La Befana vien di notte 2 – Le origini: da una milanese un fantasy alla romana

La Befana vien di notte 2 – Le origini non si può considerare un sequel a tutti gli effetti: rispetto al primo capitolo, per così dire, La Befana vien di notte diretto da Michele Soavi e interpretato da Paola Cortellesi – nel ruolo della maestra elementare che custodisce il segreto per cui col favore delle tenebre si tramuta nella leggendaria figura legata alla tradizione dell’Epifania – questa sorta di secondo capitolo cambia le carte in tavola.

Col ritorno al passato le origini mutano. E quindi da una parte la strategia di marketing in merito alla riduzione del rischio d’insuccesso assicurata dalla serializzazione del film – inteso come prodotto impreziosito dal valore aggiunto dello star system con l’impiego di Monica Bellucci nelle vesti della strega dal cuore d’oro Dolores sugli scudi – riguarda il bisogno di lanciare in sala La Befana vien di notte 2 – Le origini la settimana prima della ricorrenza che tutte le feste porta via; dall’altra prende piede l’ennesimo apologo su chi spezza le catene per riuscire ad anteporre alla crudezza il valore dell’immaginazione.

Intendiamoci, a scanso di equivoci: le ampie riflessioni ad appannaggio dell’horror d’autore, il rapporto tra l’amor vitae e il cupio dissolvi, l’atto di uccidere, o quantomeno il tentativo di farlo – che Soavi, ritenuto ai primordi l’erede naturale in un certo senso di Dario Argento, maestro dell’horror nostrano, sa inscrivere, sin dall’esordio, lontano dai binari del mero cinema commerciale o da qualsivoglia risvolto psicanalitico del sabato sera – non rientrano nelle corde registiche di Paola Randi. Che tuttavia non è un’improvvisata tipo i pittori della domenica e gli oratori delle riunioni di condominio. La milanesissima Paola Randi conferma, infatti, molte delle cose interessanti sviscerate precedentemente con Tito e gli alieni. Puntando più che sulla diva Bellucci, comunque incisiva, sull’esordiente Zoe Massenti. Romana de Roma. Che chiarisce come l’espressione gergale capitolina “anacapito” riguardi i supposti coatti. Che pensano di non essere capiti o di creare il climax per rivelazioni sensazionalistiche. Al di là dell’espressione gergale, che taglia corto trasformando “allora non hai capito” in “anacapito”, il punto è comprendere a chi appartenga il carattere d’autenticità. E in seconda istanza bisogna stabilire se l’impiego delle espressioni gergali vere, e non attinte alla letteratura, sia un’ulteriore freccia all’arco del fantasy. Anziché dell’horror spurio. Paola Randi sembra poco interessata ai passaggi tanto nell’aldilà quanto nell’aldiquà: preferisce la geografia emozionale; lo dimostra in Tito e gli alieni. Con La Befana vien di notte 2 – Le origini lo conferma? In parte.

Mentre nella vicenda della coppia sognatrice ed eccentrica, alle prese con lo spazio cosmico, l’elaborazione del lutto, i nipotini da accudire e gli extraterrestri da scovare, le location erano necessarie, giacché scandivano i modi di reagire dei personaggi al sogno frammisto all’incubo dell’era tecnologica, le peripezie della “pischella stradarola” Paola (Zoe Massenti) convincono a metà. La sceneggiatura di ferro redatta da Nicola Guaglianone, cresciuto alla Magliana, non contempla la geografia emozionale. Bensì il tentativo di unire una specie di neorealismo al fantasy. Il tentativo può dirsi in gran parte riuscito. Per merito della sagacia di appaiare le forme colloquiali del parlato spontaneo, mescolato d’intima amarezza nascosta, alla virtù d’impreziosire il sincretismo tra asprezza sociale ed empatia umanitaria con qualcosa che va oltre l’inane evasione fantastica. Nondimeno la spontaneità garantita dalla sorprendente Zoe, sebbene scoperta dallo stesso Guaglianone, non per strada, sull’esempio degli antesignani neorealisti, ma tramite i social media (i tempi sono cambiati), trae linfa dalla capacità di Paola Randi dietro la macchina da presa di assecondarne il talento naturale. Quello che La Befana vien di notte 2 – Le origini perde sul versante dei paesaggi riflessivi ed evocativi del deserto del Nevada, col miraggio di Las Vegas a un tiro di schioppo dalla volontà di sognare gli esseri strani in possesso di arcani poteri, lo acquista sul piano degli zoom in avanti. Dei pertugi nascosti. Degli interni dove vengono custoditi i segreti.

