Il viaggio di Yao: Omar Sy alla ricerca delle sue radici

Yao (Lionel Basse) vive nel nord del Senegal, ha tredici anni e vuole incontrare a tutti i costi il proprio idolo: Seydou Tall (Omar Sy), un celebre attore francese invitato a Dakar per presentare il suo nuovo libro. Per realizzare il suo sogno Yao organizza la sua fuga a trecentottantasette kilometri da dove vive. Toccato dal gesto del ragazzo, Seydou decide di riaccompagnarlo a casa, attraversando il Paese, e, tra mille avventure, per la strana coppia sarà un rocambolesco ritorno alle radici.

Diretto da Philippe Godeau, Il viaggio di Yao è un ennesimo ritorno al cinema per Omar Sy, che già aveva affrontato il tema delle origini  e delle radici in film come Samba e Mister Chocolat. Ma stavolta l’attore recita e co-produce con entusiasmo nel Senegal.

Il viaggio di Yao

Di questi tempi,  con le numerosi tensioni dovute alle migrazioni che avvolgono la vecchia Europa, la tentazione per chi scrive sarebbe quella di consigliare il medesimo viaggio a chi, magari, ora è al governo, o, in modo molto più cattivo a chi, invece, aveva promesso che al termine dei suoi impegni politici si sarebbe dedicato all’Africa. Ma non sarebbe giusto e corretto nei confronti di un validissimo lungometraggio che sceglie la formula sempre vincente del viaggio, oltremodo mettendo un ragazzino affianco ad un Omar Sy che, con semplicità, gli spiega la sua vita. Ragazzino che si dimostra preparatissimo, in quanto ha letto tutti i classici di Jules Verne (e vi sfidiamo nel trovare bambini francesi o italiani che lo abbiano fatto), e che aspira anche lui a diventare famoso come il suo idolo. Idolo che è un attore impegnato a presentare un libro di successo che parla della sua storia, ma che, in modo più ambizioso, pensa di scrivere un Harry Potter versione africana (del resto i maghi ci sono ancora in Africa, come spiega con disarmante semplicità).

Tutto Il viaggio di Yao riesce perfettamente a portarci dentro il bellissimo Senegal pieno di contraddizioni mostrandoci il semplice cuore dell’Africa, dove basta poco per essere felici e che, forse, i pochi ricchi che schiacciano ancora le banlieu affollate o fanno scendere in strada ogni sabato tanti gilet gialli ci raccontano dalla via sbagliata che si continua a seguire.

Il viaggo di Yao

Nel film Omar Sy diventa un inedito uomo di colore molto bianco dentro, soffre per il caldo, non comprende nulla o quasi di una cultura dalla quale lui stesso proviene. Il compito che gli affida il regista è, in realtà, quello di mediare, di mostrare ai suoi connazionali (quelli che potremmo definire, per citare un’altra sua pellicola di successo, “quasi amici”) che esiste un mondo molto differente da quello che i telegiornali ci riportano. Un mondo vero fatto di valori e vita semplice che merita il rispetto. Un rispetto che non è mai arrivato per la vera culla dell’umanità: l’Africa.

Inoltre va considerata l’ennesima capacità del cinema francese di questi tempi – mgrazie ad  uno stuolo di registi sempre più bravi – di affrontare senza mezzi termini tutti i problemi e le contraddizioni del proprio paese, mettendo i loro numerosi spettatori a confronto con la realtà. Davvero un compito lodevole nell’era dei social, dove tutti pensano di sapere tutto e, in realtà, avrebbero bisogno di un bel viaggio in Africa, ma senza postare foto dall’amato cellulare.

 

 

Roberto Leofrigio