Per anni abbiamo imparato ad amarlo come Trinità, dividendo la scena con il compagno d’avventure di sempre, l’”ingombrante” e barbuto Bud Spencer. Poi è arrivato alla gloria televisiva grazie a quel serial Don Matteo, in cui veste i panni di un sacerdote investigatore dalla parlata filosofica.
Nel 2018 Terence Hill è tornato in un nuovo film che lo ha riportato sul grande schermo, da cui mancava dai tempi di Botte di Natale, che nel 1994 segnò il canto del cigno di un genere a base di scazzottate e risate, condiviso per decenni con il già citato e compianto Spencer.
Vedendolo impegnato anche dietro la macchina da presa, Il mio nome è Thomas sfrutta una trama che consente a Hill di ricoprire il ruolo che maggiormente lo rappresenta: il cosiddetto cavaliere solitario, ma in una versione moderna e riveduta, un po’ come lo fu già nel 1987 in Renegade, un osso troppo duro.
Tutto parte dalla passione per un libro di Carlo Carretto, che spinge il protagonista Thomas (Hill) – un uomo avanti con l’età ma sempre dedito a gettarsi nell’avventura – a intraprendere un viaggio dall’Italia verso l’Almeria a cavallo della sua Harley Davidson.
Strada facendo incrocia la giovane Lucia (Veronica Bitto), ragazza in fuga da un gruppo di malviventi che ha derubato, e, insieme, cercano di arrivare a destinazione; sebbene vi saranno deviazioni improvvise in un lungo tragitto che li porterà a ritrovare se stessi.
Nonostante sia sempre stato portavoce di un cinema pregno di ironia e messaggi importanti, l’Hill di oggi è ormai un personaggio virato verso il poetico e, tra virgolette, il socialmente impegnato.
Prendendo ispirazione da un libro di Carretto, mette in piedi Il mio nome è Thomas ricorrendo al medesimo sguardo sincero che guida il suo modo di agire oggi, impegnato a lanciare numerosi messaggi morali (Don Matteo docet).
Un’operazione che gli consente di cimentarsi con un contrasto generazionale tra l’anziano ma pur sempre attivo protagonista e la problematica ragazza interpretata da una convincente Bitto. Un discorso che all’ex Trinità mancava nella filmografia e che intraprende poggiando, appunto, su un sottotesto filosofico e poetico, contornato dalle lande desolate della Spagna più arida, sfondo perfetto per l’aurea mistica alla base di tutto il progetto.
Ovviamente, il buon Terence si circonda di collaboratori fidati per questa sua nuova incursione nella Settima arte, tra cui il figlio Jess Hill come produttore e il grande Pino Donaggio, artista italiano dalle esperienze americane (Blow Out, Omicidio a luci rosse, Il figlio di Chucky), autore delle ammalianti musiche.
Ciliegina sulla torta di Il mio nome è Thomas è una nostalgica e ironica scazzottata all’interno di un locale spagnolo, vera e propria strizzata d’occhio al cinema che fu e che il grande Hill seppe cavalcare con enorme successo insieme a Spencer.
Fanno parte del cast anche comprimari come Andy Luotto (è un monaco francescano) e Guia Jelo (è la zia di Lucia).
Edito in blu-ray da CG Entertainment (www.cgentertainment.it), con contenuti extra rappresentati dal trailer e dall’estratto di venticinque minuti L’entusiasmo della nostalgia: intervista a Terence Hill.
Mirko Lomuscio
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