Lamberto Bava regista, sceneggiatore e produttore cinematografico italiano, figlio del celebre regista Mario Bava, ha seguito le orme paterne specializzandosi in film di genere, in particolare horror, thriller e fantasy.
Ha esordito alla regia nei primi anni ’80 ottenendo grande successo con film come “Macabro”, “La casa con la scala nel buio” e, soprattutto, “Demoni” e “Demoni 2” prodotti da Dario Argento e diventati cult del cinema horror italiano. Conosciamolo meglio con questa intervista!
Benvenuto su Mondospettacolo, Lamberto. È un onore averla qui. Lei ha firmato film come Macabro e Demoni, veri cult assoluti. Cosa cercava di portare di nuovo nel genere horror?
Io mi definirei un amante del fantastico. I miei film partono sempre da una storia, un’idea, un racconto che mi piaceva portare sullo schermo. Poi nascono film che prendono vita propria. Le storie che ho raccontato sono un po’ particolari, diciamo anche un po’ perfide, al confine del reale. È in questo che, per me, nasce il fantastico.
A proposito di Demoni, quest’anno si festeggiano i quarant’anni dall’uscita. È diventato un classico in tutto il mondo. Se lo aspettava?
No! Sicuramente, mentre lo giravo, sentivo che stava crescendo bene, ma non avrei mai immaginato che diventasse un cult. Beh, forse un piccolo pensiero ce l’ho fatto.
L’anno scorso ho assistito alla proiezione di Demoni in Giappone, con la musica di Claudio Simonetti’s Goblin suonata dal vivo durante la visione del film. Non ho parole per descrivere l’emozione nel vedere il teatro pieno e l’eccitazione del pubblico, con tanto di standing ovation. Secondo lei, perché questi film hanno ancora un impatto così importante?
Perché sono entrati nello spirito e nella mente di intere generazioni. A quei tempi avevamo trovato la chiave: era un periodo d’oro, eravamo in sintonia col pubblico. Questo si sente e rimane ancora oggi. Direi che alcuni horror di quel periodo sono rimasti evergreen.
Per Demoni 2 è stata scelta una colonna sonora molto cupa, tendente al dark, con artisti come Peter Murphy, The Smiths e The Cult, con la mitica Rain. È un genere musicale scelto perché si sposa bene con le immagini o è anche musica che ascolta e apprezza?
Sono sempre stato un amante del rock in senso lato, ma la musica segue sempre la nostra esistenza. Non ci sono ricordi che non siano legati alla musica. Io ancora mi emoziono con la musica degli anni Ottanta e Novanta.

Ha un aneddoto simpatico da raccontarci sul set di uno dei suoi film?
In questo momento mi viene in mente che molti dei miei film sono legati al metacinema, storie legate al mondo del cinema. In un mio film, la regista veniva uccisa, strozzata con la pellicola. Oggi, col digitale, non potrebbe succedere!

Molti dei suoi film esplorano la paura, l’inquietudine. Cosa l’attrae di questi territori oscuri?
La pulsione della paura ci accompagna dalla nascita per tutta la vita: ci attrae, ci atterrisce, non riusciamo a controllarla. Forse è proprio questo che mi inquieta e mi attrae.

Negli anni ’90 spiazza tutti con Fantaghirò, abbandonando zombie e possessioni per immergersi nel mondo delle fiabe. Le favole e l’horror hanno qualcosa in comune?
Le favole, per me, fanno parte dell’horror. Da bambino ti attraggono, forse perché ti fanno conoscere la paura. Ancora oggi, tra i miei ricordi, le favole sono tra i più vividi e hanno sicuramente avuto un ruolo importante nella mia formazione.

Qual è il suo rapporto con la tecnologia digitale e gli effetti speciali di oggi?
Quando servono, risolvono grossi problemi, ma non bisogna abusarne. Attenzione: per me, non vanno d’accordo con la paura. Il digitale può rendere la sensazione di falso, e questo non crea paura.
Un regista o un film recente che l’ha colpita?
Non ricordo… o forse mi fa piacere non dirlo.

C’è qualcosa nella vita reale che le fa veramente paura?
Delle mie fobie non ne parlo, ma ho paura un po’ di tutto. La paura si cela dietro le cose più innocue.
Cosa pensa del cinema horror italiano contemporaneo?
Mah, non so… Certo, non… lasciamo stare. Io sono uno di “quelli di prima”.
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