Désirée Giorgetti è un nome che spicca nel panorama del cinema di genere italiano e internazionale. Definita “l’attrice più estrema del cinema italiano”, la sua carriera è un viaggio tra personaggi complessi, trame disturbanti e collaborazioni con registi visionari. Attratta fin da giovane dall’inconscio, dal lato oscuro e dalla complessità dell’animo umano, Désirée ha fatto della sua autenticità e intensità interpretativa il suo marchio di fabbrica. Dai cult come Morituris e German Angst alle collaborazioni con maestri come Alejandro Jodorowsky, ogni progetto ha rappresentato per lei una sfida e un’opportunità di crescita artistica. In questa intervista, Désirée si racconta, svelando i segreti del suo approccio ai ruoli estremi, le esperienze indimenticabili e i suoi ambiziosi progetti futuri.

Désirée, sei conosciuta come “l’attrice più estrema del cinema italiano”. Come ti sei avvicinata a questo tipo di interpretazioni intense e cosa significa per te questo titolo?

Sin da bambina sono stata attratta dall’inconscio, dal mondo onirico e dal lato oscuro dell’essere umano. Cresciuta in una casa piuttosto inquietante, ho iniziato a leggere Stephen King a 10 anni, a guardare horror a 14 e a 18 volevo diventare criminologa. Diplomata alla Silvio D’Amico, ho capito presto che la vita della scritturata non faceva per me. A 24 anni ho ottenuto il mio primo ruolo da protagonista in Morituris, il film che ha segnato il mio ingresso nel mondo del genere. È stata un’esperienza intensa, tra tematiche forti e le sfide fisiche: per metà del film corro svestita in un bosco prima di una scena di crocifissione. Essere considerata ‘l’attrice più estrema del cinema italiano’ è un onore: per me, essere estrema significa non risparmiarmi mai, preparandomi per ogni personaggio come se fosse l’ultimo della mia vita.

La tua carriera spazia da cult dell’horror italiano come Morituris a collaborazioni internazionali come German Angst. Quali sono stati i momenti più significativi per te?

Morituris è stato un’esperienza straordinaria che mi ha spinta oltre i miei limiti fisici e mentali. Grazie al film ho viaggiato, partecipato a festival internazionali, affrontato critiche e la censura (non accadeva dai tempi di Totò che visse due volte di Ciprì e Maresco che un film non passasse il visto censura), incontrato fan del genere e conosciuto Andreas Marschall, regista di Arlaune (German Angst), in cui interpreto Maya. Avevo amato il suo Masks e sognavo di lavorare con lui: essere scelta per il cast, unica italiana, è stata una gioia immensa. Girare a Berlino, recitare in inglese e fare il mio primo calco per gli effetti speciali mi ha dato fiducia nel poter lavorare all’estero, soprattutto in inglese, la lingua che amo di più (sono trilingue, francese compreso).

Hai lavorato in generi cinematografici che esplorano i limiti dell’umano, dal thriller psicologico all’horror. Cosa ti attira verso queste storie e personaggi così complessi?

Ciò che mi affascina di più nell’interpretare un personaggio estremo è la possibilità di esplorare la mia complessità interiore. Grazie al metodo che studio da oltre dieci anni con la mia acting coach, June Jasmine Davis, vivo vere e proprie catarsi: ogni memoria emotiva che utilizzo per dar vita al personaggio diventa anche una liberazione personale. Ho scelto di fare l’attrice perché il palco e il set sono per me luoghi sicuri, dove posso amare, uccidere, morire, vivendo emozioni intense senza conseguenze nella realtà. E questa libertà è incredibilmente divertente.

Hai avuto la possibilità di lavorare con registi visionari come Alejandro Jodorowsky e Uwe Boll. Cosa ti ha lasciato questa esperienza?

“Ritual”, una storia psicologica di Luca Immesi e Giulia Brazzale, è stato il mio secondo film, completamente diverso da Morituris. Qui le emozioni implodevano nel mio personaggio, alimentando visioni, distorsioni e sogni, portandomi a esplorare un tema a me caro: la malattia mentale. Non conoscevo i libri di Jodorowsky, che ho avuto il privilegio di incontrare sul set, ma preparandomi con la lettura di Psicomagia ho scoperto il potere degli atti psicomagici, che parlano all’inconscio con un linguaggio poetico e simbolico, portando il sogno nella realtà.

