato molto a realizzare comunque il film con armi finte. Anche questo mio film posso rivederlo più volte e lo trovo molto riuscito, la misura fra azione e humor la trovo perfetta.

Nel corso della Sua carriera, Lei si è trovato a dirigere anche attori (italiani e stranieri) di fama internazionale: come si è trovato? C’era sempre una bella atmosfera sul set?

Non sempre. Se l’attore o l’attrice sono intelligenti non ci sono dispute, ma se sono stupidi io prendo la frusta.

Lei ha diretto in varie occasioni anche Wolfango Soldati, un bravissimo attore a mio avviso sottovalutato: mi può parlare un po’ di lui?

Non sottovalutato…lui decise di ritirarsi, da persona molto intelligente capì che i momenti d’oro stavano sparendo e lui scelse un’altra strada. Ho dei ricordi straordinari di Wolf…

Qual è l’attore che ricorda di aver diretto con maggior piacere? Quale invece con maggiore difficoltà?

Vittorio De Sica…il vero Maestro del Neorealismo…difficoltà non me le hanno create nessuno, sono io che, nel caso, le creo a loro !

Lei è considerato giustamente il Maestro del cinema d’azione made in Italy: com’è stato possibile realizzare sequenze così spettacolari come le sparatorie, le acrobazie, i ralenti?

Conoscere bene il Cinema…conoscere il montaggio…aver fatto tanta gavetta…aver fatto tanto sport…ed amare profondamente quello che fai !!!

Il ralenti è uno dei Suoi marchi di fabbrica: come nasce in Lei l’idea di questa cifra stilistica e come viene realizzato concretamente?

Dopo aver visto I sette samurai…ogni morte finiva con il ralenti…magnifico effetto che ho copiato…poi venne Sam Peckinpah!!!!! È semplice: basta girare a 120 fotogrammi! È solo difficile stabilire le inquadrature per regalare emozioni al pubblico. Ho visto che per tutti i miei imitatori la loro complicazione è proprio questa, invece per me è semplicissimo!

Una delle domande che mi sono sempre posto è: come mai nei Suoi primi film, invece, non ci sono ralenti?

È uno stile che è maturato, che ha preso importanza nei miei racconti visivi…poi mi è piaciuto ed è diventata una mia caratteristica, un mio stile!

Un’altra peculiarità dei Suoi film, soprattutto polizieschi, è la frequente ambientazione in luoghi ampi, chiusi e “geometrici”, come i magazzini abbandonati. Come nasce questa peculiarità?

Nella mia necessità di creare inquadrature corporee, intrigate, piene di pathos. L’ambiente chiuso e “contorto” mi facilita l’espressione delle immagini e quindi del racconto.

Lei ha toccato il genere thriller, molto in voga all’epoca, solo con Sensività e Gli occhi freddi della paura. Non è un genere che Le interessava?

No, assolutamente. Il primo non dovevo firmarlo e poi è diventato quasi un obbligo per salvare la situazione precaria del produttore, che poi tradì il mio sacrificio facendo girare altri dettagli e stupide scene, tagliando le mie, un disastro!!! Il secondo è stata una ginnastica sperimentale, creare l’atmosfera claustrofobica in una storia senza spazi…

A proposito di Sensività, mi può spiegare perché nacque la “doppia versione”?

L’ho appena detto. Non è un mio film, è stato modificato da beceri pseudo professionisti che volevano farlo diventare un horror…genere che aborro…

Perché negli anni Ottanta si dedicò al genere post-atomico?

Imitando gli americani…

Mi può parlare un po’ della Sua attività di regista negli anni Novanta e Duemila?

Serie televisive come Il ritorno di Sandokan…Deserto di fuoco…ed altri che voglio dimenticare. Odio lavorare per la televisione…potrei chiarire i perché ma non merita!

Com’è nata la Sua amicizia con Quentin Tarantino?

Lui mi ha contattato e contrattato. E’ cresciuto col mito di Inglorious bastards, che era il film CULT suo e dei suoi amici…fra di loro era un merito chiamarsi “BASTARDI SENZA GLORIA”!!!

Si parla, da un po’ di tempo, di un Suo futuro film western: può darmi qualche anticipazione?

No, grazie.

Davide Comotti