La trasposizione sul grande schermo del bellissimo libro The friend – L’amico fedele, scritto dalla sagace ed estrosa romanziera statunitense Sigrid Nunez, che con l’intenso apologo sul suicidio assistito Attraverso la vita ha ispirato all’ambizioso regista spagnolo Pedro Almodóvar l’applaudito mélo introspettivo La stanza accanto, vincitore del Leone d’oro all’ottantunesima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, richiede una notevole maturità di linguaggio.

Tanto sul versante della scrittura per immagini, padroneggiata in tandem dietro la macchina da presa da Scott McGehee e David Siegel per cogliere appieno il mosaico di stati d’animo dell’autrice, quanto in merito all’alta densità lessicale. Dispiegata allo scopo di esibire ed esplorare temi diversi ma al contempo connessi gli uni agli altri.

Dall’elaborazione del lutto all’atroce incognita dell’esclusione innescata nella vita degli affetti dalle persone amate che decidono anzitempo di coniugare l’esistenza all’imperfetto. Dal rapporto tra docente e discente, riguardo la trasmissione del sapere sulla tecnica argomentativa necessaria a caricare di senso qualunque testo redatto con cognizione di causa, ai batticuori scanditi dal miglior amico dell’uomo. Del mentore, per la precisione, della scrittrice Iris. Alter ego dell’avvertita e ironica Sigrid Nunez. Avvezza a mettere parecchia farina del suo sacco. Sull’esempio della compianta collega Karen Blixen, autrice del best seller La mia Africa convertito in un memorabile film acchiappa-Oscar, nella convinzione che raccontare storie che esulano da qualsivoglia scontatezza ricavando linfa dalla conoscenza intima della materia trattata costituisce una sorta di antidoto contro lo spasimo attanagliante. Al pari dei richiami citazionistici cari alla cultura postmoderna. Per cui quando Iris, senza marito né prole, è spinta, dapprincipio obtorto collo, ad accogliere in casa, nel cuore della Grande Mela, l’alano chiamato Apollo, rimasto orfano del guru Walter, una volta tradotto in agghiacciante prassi il chiodo fisso delle teorie su come farla finita, il pensiero va subito a illustri precedenti. Nel campo della letteratura e in quello della fabbrica dei sogni. Con gli incubi ad occhi aperti rappresentati dal ricordo della visione di White God – Sinfonia per Hagen ed ergo dell’abbruttimento dell’affabile cane meticcio del titolo in lotta coi perfidi alfieri della razza pura. Mentre Hachiko – Il tuo migliore amico resta la best practice per eccellenza nell’interazione simbiotica basata sulla fiducia reciproca. A dispetto dei modi opposti di concepire l’amore. In cabina di regìa Scott McGehee e David Siegel tendono ad anteporre l’instaurazione passo per passo di quel tipo di fiducia che trascende le differenze con l’ausilio del tempo a favore alla forza significante d’un richiamo citazionistico mai fine a se stesso. Giacché parte integrante dell’approccio dell’autrice col mondo che la circonda e talora la spiazza. Mentre in altri frangenti le scalda il cuore. Al contrario di Almodóvar, che ne La stanza accanto impreziosisce il respiro narrativo dell’assunto coi vari rimandi a pellicole inobliabili ricavate da libri immortali, The Dead – Gente di Dublino in particolare, benché sconfessi il coro di voci imperanti nella pagina scritta per focalizzare l’attenzione degli spettatori sulla relazione della protagonista con l’amica di gioventù ammalata di cancro decisa a interrompere le cure, la scelta di ridurre al lumicino il fiume in piena dei riferimenti alla Settima Arte che accompagnano step by step l’evolversi degli eventi trascina l’ovvio tormentone della voice over di Iris lungo i binari dell’infeconda modalità esplicativa.

