Jungle cruise: Indiana Johnson e la ricca avventura Disney

Orfani delle avventure di Jack Sparrow e dei pirati dei Caraibi, in casa Disney hanno pensato bene di avviare una nuova avventura cinematografica ricca di spettacolarità e ambientazioni esotiche con Jungle cruise, nel tentativo di riecheggiare l’intrattenimento tipico di quella saga iniziata nel 2003 con Johnny Depp protagonista.

E, proprio come fu per Sparrow, anche stavolta si è deciso di guardare ad una nota attrazione dei parchi di divertimento Disney, cercando di ricreare in fotogrammi la sensazione di un ottovolante.

Volti principali del film sono il nerboruto Dwayne Johnson e la più delicata Emily Blunt, sotto la regia di Jaume Collet-Serra, autore di origini spagnole che il suo meglio lo ha sempre dato nel campo del thriller e dell’azione (sarebbe sufficiente citare Orphan e Unknown – Senza identità).

Siamo negli anni Trenta e la ricercatrice Lily Houghton (Blunt), insieme al pavido fratello MacGregor (Jack Whitehall), da Londra decide di avventurarsi nell’Amazzonia per trovare una pianta magica che dona la vita eterna, nascosta nella vegetazione selvaggia, in mezzo ad insidie naturali e strane maledizioni secolari. A guidarli è l’avventuriero Frank Wolff (Johnson), uno scavezzacollo proprietario di una barca all’apparenza scalcinata, ma reduce da innumerevoli escursioni e che porterà i due inglesi lungo il fiume La Quila, dove vive ciò che stanno cercando. Il viaggio si rivela ovviamente ricco di scoperte, tra rivelazioni segrete e nemici che intendono ucciderli, come lo spietato principe tedesco Joachim (Jesse Plemmons) e il condottiero ancestrale tornato in vita Aguirre (Edgar Ramirez), entrambi intenzionati ad entrare in possesso dei magici petali di quell’albero fatato.

Ma, senza stare a ricamarci sopra, possiamo subito affermare che Jungle cruise non vanta certo grande originalità, guardando, allo stesso tempo, sia all’universo dei citati pirati dei Caraibi che a quello di Indiana Jones, rivelandosi un compendio di situazioni rocambolesche e, soprattutto, fini a se stesse che non portano alcuna linfa vitale nel genere.

Anzi, tutto scema nelle solite scorribande tra gente malintenzionata ed esili scambi di battuta tra maschio (Johnson) e femmina (Blunt), gonfiando sempre di vuoto pneumatico una ennesima irrilevante mega produzione hollywoodiana.

Gli sceneggiatori John Requa e Glenn Ficarra (creatori di Babbo bastardo) affiancati da Michael Green (Logan – The Wolverine, Blade Runner 2049) non sembrano essersi impegnati molto, sfruttando struttura, colpi di scena e sviluppo dei personaggi negativi (il gruppo di non morti guidato da Ramirez) proprio alla stessa maniera de La maledizione della prima luna di Gore Verbinski.

In fin dei conti, è sempre di un’opera ispirata ad un’attrazione che stiamo parlando, ma Jungle cruise ha più note stonate che parentesi positive, a cominciare da un Johnson fuori parte, soprattutto a causa della sua stazza fisica inadatta al ruolo di scaltro avventuriero (e i momenti romantici con la minuta Blunt risultano più che risibili).

Per non parlare dei volti secondari messi al servizio di parentesi futili come anche inutili, dal MacGregor di Whitehall, che porta una gratuita natura “inclusiva” nella trama del film, ad uno sprecato Paul Giamatti in veste di divertente avido magnate delle imbarcazioni.

Vedere un nome come quello di Collet-Serra invischiato nell’operazione provoca non poco dispiacere, ma ciò conferma che le sue doti registiche sono molto più accettabili in ambiti thriller che in blockbuster di questo calibro, soprattutto se sotto la rigida politica produttiva della Disney.

 

 

Mirko Lomuscio