Forse potremmo parlare di collettivo. Sicuramente quella dei KEN LA FEN è una realtà quasi allargata dentro le trame di una provincia italiana davvero ai margini. Alla bellezza degli scenari in cui è immersa si contrappone ovviamente un silenzio di luci spente e fuori dai giochi della grande giostra mediatica. Il loro nuovo disco “Tuo padre” non manca della follia pop quasi rock che li ha sottolineati in questi ultimi tempi. Parliamo di trash emozionale, parliamo di esagerazioni, di allegorie… alla fin della fiera, la bellezza secondo i Ken La Fen è la stessa che abbiamo un po’ tutti noi ogni giorno…
Noi iniziamo sempre parlando di bellezza. È un concetto centrale in molte forme d’arte oltre che alle belle copertine pubblicitarie. Nei vostri brani, come si manifesta la bellezza? È qualcosa di estetico, emotivo o persino grottesco?
Il concetto di bellezza ai nostri tempi è ormai un concetto tanto relativo quanto indefinibile. Probabilmente nei nostri brani la bellezza si esprime in qualcosa di piccolo, imperfetto ma sincero. Il grottesco è una forma di bellezza che non dipende dalla sua forma bensì dalla sensibilità dell’occhio che osserva. È molto più facile percepire il bello secondo i canoni classici perché si regge su fondamenta già approvate e consolidate nel corso di secoli. Trovare invece la bellezza nel “brutto” o nell’insolito, questo sì che è un lavoro che non possono fare tutti.
Oppure parliamo di bellezza come di un ponte verso l’ignoto come accade forse dentro “Sorella Luna”?
In Sorella Luna abbiamo cercato di creare un ponte tra noi esseri umani e le divinità naturali, a cui aggrapparsi e affidarsi per rispondere a delle domande che forse non sono neanche chiare. L’uomo è un essere finito e fallace, è però capace di rendersi conto che per elevarsi ha bisogno di tendere all’infinito.
Bellezza è anche accettazione, trasformazione, libertà. E qui cito “Libellula”: questo disco e la vostra allegoria di maschere è anche una provocazione ad accettarsi così come si è?
Questo disco è un invito spassionato ad accettarsi così come si è, ma anche ad accogliere i cambiamenti che la vita ci suggerisce. La ricerca di se stessi attraverso le vicissitudini quotidiane con un obiettivo ben fisso in mente, che è quello che dovrebbe essere poi l’obiettivo comune del genere umano: Evolversi!
E nella provincia dimenticata? Quanto c’è di provocatorio dentro scenari di provincia che spesso sono citati come contenitori di disagio?
La provocazione è nelle orecchie di ascolta. quello che cerchiamo di fare con la nostra “voce” è quello di denunciare uno stato delle cose. Il disagio di certo è un elemento inscindibile dalla provincia italiana. Vivere per troppo tempo qui, ti può far perdere di vista quel concetto di evoluzione di cui parlavamo nella domanda precedente. Ti può impantanare in una realtà vera per metà, può farti credere che il mondo finisce ai confini con il paesino successivo.
Inevitabile non citare “Sesso e catapulta” con la sua ambientazione rétro, quasi cinematografica. Cosa trovate di bello nelle storie d’amore di altri tempi? E nel futuro?
Le storie d’amore dei tempi andati ci hanno ispirati per questo valzer croccante, dove la scoperta avviene tramite l’esperienza diretta e senza tante informazioni preparatorie. Oggi la situazione è cambiata totalmente, dove l’informazione e la proiezione avvengono prima dell’esperienza. Non vogliamo dire che era meglio prima, perché non lo possiamo sapere con certezza, ma ciò che sappiamo è che la spontaneità e l’imprevisto sono cose sempre più rare da trovare. Ormai anche le avventure si pianificano. Il futuro forse sarà sempre più distante dall’impulso e sempre più vicino alla schematizzazione. Il progresso è tanto utile quanto per certi versi spaventoso.
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