Il ritratto del Duca: il film testamento di Roger Michell

Presentato fuori concorso alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia 2020, Il ritratto del Duca vede al timone di regia Roger Michell, noto soprattutto per la commedia romantica Notting Hill, del 1999, e purtroppo spentosi prematuramente nel Settembre 2021, all’età di sessantacinque anni.

Triste perdita per il cinema e il teatro inglese, Michell ci saluta però nel migliore dei modi, lasciandoci in eredità un film meraviglioso.

3372_The Duke_Photo Nick Wall.RAF

Quella che il regista porta sul grande schermo è una storia vera, basata su un clamoroso fatto di cronaca: nel 1961, tal Kempton Bunton, sessantenne tassista inglese, rubò dalla National Gallery di Londra il prestigioso Ritratto del Duca di Wellington, dipinto di Francisco Goya. L’evento è rimasto nella storia britannica in quanto si tratta del primo e unico furto subìto dal noto Museo londinese. Per rappresentare la peculiare vicenda, Michell decide di servirsi di due mostri sacri della recitazione anglosassone, entrambi Premi Oscar: Jim Broadbent, a interpretare il signor Bunton, ed Helen Mirren, nel ruolo della moglie Dorothy. I due professionisti sono gemme dalle quali è letteralmente impossibile non rimanere impressionati. La sintonia in scena è pressoché perfetta ed empatica. Gli attori si destreggiano con eleganza ed estrema facilità, esaltando ulteriormente un copione funzionale e ben scritto dalla coppia Richard Bean – Clive Coleman. La famiglia Bunton non può definirsi povera ma nemmeno benestante. Vive la propria “stabile” precarietà con dignità. Oltre ai due figli maschi, i coniugi avevano anche una femmina che purtroppo perse la vita a soli diciotto anni, a causa di un incidente avvenuto con la bicicletta che le aveva regalato suo padre.

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Il senso di colpa non ha mai abbandonato il signor Kempton, il quale prova a far rivivere la ragazza nelle opere che scrive da autodidatta, con la vana speranza che i broadcast le notino. Eppure il dramma familiare resta solo un sottofondo, presente sì ma affrontato con maturità, nonostante le difficoltà intrinseche. L’ironia non manca mai, soprattutto nella vita di Mr Bunton che, tra un lavoro che perde e un altro che trova, si trasforma in improbabile paladino della legge. Un divertente quanto inappropriato supereroe di quartiere, sempre pronto a brandire un pezzo di cartone bagnato con su scritto lo slogan di turno pur di aiutare il prossimo. L’uomo crede ancora nella giustizia, nonostante una società che man mano vede dissiparsi attorno a sé. È contro qualsiasi tipo di iniquità, dalla discriminazione razziale sul posto di lavoro, fino al più banale canone televisivo a pagamento per i pensionati. Sarà proprio questa sua natura altruista, seppur stralunata, a trasformarlo in un atipico Robin Hood che, anziché rubare ai ricchi per dare ai poveri, preferisce “prendere in prestito”.

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È con questa folle intenzione che sottrae il quadro di Goya al Museo, chiedendo poi un surreale riscatto  da donare alle sfere sociali che, secondo lui, necessiterebbero di supporto. Il processo al quale verrà sottoposto si trasformerà in un vero e proprio palcoscenico dove la maschera facciale straordinaria di Jim Broadbent diventerà icona e il personaggio di Kempton riuscirà a prendersi la sua definitiva vittoria morale. Michell ci regala un’autentica perla filmica. A differenza del ritratto firmato Goya, del quale non venne mai ritrovata la cornice, il film la sua ce l’ha e la espone: Il ritratto del Duca è un’opera d’arte incastonata all’interno di una preziosa cornice di humour e tipica raffinatezza britannica. Le ambientazioni umide della grigia e industriale Newcastle sono mitigate dal calore della carta da parati di casa Bunton e dai tè che i coniugi sorseggiano quotidianamente, tra frecciatine sagaci e timidi (ma profondi) sorrisi di un’intima complicità che denota l’indissolubile legame marito-moglie. Il pubblico non può far altro che restare ammaliato dalla coppia attoriale, sorridere delle sue divertenti schermaglie domestiche ed emozionarsi per l’assurda semplicità e comprensione di cui spesso l’essere umano necessiterebbe, a partire dalle mura di casa.

 

 

Alessandro Bonanni