Il film di Uwe Boll, Run (con un cast straordinario che include Ulrich Thomsen, Amanda Plummer, James Russo e Barkhad Abdi), invece, affronta con cruda lucidità un tema attuale e controverso: lo sbarco degli immigrati clandestini, radicandosi in una realtà spietata e concreta.

La collaborazione con registi italiani come Raffaele Picchio e Boni & Ristori ha segnato alcune delle tappe più importanti della tua carriera. Come descriveresti il tuo rapporto con il cinema di genere italiano?

Decisamente prolifico! Ho avuto la possibilità di partecipare a 7 film degli Extreme (Boni e Ristori), e devo a Picchio la mia prima grande opportunità. Sono profondamente grata al cinema di genere italiano, che mi ha sempre dato spazio come protagonista e modo di recitare, tra l’altro, in inglese.

Sarai nel nuovo film di Uwe Boll, Dark Knight. Cosa puoi anticiparci di questa esperienza e del tuo ruolo?

“The Dark Knight” è prodotto da Boll, con Roesch come produttore esecutivo. Boll lavora nuovamente con i suoi collaboratori abituali, tra cui il direttore della fotografia Mathias Neumann, il line producer Boris Velican e il montatore Ethan Maniquis.

Anche questo film sarà girato in Croazia, come Run. Ci saranno star come Armie Hammer . La sceneggiatura è profondamente provocatoria e inevitabilmente spinge alla riflessione. Il mio personaggio incarna l’essenza della vittima.

Tra i tuoi film più iconici, quale consideri il più rappresentativo del tuo percorso artistico e perché?

Mi piacerebbe rispondere citando Chaplin: ‘Il prossimo film.’ Ogni progetto a cui ho partecipato ha rappresentato qualcosa di fondamentale per me in quel momento: Morituris, il mio primo horror e il mio debutto assoluto; German Angst, il primo film in inglese; Le guerre horrende di Immesi e Brazzale, il primo en travesti; Anja di Paolo Martini e Pablo Benedetti, il primo in russo; Ancora più bello e Sempre più bello di Claudio Norza, la mia prima commedia; e Anger of the Dead di Francesco Picone, dove ho affrontato la sfida di un ruolo completamente muto. Ogni esperienza è stata unica e irripetibile

In The Abigail Curse, prodotto da Insurgence, hai lavorato con Noemi Leandri e Maddalena Pasquarelli. Quali sfide e opportunità ti ha offerto questo progetto?

Questo film mi ha offerto l’opportunità di esplorare un doppio ruolo controverso, accompagnato da una notevole trasformazione fisica grazie al trucco di Carlo Diamantini. È stata un’esperienza splendida, lavorando con una troupe e due registe giovani e meticolose nei dettagli. Ho avuto il piacere di ritrovare amici e colleghi straordinari come David White, Daniele Favilli e David Callahan, e naturalmente, Marco Ristori e Luca Boni, con cui mi diverto sempre.

In film come German Angst e Ritual – A Psychomagic Story, hai affrontato temi disturbanti e profondamente umani. Come ti prepari emotivamente per ruoli così intensi?

Come accennato, mi affido sempre a una preparazione approfondita che costruisco con la mia acting coach, June Jasmine Davis. Grazie a lei, posso esplorare a fondo il personaggio, analizzando ciò che accade prima che la storia inizi e identificando i bisogni e le azioni primarie che lo motivano. È un viaggio introspettivo che mi consente di offrire il mio mondo emotivo, evitando la trappola delle idee preconcette che potrei avere sul personaggio.

Il cinema di genere spesso esplora territori inesplorati e scomodi. Qual è il tuo punto di vista sull’evoluzione di questo tipo di cinema in Italia e a livello internazionale?

Credo che la forza del cinema di genere risieda nella sua capacità di veicolare messaggi scomodi attraverso un linguaggio simbolico e codificato. L’Italia, pur avendo un passato glorioso riconosciuto a livello internazionale, oggi fatica a far emergere questo tipo di cinema al di fuori del circuito indipendente, spesso penalizzato da risorse limitate e una scarsa visibilità nelle sale o nei festival. In Francia, invece, opere come Titane o The Substance, che ho amato profondamente, dimostrano come il cinema di genere possa ottenere successo e prestigio, arrivando a un pubblico più ampio.

Cosa pensi che il pubblico cerchi in un film horror o psicologico oggi? C’è un tema che vorresti vedere esplorato?

