Prima ancora di vedere in scena un Marco Giallini fresco di uscita da un carcere del XXI secolo, è il 25 Dicembre del 1975 che apre Io sono Babbo Natale, terza fatica registica per l’Edoardo Falcone che, dopo il premiato ai David di Donatello Se Dio vuole, ha firmato il sottovalutato Questione di karma interpretato da Elio Germano e Fabio De Luigi.
Perché il protagonista di Tutta colpa di Freud veste i panni di uno sfortunato ladro incallito la cui ex moglie Barbara Ronchi, ora legata a Daniele Pecci, svolge l’attività di assistente sociale. Moglie con la quale ha una figlia piccola che non sa neppure della sua esistenza e a cui cerca di avvicinarsi dopo aver incontrato casualmente uno strambo anziano incarnato dal compianto Gigi Proietti, qui alla sua ultima prova sul grande schermo.
Non a caso, la oltre ora e mezza di visione è dedicata proprio a colui che ci regalò il Mandrake del dittico Febbre da cavallo, qui impegnato a convincere lo scettico ex galeotto del fatto che egli non sia altro che Babbo Natale in persona.
E, se da un lato nei dialoghi tra i due la sceneggiatura – scritta dallo stesso Falcone – trova anche il tempo di inserire frecciatine-denuncia alla mala amministrazione capitolina, al mercato nero e ai commerci dei cinesi, dall’altro non è difficile pensare che un assurdo incontro del genere su celluloide, in un’altra epoca, avrebbe di sicuro portato la firma di Frank Capra.
Del resto, seppur fuso alla romanità utile a generare l’abbondanza di necessari sorrisi, Io sono Babbo Natale – comprendente in piccoli ruoli anche Antonio Gerardi e i volti stracult di Massimo Vanni e Gianni Franco – non si discosta affatto dal piacevole respiro che possiedono le opere dell’autore de La vita è meravigliosa; lasciando individuare, allo stesso tempo, citazionismi cinefili più o meno involontari che sembrano rimandare alla celluloide per ragazzi degli anni Ottanta. Dalle svolazzate notturne in cielo che tanto richiamano alla memoria quelle de La storia di Babbo Natale di Jeannot Szwarc alle inquadrature finali non poco simili a determinate immagini di Ritorno al futuro di Robert Zemeckis; passando per la gag proto-S.O.S. fantasmi in cui Giallini batte la faccia contro il muro nel tentativo di oltrepassarlo.
Aspetti che, complici oltretutto i buoni effetti digitali (elemento inconsueto per una produzione italiana del terzo millennio), riescono a conferire al tutto il respiro tipico delle favole natalizie a stelle e strisce.
Fino all’indispensabile morale atta a confrontare la purezza dei bambini col complicato e spesso cinico mondo degli adulti che, in un certo senso analoga a quella sfoggiata dal sopra menzionato Zemeckis nel suo Polar express, non può fare a meno di spingere alla commozione. Contribuendo ulteriormente a rendere Io sono Babbo Natale il maggiormente riuscito dei tre lungometraggi diretti da Falcone per quanto gradevole, simpatico e capace di regalare emozioni e buon umore con un look internazionale… una volta tanto lontano dal provincialismo che attanaglia una notevole fetta della Settima arte nostrana.
Francesco Lomuscio
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