La città che cura: Erika Rossi racconta la rinascita dei malati soli delle periferie

Plinio, un vecchio pianista schiavo dell’ipocondria, non vuole più uscire di casa. Roberto cerca a fatica di tornare a una vita normale dopo un grave ictus. Maurizio affronta i difficili postumi di un’esistenza fatta di eccessi. Sono solo tre delle vite che si dipanano, solitarie, tra le strade del quartiere Ponziana nella periferia di Trieste.

Ma proprio lì, dove l’emarginazione rende più grigia l’esistenza, si sviluppa un innovativo progetto di salute pubblica. Un progetto di riabilitazione all’avanguardia in cui la cura passa, prima che per le medicine, attraverso la conoscenza dei pazienti in quanto persone e la comprensione dei loro bisogni umani e relazionali. Una periferia come tante diventa perciò, per Plinio, Roberto, Maurizio, terreno in cui trovare l’occasione per tornare a ri-vivere.

Ispirato al libro La città che cura. Microaree e periferie della salute di Maria Grazia Cogliati Dezza e Giovanna Gallio, il documentario La città che cura della regista triestina Erika Rossi non è che il racconto di questo progetto. La Rossi attraversa senza filtri una periferia a cui non è concesso nessun tono edulcorato. La regista spinge la camera all’interno delle case e nel mondo privato di uomini/pazienti, colti nei gesti quotidiani, alle prese con paure e debolezze ma anche pronti ad abbandonarsi a momenti di leggerezza.

Ogni cosa è presentata con un realismo fortemente descrittivo che non lascia spazio a toni più narrativi e cinematografici e che fa de La città che cura un lavoro che svela, fin da subito, i suoi intenti didattici più che ricreativi. Un lavoro che ha, però, il pregio di portare ai più, tramite lo schermo di un cinema, la testimonianza di un’istituzione pubblica che funziona da più di dieci anni a Trieste e che, in maniera insolita, guarda i solitari pazienti delle periferie come uomini con cui condividere l’esistenza e non solo come malati.

 

 

Valeria Gaetano