Metti insieme due donne di grande spessore culturale, due vere e proprie artiste, e teoricamente dovrebbe venire fuori qualcosa di buono. Le due signore in questione sono Susanna Moore, scrittrice di romanzi e saggi, e Jane Campion, regista e sceneggiatrice neozelandese vincitrice dell’Oscar alla Migliore Sceneggiatura Originale per Lezioni di Piano nel 1994 e al Miglior Regista per Il Potere del Cane nel 2022, oltre che di molti altri premi prestigiosi come la Palma d’Oro a Cannes, il Leone d’Argento a Venezia, due Golden Globes e così via. Insomma, i nomi sono interessanti, e buttando l’occhio al cast, composto da attori del calibro di Meg Ryan, Mark Ruffalo, Kevin Bacon e Jennifer Jason Leigh, ci si lascia ammaliare da questo thriller di produzione statunitense/australiana/inglese del 2003 che porta il titolo di In the Cut, letteralmente “Nel Taglio”. Eppure, più che la visione va avanti, più che ci sembra di star guardando un film erotico piuttosto che un thriller, e se va più che bene che una storia sordida sia supportata da una buona dose di erotismo, tuttavia qui, levato quello, pare ci resti davvero ben poco.

Frannie è un’insegnante di letteratura che sta scrivendo un libro sullo slang metropolitano dei neri di New York, e per farlo si vede spesso con un suo giovane studente di colore che l’aiuta nel difficile compito. Una sera i due si incontrano in un locale, e mentre la donna cerca il bagno si imbatte in una coppia che sta facendo sesso in uno scantinato: non li vede in faccia ma nota il tatuaggio di lui sull’avambraccio. Il giorno dopo Frannie viene intercettata dal detective Malloy, che sta indagando sulla morte di una ragazza avvenuta proprio la sera precedente nel pub dove lei si trovava col suo studente.  Tra i due inizierà una torbida storia di sesso, mentre intorno a loro le ragazze continuano a morire. I sospetti della giovane verso il bel poliziotto si faranno ogni giorno più insistiti, ostacolati però dall’attrazione morbosa che prova per lui.

Un intreccio giallo piuttosto banalotto, a dire il vero. La ragazza single che non riesce a costruirsi una solida relazione, il poliziotto bello e tenebroso che la irretisce coi piaceri del sesso per lungo tempo negatile, l’ex invadente e quasi stalker che la pedina fuori dai locali e la segue in mezzo ad accessi d’ira non controllati, i sospetti, il tatuaggio, la polizia che brancola nel buio, le accuse verso il ragazzo di colore. Insomma, un canovaccio piuttosto lineare, condito però da tante, forse fin troppe, scene di sesso piuttosto esplicite a cui non si sottraggono né il bello e spavaldo Mark Ruffalo né la fidanzatina d’America Meg Ryan, che in poche pellicole si lascia andare con tale sfrontatezza. Ma, purtroppo, tolto questo, il film non decolla. Si parte con tante aspettative, si arriva in fondo che sono ancora tutte lì, nessuna delle quali soddisfatta. E la banalità del finale, appoggiato su un assassino che non sa di nulla e su di un movente che è il più insulso possibile, non fa che affossare definitivamente questa pellicola prodotta nientemeno che da Nicole Kidman.

Manca prima di tutto il ritmo, che in ogni buon thriller che si rispetti è fondamentale. Il film scorre lento e privo di qualsivoglia colpo di scena, tanto che verso la metà ci si domanda se in effetti non si stia guardando semplicemente un film erotico con qualche omicidio che fa solo da sfondo. Nulla acchiappa, nulla coinvolge, la gente pare morire a caso e le indagini sembrano condotte da Paperino invece che da un intero dipartimento di polizia. Che ruolo hanno nella storia l’ex di Frannie, la sua sorellastra o il detective Rodriguez? Lasciati per diverso tempo a fare da contorno alle contorsioni a letto dell’insegnante ed il poliziotto baffuto, a un certo punto verranno presi e buttati sotto i riflettori per costruire una storia che pare non esistere per buona parte del film. Devo ammettere di non aver letto il romanzo della Moore da cui è stata tratta la sceneggiatura, ma il film, a mio parere, è davvero poca cosa, e fa acqua da tutte le parti rendendo difficili ed inspiegabili diversi collegamenti.  Per fortuna che in mezzo a tutto questo piattume ci possiamo almeno coccolare gli occhi con la bellissima fotografia del DOP australiano Dion Beebe, che appena tre anni più tardi si sarebbe accaparrato l’Oscar alla Migliore Fotografia per il capolavoro di Rob Marshall Memorie di una Geisha. Beebe ci consegna una New York fumosa, insicura, piena di insidie e trappole nascoste dietro ogni angolo, sotto ogni ombra. Per questo, e per il buon cast, si consiglia la visione di In the Cut, ma assolutamente non per altro.

