Dopo aver diretto nel 2020 The shift, con al centro la vicenda di due ragazzi che decidono di compiere un attentato terroristico a Bruxelles, Alessandro Tonda riprende in mano la macchina da presa per Il Nibbio, che racconta il rapimento di Giuliana Sgrena avvenuto nel 2005 a Baghdad.
Nicola Calipari, portato in scena da un ottimo Claudio Santamaria, è un alto funzionario del SISMI, e il 4 Febbraio del 2005 viene richiamato con urgenza mentre si sta recando in montagna per una vacanza insieme alla famiglia.

La giornalista italiana del Manifesto Giuliana Sgrena, incarnata da Sonia Bergamasco, è stata rapita a Baghdad mentre era di ritorno da un campo profughi ove si era recata per documentare le precarie condizioni della popolazione. Le notizie sono frammentarie, anche se già si parla di un commando sunnita autore del sequestro. L’agente Nicola Calipari per ventotto giorni fa la spola tra Roma, nella sede dei servizi segreti italiani, Baghdad, presidiata dall’esercito americano, e Dubai per cercare di ottenere la liberazione della Sgrena. Si parte da una sceneggiatura molto solida, scritta da un grande professionista come Sandro Petraglia e che si snoda su tre livelli: Giuliana Sgrena prigioniera, Calipari che media per liberarla e il ritratto dell’agente in versione più intima e familiare. Ogni parte del racconto vive di grande intensità ed emerge chiaramente la figura di Nicola Calipari, la cui storia e il suo impegno devono risaltare più di tutte: non a caso “Il Nibbio” è proprio il suo nome in codice. Bene anche Sonia Bergamasco, che con la sua performance immerge lo spettatore in uno stato d’angoscia claustrofobica.

Alessandro Tonda per portare sul grande schermo questa vicenda si affida interamente al linguaggio da film di genere, usando però un codice tipicamente italiano, senza voler scimmiottare i lungometraggi americani. Dimostrando che in Italia il genere lo sappiamo trattare in maniera davvero efficace. Curate sia le sequenze d’intermediazione che di stampo spionistico e d’azione. Le riprese sono state effettuate in Marocco per quanto concerne l’ambientazione di Baghdad e la messinscena è stata complessa, come dichiarato anche dal regista, ma ogni ingranaggio funziona benissimo, fornendo una ricostruzione degli eventi molto realistica. La fotografia dai toni seppia di Bruno Degrave crea l’atmosfera giusta per dare a Il Nibbio quella connotazione da spy thriller internazionale resa grazie anche alla bravura con cui il regista dirige il cast. Quello che la scrittura voleva sottolineare circa la persona sfaccettata di Nicola Calipari, professionista serio e padre di famiglia, riesce appieno, per merito anche alla grande interpretazione di Claudio Santamaria. L’attore romano porta in scena l’essere umano oltre “Il nibbio”, facendo prima un lavoro sul proprio fisico, dimagrendo parecchio, per riportare la figura di Calipari più somigliante possibile.

La sua fisicità esile era un elemento fondamentale per esaltare l’essenza di un uomo giocando in sottrazione, togliendo l’idea eventuale di eroe d’azione. Il risultato è determinante, è infatti riuscita l’empatia che si è creata attorno alla persona dell’agente segreto, il suo impegno per riportare a casa Giuliana Sgrena, e il lato umano nella relazione con sua moglie, cui presta il volto la brava e convincente Anna Ferzetti, e il rapporto con la figlia diciottenne, ben caratterizzata da Beatrice De Mei. Si nota l’impegno di aver voluto ricostruire una storia in maniera sentita, con profondo rispetto nei confronti di tutti ma, soprattutto, della memoria di Nicola Calipari, la cui morte, avvenuta a poche decine di metri dall’aeroporto a causa del fuoco “amico” americano una volta liberata la giornalista, resta ancora senza responsabili e colpevoli. Il Nibbio si conferma dunque una storia di cinema che adempie appieno al compito di servire come memoria storica, non lesinando però sul fronte delle emozioni che emanano quella malinconia di aver perso un grande uomo che ha sacrificato la propria vita per gli altri.
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