Gli esterni, lungo la campagna circostante, pagano dazio a un trattamento superficiale ed esornativo. La conferma di Tito e gli alieni ne La Befana vien di notte 2 – Le origini è fornita dagli originali movimenti di macchina. Coi quali Paola Randi esprime il suo punto di vista sulla materia trattata ex ante in fase di sceneggiatura. La questione precedente era che gli esseri bizzarri ed eccentrici, ovvero gli extraterrestri, a volte sono quelli che li cercano, collegandoli al senso di meraviglia, all’inquietudine universale ed esistenziale, all’evasione dal dolore. Ivi compresa l’elaborazione del lutto. Adesso il percorso della sperimentazione risiede nel dimostrare che l’egoismo dovuto al bisogno di proteggersi, perché chi ci doveva pensare ha preferito alzare bandiera bianca, può divenire altruismo. Ed è una forma di magia. Come ogni palingenesi. Ragion per cui, nonostante l’interazione tra interni domestici di diverso tipo ed esterni monocordi, privi della forza significante ad appannaggio delle parabole mitopoietiche, gli echi presenti in filigrana nel racconto funzionano. Da Elizabeth – con l’orfanella Paola Diotallevi che rischia le fiamme del rogo riservato a streghe e streghette – a I Goonies. Da Il nome della rosa a La bella e la bestia. La Befana vien di notte 2 – Le origini non arriva ovviamente neanche alla caviglia di nessuno dei film citati implicitamente nella trama.

Ad andare oltre l’impasse del déjà-vu provvedono i raccordi di montaggio, le correzioni di fuoco, la sagacia di sostituire l’effetto sorpresa e le immagini diverse dal reale con l’opera di persuasione della strega buona. Che spinge l’orfana furba, risentita, con la battuta sprezzante in canna, limitata ed egoista ad aprire il cuore. Quando succede non ci sono dischi volanti, astronavi, robot, trogloditi, uomini delle caverne che fanno regredire all’infanzia il pubblico affezionato all’aura contemplativa di pellicole avvezze ad affrontare l’amarezza del reale convertendo i valori figurativi in valori introspettivi. La virtù di scrivere con la luce risulta assente. Con buona pace degli sforzi compiuti per suggerire nella Roma ottocentesca un mondo alternativo. Paola Randi quella Roma, che Luigi Magni seppe scandagliare, la conosce a grandi linee dai libri. La conoscenza intima della materia latita. D’altronde Magni da romano affezionato alla storia della città natale sapeva che non conoscere quello era successo nel luogo dell’anima prima di nascere equivale a rimanere bambini per sempre. Paola Randi però esibisce i difetti fisici. Persino di Monica Bellucci. Mostrando le rughe d’espressione, le zampe di gallina. E pure un baffetto nel dettaglio dell’angolo della bocca di Zoe. Davvero “da paura” nel ruolo della orfanella redenta. Che diventa, aprendo il cuore, la Befana. Spiccando il volo. Saranno parecchi, visto l’avvenenza e la bravura di Zoe, a sperare che quest’atipica Befana si cali nei loro caminetti. Nelle loro case. Siano esse in campagna o in città e nella ressa delle strade. La Befana vien di notte 2 – Le origini racconta alla bell’e meglio la campagna romana. Ma benissimo l’università della strada di una troglodita che tornando bambina, come il Fanciullino del Pascoli, scopre il fascino della bontà. Per farsi capire davvero. Senza intoppi tra comunicatori ed emittenti. Di sicuro è magia pure questa.

 

 

Massimiliano Serriello