Credo che la paura più attuale, e purtroppo ben fondata, sia quella di essere sostituiti dalle macchine, con il rischio di perdere la nostra umanità in nome di un’efficienza che ci isola, anestetizza e spegne. Per me, il vero orrore è la perdita di senso e di speranza. Un altro tema cruciale è la trasformazione, o meglio, la deformazione a cui sottoponiamo i nostri corpi (e non riguarda solo il pubblico femminile) per aderire a ideali talmente stereotipati da renderci sempre più distanti da ciò che siamo, e sempre più mostruosi.

Come attrice, cosa ti spinge a superare i tuoi limiti fisici ed emotivi per portare autenticità sullo schermo?

Per me, recitare nasce da un bisogno viscerale di dire la verità. Detesto l’idea che l’attore menta: credo, invece, che attraverso la finzione l’attore possa svelare la verità più autentica. È questa convinzione che mi spinge a superare ogni difficoltà. Il mio obiettivo è raggiungere il cuore del pubblico, far scattare quel senso di riconoscimento che permette a chi guarda di sentirsi meno solo.

Quali sono i tuoi prossimi progetti? Hai qualcosa di particolare in cantiere che puoi condividere con noi?

Ho in programma di girare un film da protagonista con la regia di Lorenzo Bianchini, un autore che ammiro profondamente per opere come Oltre il Guado e L’Angelo dei muri. Proseguirà anche la collaborazione per il film Day Off 3 con la regia di Luca Boni e Marco Ristori prodotto da Insurgence , e insieme al mio partner nella vita e nel lavoro, Michael Segal, abbiamo pronte una quindicina di sceneggiature di genere. Una di queste sarà girata in Croazia grazie al prezioso supporto di Giuseppe Andreani e Boris Velican. Stiamo inoltre avviando collaborazioni con Malta per un nuovo progetto, mentre con la produttrice americana Kimberly Olsen lavoriamo al primo film sul disturbo neurologico noto come Visual Snow, una condizione che mi accompagna dalla nascita. Per questo progetto abbiamo realizzato un concept trailer con Angelo Licata e Roberto Pretti e siamo alla ricerca di una coproduzione. Parallelamente, porto avanti la mia passione per la musica: sto iniziando un nuovo progetto, decisamente più rock, con Umberto Sartini e inciderò presto una nuova canzone.

C’è un regista o un progetto specifico con cui sogni di lavorare in futuro?

Il mio primo obiettivo è realizzare tutti i film che abbiamo scritto. Poi, sì, sogno di collaborare con registe come Julia Ducournau e Coralie Fargeat in un body horror, o con autori del calibro di Iñárritu, Nolan, Refn e Aronofsky in un thriller psicologico.

Come vedi la tua carriera evolversi nei prossimi anni? Ti piacerebbe esplorare altri generi cinematografici oltre l’horror e il thriller?

Sì, assolutamente, mi vedo sempre più coinvolta nella scrittura e nella creazione. Il mio obiettivo è costruire un team internazionale di collaboratori e diventare sempre più attiva nel processo creativo, dalla sceneggiatura alla realizzazione di un film. Vorrei anche unire il canto alla mia passione per il cinema, componendo sound tracks e sperimentando tra generi diversi, con una particolare inclinazione per le dark comedy, per cui mi sento particolarmente portata.

Cosa vuoi trasmettere al pubblico attraverso le tue interpretazioni?

Il mio desiderio è che la sincerità delle emozioni arrivi dritta al cuore di chi guarda. Non mi interessa essere considerata ‘brava’; anzi, paradossalmente, se si nota troppo l’attrice significa che ho fallito. Il mio obiettivo è dare vita a personaggi così autentici e umani che, pur nella loro estremità, possano essere compresi e sentiti come reali.

Quale messaggio vorresti dare ai tuoi fan e agli appassionati di cinema di genere che ti seguono con tanta dedizione?

Innanzitutto, GRAZIE! Senza il pubblico, questo mestiere non avrebbe ragione di esistere. Prima di essere un’attrice, sono una grande appassionata del genere, e so bene quanto un’interpretazione possa rimanere impressa nella memoria dello spettatore. Mi impegno a dare sempre il massimo, a non arrendermi anche nei momenti più difficili, con la promessa di continuare a dare vita agli incubi più profondi, per affrontarli e liberarci insieme attraverso il cinema.

Le foto sono state scattate da Serafino Giacone il trucco è stato realizzato da Mauri Menga


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