La regista Naomi Kawase parla del suo True mothers

In occasione della recente uscita nelle sale del film True mothers (selezione ufficiale di Cannes 2020) e del conferimento alla regista Naomi Kawase della tessera onoraria ANAC da parte del Presidente Francesco Ranieri Martinotti, l’Istituto Giapponese di Cultura, in collaborazione con il distributore Kitchenfilm, ha presentato il lungometraggio in remoto.

In collegamento è intervenuta la regista, in diretta dal Giappone e molto presa dal montaggio del suo ultimo lavoro (un documentario), la quale ha illustrato brevemente le differenze tra il suo film e il romanzo di Mizuki Tsujimura cui s’ispira, che assomigliava nella sua struttura ad un giallo.

La cineasta ha precisato di essere stata cercata dalla produzione proprio perché donna, quindi in possesso della giusta sensibilità per una storia prettamente femminile. Ha poi proseguito raccontando le molte analogie (come le è stato fatto notare) relative all’aumento dell’invecchiamento in Giappone e dei casi di infertilità legati alla scelta di fare un figlio ampiamente dopo i trent’anni. E ha raccontato che ha voluto affrontare, inoltre, la storia di questo istituto che permette l’adozione di un figlio anche senza legami sangue, precisando come nella cultura giapponese, spesso, si cerchi di nascondere l’origine di tale legame. In molti casi, come quelli delle adolescenti che, a causa di una gravidanza indesiderata o, comunque, non in grado di mantenere il bimbo per la loro giovane età o per evitare scandali in un paese che tiene ancora moltissimo alla forma, si ritrovano poi frustrate dall’essere state “costrette” a lasciare questo legame fortissimo. Quando, in realtà, l’ideale sarebbe condividere questa maternità.

Alla domanda diretta relativa alla scelta dei luoghi in cui è stata girata la pellicola, la risposta non si è fatta attendere: “Io sono nata a Nara e, alla fine, ho voluto adattare il romanzo a luoghi che mi erano familiari mantenendo lo spirito della storia. E l’autrice del romanzo, alla fine, mi ha detto di essere rimasta molto soddisfatta sull’aver mantenuto lo spirito della storia, in particolare sulla figura del bambino Asato. Infatti all’inizio si era deciso di tenere solo il punto di vista degli adulti, ma nel romanzo troviamo anche i pensieri di Asato e, alla fine, ho voluto rispettare questa idea e ho avuto ragione, perché in questo modo gli spettatori posso fruire di tutte le pluralità che erano state espresse nel romanzo stesso”.

Dopo osservazioni sull’importanza della musica nel film, l’incontro si è poi concluso con l’invito alla regista, da parte del direttore dell’Istituto Giapponese di Cultura Nishibayashi Masuo, a venire in Italia al termine della pandemia; e Naomi ha confessato che, non appena  avrà terminato il suo ultimo lavoro, che la vede ora molto presa dal montaggio, non  vedrà l’ora di poter tornare a viaggiare e venire in visita nel nostro paese.