Il mio capolavoro: truffare è un’arte !

De Il mio capolavoro è difficile scrivere una recensione senza rovinare tante sorprese e colpi di scena, essendo commedia un po’ nera, politicamente scorretta e, al tempo stesso, geniale.

Dall’Argentina arriva quello che potremmo perfino definire una sorta di buddy movie, dispensatore della storia dell’amicizia tra il gallerista Arturo Silva (Guillermo Francella), commerciante in arte, e il suo artista e amico del cuore Renzo Nervi (Luis Brandoni).

Nervi era un pittore in voga negli anni Ottanta, ma, ormai  decaduto e squattrinato, vive solo grazie all’aiuto dell’amico, che invano cerca di vendere i suoi nuovi quadri e continua ad indebitarsi per sostenerlo.

In una Buenos Aires che ci viene definita fin dall’inizio come una città bella, sorprendente, ma, al tempo stesso, sporca e decadente, il lungometraggio apre con Arturo Silva che si professa un assassino del suo amico e  che comincia a raccontarci questa incredibile storia.

Gaston Duprat, regista e sceneggiatore che aveva  già firmato le divertenti commedie argentine L’artista e Il cittadino illustre, riprende la tematica dell’arte, già presente nei film precedenti, e, insieme all’amico produttore Mariano Cohn, ci porta dentro questa storia su cosa essa sia, perché pochi individui riescono davvero a capirla (o, forse, non ne capiscono proprio niente).

In particolare, il plot si sofferma sull’arte contemporanea, dove non si comprende bene chi sia il genio o chi un semplice imbrattatele,  o perché un critico descriva in qualità di capolavoro una cosa incomprensibile alle masse.

E sta proprio nel titolo, forse, la soluzione di tutto, ma non vogliamo svelarvi assolutamente nulla di questa divertentissima commedia che prende in giro in modo intelligente il mondo dell’arte e che ci porta, con i suoi due protagonisti, all’interno di un universo che si sostiene solo con l’illusione.

Un film che andrebbe caldamente consigliato a Vittorio Sgarbi e a tanti altri suoi clleghi e che, una volta tanto, mette il critico cinematografico nell’ottima posizione di poter parlare benissimo de Il mio capolavoro, come, appunto, di un vero capolavoro della commedia del cinema  argentino.

E, nel contempo, permette allo stesso critico (quello che ora sta scrivendo queste righe) di dire che, probabilmente, tanti film artistici, come molti dipinti contemporanei, forse non valgono nulla.

In realtà, ciò che conta davvero sono solo i rapporti umani e, in primis, l’amicizia tra due persone, che è, come il film ci consente di apprendere, il vero capolavoro che vale più di qualsiasi quadro. 

 

 

Roberto Leofrigio