Protagonista femminile è la splendida Meg Ryan, diventata universalmente celebre dopo aver interpretato Sally Albright in Harry, ti presento Sally… di Rob Reiner del 1989. Nel 1991 la Ryan ci dimostra di essere molto brava anche in ruoli meno leggeri e simpatici dando corpo a Pamela Courson, eterna fidanzata di Jim Morrison in The Doors di Oliver Stone. Questo con la Campion è forse il suo ruolo più sensuale ed erotico, dove la giovane veste i panni della ragazza acqua, sapone e sandali durante il giorno per diventare una provocante Venere in tacchi a spillo rossi e sottoveste di raso durante la notte. A provocare in lei un così drastico cambiamento il rude e quanto mai maschio detective Malloy, interpretato dal bell’attore americano Mark Ruffalo, la cui carriera doveva ancora decollare all’epoca, ma che vantava già qualche collaborazione di tutto rispetto come quelle con Brian Yuzna in The Dentist (1996) o con John Woo in Windtalkers (2002). Notevoli anche i due comprimari. Nel ruolo dello spasimante rifiutato di Frannie troviamo nientemeno che Kevin Bacon, già ultra noto per aver preso parte a classiconi quali il primo, epico Venerdì 13 di Sean S. Cunningham (1980), il musicale Footloose di Herbert Ross (1984), Tremors di Ron Underwood (1990), Linea Mortale di Joel Schumacher (1990), Apollo 13 di Ron Howard (1995) e Mystic River di Clint Eastwood (2003), solo per citarne qualcuno. La sorellastra della Ryan è invece interpretata dalla californiana Jennifer Jason Leigh, anche lei con una lunga carriera e svariati riconoscimenti alle spalle grazie alla sua collaborazione con registi quali Ron Howard (Fuoco Assassino, 1991), Robert Altman (America Oggi, 1993 e Kansas City, 1996), i Fratelli Cohen (Mister Hula Hoop, 1994 e L’Uomo che non c’era, 2001), David Cronenberg (eXistenZ, 1999), ed alla partecipazione a pellicole di culto quali The Hitcher (Robert Harmon, 1986), L’Ultima Eclissi (Taylor Hackford, 1995) ed Era mio Padre (Sam Mendes, 2002).

Insomma, la regista è di tutto rispetto, la soggettista e sceneggiatrice pure, il cast anche, così come il DOP…ma per il resto, il film latita, non offre nulla, ed è questo il vero interrogativo: com’è possibile che con tutte queste buone cartucce in canna la Campion non sia riuscita a realizzare un buon thriller, portando invece in fondo solo una mortifera noia? Perché? Anche la critica americana non lo ha affatto accolto bene, accusandolo di un uso eccessivo di pratiche sessuali anche un po’ perverse e fin troppo libertine, senza che in realtà fossero in alcun modo funzionali alla buona riuscita della storia….mah, bigottismo a parte, nel quale non mi ritrovo, io anche più volte mi sono chiesta tutto questo sesso così ostentatamente sbandierato cosa mai potesse entrarci con quello che è poi il vero e proprio scopo del film, se non appunto un po’ di sano voyeurismo. E poi c’è il killer, o serial killer, che dir si voglia, che pare avercela col genere femminile, senza che si capisca poi per bene manco perché, ma tanto così per far qualcosa… New York, e per l’esattezza l’East Village, a sud di Manhattan, è fotografato come un luogo tragico, disperato, senza alcuna certezza per chi lo abita, ma alla fine non riesce ad essere mai veramente quella location con la quale la storia si fonde a pennello, fino a divenire essa stessa una protagonista dell’opera. Tutto rimane slegato, distanziato. Guardando In the Cut si ha l’impressione che la produzione avesse tra le mani tanti bei tasselli che però non è riuscita ad abbinare bene e quindi ne è uscita un’accozzaglia di cose belle e buone ma terribilmente incongruenti l’una con l’altra. Peccato, una vera e propria occasione mancata a mio parere. Un esempio di cinema commerciale davvero banale ed insulso, senza alcun tipo di attrattiva per chi da un film cerca almeno qualche pallida emozione. Ottima confezione, realizzata grazie alle innegabili capacità tecniche della Campion e della sua squadra, ma dentro il vuoto cosmico. Gli stessi personaggi sono davvero poco tratteggiati psicologicamente, piangono, si lamentano, scappano, uccidono e muoiono e nella maggior parte dei casi non si capisce nemmeno perché…

Forse l’idea della Campion non era tanto quella di fare un thriller nel pieno senso del termine, ma di raccontare una storia torbida che descrivesse il degrado morale ed etico dei protagonisti. Forse. Ma allora perché andare a scomodare un genere tanto avvincente come questo? Perché non buttarsi, invece, sul drama, così che chi si fosse messo alla visione avrebbe saputo a cosa andava incontro? Invece In the Cut è un inganno bello e buono, e non mantiene nessuna delle promesse che fa… Non vedrete nessun thriller erotico, ve lo posso assicurare. Le vostre orecchie udiranno penosissimi dialoghi demenziali, i vostri occhi si troveranno davanti macchiette, come soprattutto i poliziotti, che più ridicoli di così si muore, ma anche lo studente stupidamente irascibile e gli stessi amanti, i quali non hanno poi da regalarci chissà quali delizie sopraffine. Le stesse doti registiche della Campion, in mezzo a tutto questo piattume ed a questa sciatteria, non brillano certo come in altre occasioni.

In the Cut è quindi un thriller senza suspense e un film erotico senza passione. Non ci siamo. Mi dispiace, ma proprio non ci siamo.

Il film è attualmente disponibile sulle piattaforme Prime Video, YouTube, Google Play e Apple Tv, ed in dvd Panorama.

https://www.imdb.com/it/title/tt0199626


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