Ben lungi dal depurare la realtà colta dal vivo, concernente lo spauracchio di finire per strada perché nell’appartamento dove ha intrufolato di soppiatto l’inquieto Apollo non è permesso tenere cani, da qualsivoglia scoria d’un surplus evocativo. L’apparente rigore formale e strutturale del racconto, che dalla funzione funebre in poi si affida invero a un mix di scandaglio ambientale ed esame comportamentistico piuttosto sbrigativo se non superficiale, cela alla bell’e meglio la miopia contenutistica. Nei confronti del mondo degli intellettuali, vampirizzato dall’ipocrisia della gentilezza di mera facciata, col risentimento che circola così nell’aria viziandola, nonché dell’idonea definizione pratica del legame di appartenenza e protezione di Apollo con Iris. Incapace lì per lì di divenirne il nuovo punto di riferimento. Le irruzioni nel quotidiano d’entrambi, con le impertinenti impuntature di Apollo riversate in ridicole ed esilaranti contingenze per mezzo dei siparietti privi, stringi stringi, di mordente che cedono spazio alle componenti manieristiche dell’intesa stabilita da Iris toccando con mano l’attitudine dell’alano a dare sicurezza senza pretendere granché in cambio, stanno in piedi alla carlona. Il ribaltamento del sentimento d’incertezza iniziale nel sentimento di sicurezza cementato dall’affetto schietto di Apollo ricava assai poca linfa dalla punta di furbizia con la quale L’amico fedele trae partito in filigrana dai capolavori di Woody Allen, da Harry, ti presento Sally e da Qualcosa è cambiato. La sensazione di déjà vu toglie viceversa verve alla fragranza della spontaneità della sicurezza emotiva di Apollo che persuade tra le righe l’inquieta padrona a non cercare più conferme per motivare i propri accidiosi studenti. Appaiono maggiormente convincenti il rapporto col custode dell’immobile avverso alla dedizione istintiva di ciascun cane che si affeziona all’istante ad Apollo e il colloquio con l’accondiscendente psicologo. Che consente alla romanziera in crisi ispirativa di conservare l’appartamento certificando il sostegno ricevuto da Apollo per non pagar dazio all’alienazione, alla gogna della solitudine, all’impasse del blocco dello scrittore. Il prosieguo perde colpi col trattamento sbrigativo scelto al posto dell’accorta fusione di fascinose lentezze ed eloquenti silenzi per carpire le attese percorse da attimi di panico per l’animale domestico disteso sulla spiaggia fuori porta.

Il sospiro di sollievo, sulla salute dell’impagabile amico del cuore che zampetta lontano da New York in un contesto panteista che rimane uno sfondo inerte, stenta quindi ad acquisire l’atmosfera all’inizio ascetica, in seguito concitata, col fiato in gola, nel confronto di vitale e funebre sprovvisto del supporto della geografia emozionale. Che nel libro riesce ad appaiare il legame del mare, a prima acchito abbastanza scontato, al suono delle rondini, degli uccelli, dei volatili in miniatura che affollano la debita evasione dal teatro della chiacchiera e dai limiti del cinema da camera. Girato tra quattro mura. Il teatro a cielo aperto giustapposto sul grande schermo agli interni degli scribacchini insicuri ed egoisti, che hanno al dunque parecchio da imparare dall’accettazione incondizionata del mondo animale di cui non si trova traccia nei volumi consultati dagli intellettuali a corto d’empatia, porta poca acqua al mulino del risvolto filosofico ed esistenziale. Centrato solo ed esclusivamente dall’interludio onirico in cui la scrittrice impersonata con considerevole destrezza psicotecnica ed emotiva dall’avvenente Naomi Watts accusa d’egoismo il redivivo maestro suicida. Incarnato dal valoroso decano della recitazione a stelle e strisce Bill Murray sulla scorta d’un’opportuna precisione di semitoni. Peccato che al dunque L’amico fedele preferisca gli accenti enfatici, stretti d’assedio nell’inane incombenza di riempire con la roboante colonna sonora le falle riscontrabili nell’effigie dell’egemonia dell’alchimia raggiunta sulla disarmonia celata dalla velleità del galateo, ed esponga il connubio tra amore e devozione ai colpi di gomito d’una qualunque soap opera strappalacrime. L’auspicio ivi congiunto consiste nel poter presto vedere in sala l’opera summa d’un autore con la “a” maiuscola in grado di tradurre dalla pagina scritta al buio della sala il carattere d’ingegno creativo della romanziera legata alla complessa gamma dei sentimenti. Che, anziché riverberare l’improntitudine di chi monta inutilmente in cattedra, riflettono la lectio magistralis impartita dall’ordine naturale delle cose.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Plugin WordPress Cookie di Real Cookie Banner
Verificato da MonsterInsights