Disponibile dal 26 Giugno 2020 sulle principali piattaforme streaming, tra cui ITUNEs, Google Play, CHILI, Sky Prima Fila, Rakuten, CG Digital, Huawei, Infinity, TimVision e #iorestoinSALA, Il regno è l’opera prima di Francesco Fanuele, assistente alla regia di Nanni Moretti.
Che succede ad una persona assolutamente vuota di coraggio e di autostima se diventa improvvisamente un personaggio/modello da seguire? Trasformando in lungometraggio un suo short, è da questo interrogativo che è partito il giovane regista classe 1988, il quale si risponde: “Forse impazzisce o forse si risolve. E dove ambientare questo delicato percorso psicologico? Ovvio, tutto dentro una tenuta agricola nella periferia di Roma, dove le persone sono rimaste agli usi e costumi del 1100 D.C.”.
Il regno, infatti, inscena la vicenda di Giacomo alias Stefano Fresi, il quale, rinnegato e cacciato dal padre – quando era ancora dodicenne – dal casale di campagna che gli diede i primi natali, torna nel posto quando viene convocato per i funerali dell’odiato genitore dall’avvocato Bartolomeo Sanna, ovvero Max Tortora, che lo va a prendere in carrozza. Aspetto decisamente atipico cui si aggiunge il fatto che, una volta giunto nella tenuta, l’uomo trova un sacerdote che si esprime esclusivamente in latino e una folla di contadini vestiti di nero, che Sanna gli spiega trattarsi di amici del padre.
È uno scherzo? È tornato inspiegabilmente indietro nel tempo senza essersene reso conto? Niente di tutto ciò: ha ereditato dal defunto il Regno, ovvero terreni in cui una comunità di persone ha scelto di tornare ad una vita più umile, modesta, senza gli assilli della tecnologia moderna.
E c’è anche il tempo di perdere la testa per Ofelia, interpretata da Silvia D’Amico; mentre, tra prosperose ancelle ben disposte ad insaponargli la schiena e ricorso a bibitoni curativi che fanno effetto soltanto dopo quarantotto ore (!!!), Giacomo si trova a commettere il grave errore di essere socievole e amichevole nei confronti dei propri sudditi.
Nel corso di quasi un’ora e quaranta di visione esteticamente curata e volta in maniera chiara a proporre un cinema italiano diverso dal solito, caratterizzato da un taglio internazionale forse influenzato da determinate commedie francesi dal sapore surreale (pensiamo soltanto a I visitatori); sebbene Fanuele dichiari che l’assunto da cui prende il via la trama deriva dalla mitologia che Age, Scarpelli e Monicelli avevano nei loro lavori.
Eppure, al di là delle buone intenzioni, a risultare assente durante la poco coinvolgente evoluzione narrativa de Il regno è proprio quella verve comica che ha provveduto a rendere memorabile la nostra Commedia all’italiana, da Dino Risi a Carlo Vanzina. Tanto che si ricorre inutilmente a banali gag fantozziane come quella della freccia e che si ride raramente soltanto grazie ad un ristrettissimo numero di battute (una su Ofelia che si è tolta le mutande). Fino ad un ultimo momento posto al termine dei titoli di coda che, comunque, sfodera una sorpresa finale decisamente prevedibile.
Francesco Lomuscio
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