Domenica mattina di relax e colazione placida.
Agenda alla mano, per controllare tutti gli impegni della prossima settimana, mi accorgo che siamo al 27 del mese.
Il 27 è il mio numero fortunato, penso.
Già, fortunato per me.
Il 27 di questo mese, è tutto tranne che un giorno fortunato. E’ “il giorno della memoria”.
Una memoria, che però, sembra davvero essere troppo breve. Che fine fa la memoria già il 28 di Gennaio? E poi, ricordiamo davvero cosa non va dimenticato?
Per curiosità personale, mi sono presa la libertà di chiedere random cosa fosse il giorno della memoria. In molti , troppi, mi hanno risposto “ è il giorno in cui si FESTEGGIA l’Olocausto”.
Ecco, in quell’uso improprio del verbo ( festeggiare) risiede tutta la nostra dimenticanza e la falla che permette atti di antisemitismo e razzismo.
L’Olocausto non si festeggia! Si tratta del genocidio per antonomasia ,perpetrato dalla Germania nazista e dai suoi alleati ( noi eravamo tra quegli alleati. Nemmeno questo va dimenticato) nei confronti degli Ebrei d’Europa. Morirono tra i 5 e i 6 milioni di persone, considerate “ inferiori e indesiderabili”. 15 milioni di morti, questo vuol dire!
Olocausto, viene dal greco e significa ‘ bruciato interamente’. In lingua ebraica si parla di Shoah ( catastrofe, distruzione).
Si legge spesso nei libri di scuola che questo evento è un caso unico e non trova altri esempi paragonabili ad esso. Per fortuna , mi viene da dire!!! Ma il fatto che sia avvenuto solo una volta nella storia non è certo un’attenuante per l’umanità!
Quella stessa umanità ( immonda), che ha consegnato negli ultimi giorni tre pacchi contenenti teste di maiale ,alla comunità ebraica di Roma. Inutile spiegare il senso di questo gesto.
Tutte le nostre rappresentanze politiche e istituzionali, esprimono la loro solidarietà alla comunità ebraica….mmm….solidarietà.
E dov’è quella solidarietà negli altri giorni dell’anno, in cui ci dimentichiamo del giorno della memoria. In cui non si lascia libero sfogo all’odio razziale? Un giorno, per strada, una bimba di forse cinque anni , ha urlato :” Romanista ebreo!” a un tifoso in maglia giallo rossa. Il padre della bimba ( fautore di tali precetti ) aveva sorriso con un certo orgoglio, sentendo l’allieva figlia urlare. A me, invece, era salito un brivido gelido lungo la schiena.
Ecco, mi chiedo, come possiamo ricordare qualcosa che non conosciamo davvero. Perché , ne sono certa, il papà non si rendeva davvero conto del senso di quella frase insegnata a sua figlia. Questo, io me lo auguro per lui.
Come, non dimenticare qualcosa di cui sentiamo parlare solo un giorno all’anno e che sembra non riguardarci affatto?
Ci riguarda, invece, ci riguarda tutti. Pesa sull’umanità come un’onta indelebile. Questo ,andrebbe ricordato ogni giorno. Questo, andrebbe nutrito come pensiero. Inutile punire i ragazzi che riempiono di scritte offensive i muri delle città. Bisognerebbe parlare con questi ragazzi, invece. Spiegare, raccontare cos’è avvenuto, e incanalare e trasformare questa loro rabbia in qualcosa di costruttivo. O almeno fornire loro strumenti di conoscenza reale. La maggior parte delle nuove generazioni, cerca solo un’occasione per sfogare rabbia e violenza. Se non sanno, se non conoscono DAVVERO i fatti, la colpa, è delle vecchie generazioni. Che prese dai problemi contingenti, dimentica di dialogare e vigilare.
Sull’Olocausto, non esistono punti di vista. E’ stato ed è, un abominio.
Per avere memoria, occorre avere ricordi.
Ecco, ricordiamoci più spesso di questi fatti.
Devo essere rimasta troppo appesa a questo pensiero sul numero 27, perché il mio caffè si è freddato.
Ma è Domenica, e con calma , posso prepararmi una nuova colazione . E mentre accendo la macchinetta del caffè, mi tornano alla mente queste parole di Primo Levi: “Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case,voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo ,che lavora nel fango,che non conosce pace ,che lotta per mezzo pane ,che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare ;vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno. Meditate che questo è stato:vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore ,stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi. Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa,la malattia vi impedisca,i vostri nati torcano il viso da voi.”
E se ora il vostro caffè vi sembra un po’ più amaro, sappiate che non è una questione di zucchero, ma di coscienza.
Federica Quaglieri
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