Intervista a Marco Germani

Marco Germani, cosa rappresenta per te l’uscita di Enveloped in fog?

È la riedizione di un brano scritto come soundtrack per il romanzo Limbo Neutrale, che rappresenta lo smarrimento del protagonista nel trovarsi in una dimensione parallela avvolto dalla nebbia e senza ricordi. L’ho trovata adeguata ai tempi, il brano è stato risuonato e ovviamente re-mixato.

Enveloped in fog trasmette tanta energia. Quanto è importante trasmettere energia ai propri ascoltatori?

È importante lasciare sempre qualcosa, sono anche convinto che non tutti provino le stesse emozioni. La musica è un po’ come il cibo, per quanto tentiamo di spiegare un gusto o una sensazione a qualcuno, è complesso e soggettivo. A me trasmette un po’ di angoscia, smarrimento e rabbia, che sono esattamente le sensazioni di Mr. Germani nelle lande della neutralità.

Quale funzione ha per te la scrittura?

Ne ha diverse: in primo luogo è ovviamente un esercizio, quindi la scrittura ci mette in discussione e necessita di tante energie, come un compito complesso da portare a termine. Poi la trovo anche liberatoria perché è un atto di creazione, attraverso la scrittura di un brano si può dire quello che si vuole, è democratico e onesto e questo potere ce l’ha solo l’arte: ciò che scrivi ti rappresenta e lascia traccia di te.

Cosa significano per te improvvisazione e composizione e quali sono, per te, i loro rispettivi meriti?

Sono spesso in relazione perché molte delle parti del brano in questione sono proprio state improvvisate e poi rielaborate. Mi capita spesso di trovare fraseggi, ritmiche o armonie interessanti mentre improvviso e poi utilizzarle come chiavi per scrivere qualcosa. Alle volte, invece, le idee arrivano dirette e precise senza passare da improvvisazioni o elaborazioni. Non ho un metodo preciso. Penso che chitarra e batteria siano strumenti più empirici, mentre il pianoforte sia più razionale.

Il miglior spettacolo dove hai mai suonato….

Mi piace sempre suonare ovunque e in varie situazioni, basta che ci sia interesse da parte del pubblico. Darei precedenza ai teatri dove c’è sempre l’ascolto perfetto e il pubblico seduto e attento e alle grosse feste tipo quelle della birra o di paese con i palchi grandi e il service potente, ma ho apprezzato molto l’esperienza di suonare in carcere, perché per i detenuti ero come una persona famosa e hanno interagito persino scrivendoci poi delle lettere di ringraziamento. La musica non deve avere confini, sta a te artista saper gestire la situazione e trovare il giusto feedback emotivo.

Cosa consigli ad un artista che vuole fare della sua arte un mestiere?

Ad oggi è veramente molto complicato, perché ciò che ci propina il mainstream all’80% non è più un prodotto artistico. Quello che si sente e vede in radio e tv è costruito a tavolino ed è fatto per uniformare i gusti. Non c’è più un lavoro di ricerca da parte dei produttori e non si assumono più rischi. Viceversa il mondo della musica indipendente è poco considerato e fatto di mode e tendenze. Penso sia impossibile vivere delle propria musica in Italia, il nostro mercato è troppo legato al festival, ai fenomeni del web e ai talent show, poi è un circuito chiuso dove comandano sempre e solo i soliti. Può essere interessante muoversi nel mondo dell’insegnamento e dei tributi che trovo già più di livello. Meglio avere una sicurezza di ingaggio che lanciarsi nel vuoto. Una volta imparato il mestiere allora si può anche investire nelle proprie produzioni, ma meglio avere un paracadute sicuro. Credo che l’arte non morirà mai, ma sono abbastanza certo del fatto che non si voglia investire in nulla di nuovo, solo riproporre varie forme di “già sentito”, anche il mondo del web non è che sia proprio ben strutturato, se non si investono dei soldi è impossibile emergere come visibilità pur essendo tutto “gratis”. Non ho la bacchetta magica ma i tempi sono veramente duri. Grazie per lo spazio che mi avete dedicato.