Disponibile su Prime Video e Tim Vision a partire dal 7 Aprile 2025, prendendo ispirazione dai videogiochi dark e fantasy La figlia del bosco apre nel mezzo di una foresta dove la giovane Elettra alias Angela Potenzano, con fucile imbracciato, s’imbatte in una misteriosa casa a quanto pare disabitata per chiedere se qualcuno ha visto il proprio fidanzato, il quale non ha più fatto avere sue notizie da circa sette giorni.
Ed è immediatamente dopo che ha trovato uno strano pupazzetto che la narrazione si sposta, appunto, ad una settimana prima, portandoci a conoscenza proprio dell’uomo: Bruno, dal volto di Davide Lo Coco, il quale, al termine di una battuta di caccia, perde l’orientamento e non riesce a trovare la via del ritorno.

Una situazione che, al suo primo lungometraggio dopo essersi dedicato a non pochi short, Mattia Riccio – anche sceneggiatore – inscena inizialmente concedendo pochissimo spazio alle parole per sfruttare l’avvolgente quiete boschiva in modo che siano inquietanti silenzi a dominare le immagini.
Inquietanti come il canto di una voce femminile che, al calare della notte, attira Bruno verso una casa nascosta tra gli alberi e presso la quale, poi, approda anche la scout Celeste, interpretata da Giorgia Palmucci.

Man mano che il cast de La figlia del bosco si completa con l’entrata in scena della Miriam di Giulia Malavasi e che sono i dialoghi ad occupare buona parte della sua parte centrale.
Ma il tutto si svolge con la continua sensazione che qualcosa di minaccioso stia fungendo da invisibile spettatore alle conversazioni tra i protagonisti e, sebbene ci si trovi pienamente in territorio horror, non vi è spazio per facili sensazionalismi da effetto speciale d trucco.

È infatti la straniante atmosfera l’aspetto su cui poggia in maniera efficace la neppure ora e venti di visione che, girata in sole due settimane tra il Monte Terminillo e Monte Livata, prima che si giunga all’epilogo sorge quasi spontaneo collocare dalle parti del thriller psicologico.
Perché, sebbene i segnali premonitori non manchino affatto, è soltanto nel finale che apprendiamo invece La figlia del bosco essere una favola nera fornita di nient’affatto celato impegno di denuncia di taglio ambientalista.
Una favola nera per nulla consolatoria che, se da un lato lascia avvertire determinate influenze provenienti dalla cinematografia scandinava, dall’altro sembra strizzare l’occhio anche ad alcuni lavori di M. Night Shyamalan.
Lascia un commento