Fiore Argento ha percorso negli anni un cammino personale e artistico che l’ha resa una figura affascinante e sfuggente nel panorama culturale italiano.
Attrice, artista, creativa, Fiore in questa intervista esclusiva ci racconta il suo mondo interiore, i ricordi familiari e il rapporto con l’arte e la libertà
Fiore, hai esordito giovanissima nel cinema con tuo padre, lavorando in film come Phenomena e Il Cartaio. Come hai vissuto questa esperienza?
Entrambi i film sono arrivati come un’enorme sorpresa. Non me lo aspettavo, nessuna delle due volte. L’onore immenso fu che entrambi i ruoli fossero stati scritti da mio padre per me. Ero curiosa di capire come mi vedesse lui, che oltre a essere mio padre è sempre stato il mio mito. Da adolescente dicevo che fosse il mio credo, il mio tutto.

Phenomena arrivò nella mia preadolescenza, un momento in cui ero timidissima, introversa, chiusa. Fu Daria Nicolodi ad aiutarmi a studiare le battute, a tirar fuori la voce. Chi meglio di lei, che mi aveva cresciuta per 10 anni? È stato catartico.

Anche Il Cartaio fu una grande sorpresa. Lavoravo nella moda da anni, da Fendi nello specifico, e facevo anche costumi per il teatro. Quando mio padre mi offrì il ruolo, un ruolo che aveva scritto per me e che, a suo dire, solo io avrei potuto interpretare, mi scoppiò il cuore dalla felicità. Aggiunse, inoltre, che avrei avuto l’opportunità di disegnare i miei costumi per il film, in modo da entrare meglio nel personaggio.

Dopo il cinema, ti sei dedicata all’arte visiva e alla scrittura. Cosa rappresentano per te queste forme di espressione?
Essendo una persona molto introversa, ho sempre prediletto il disegno e la scrittura come mezzi per esprimere ciò che avevo dentro. Anche il modo in cui mi presentavo al mondo, il mio modo di vestire, era un mezzo espressivo per me. Peccato che non fosse compreso dai miei coetanei, che mi chiamavano “quella strana” e mi emarginavano. Ho capito solo più tardi che quello era il mio stile, ed era una cosa preziosa.

Negli anni hai coltivato una passione per la moda e il design: cosa ti ha spinto a studiare al Fashion Institute of Technology e com’è nata la collaborazione con Fendi?
A 18 anni ho deciso di trasferirmi a New York per studiare moda. Ho scelto la città che, a quel tempo, mi sembrava la più lontana da tutto il mondo che avevo conosciuto fino ad allora. Lì, attraverso la moda, ho capito che più si è se stessi, più si viene apprezzati. A New York ho scoperto me stessa e la libertà. Sono tornata a Roma perché mi era stato proposto uno stage da Fendi, dove sono rimasta a lungo. Poi ho continuato con la mia linea di abbigliamento e il lavoro come costumista.

Nei tuoi lavori visivi spesso emerge il tema della femminilità e della solitudine. Quali emozioni cerchi di evocare e perché questi temi ti toccano così da vicino?
La solitudine ha accompagnato la mia crescita, e ho imparato ad amarla. Trovo fondamentali i momenti di silenzio, pace e introspezione: è lì che si scatena la creatività.

Nel 2023 hai partecipato all’Isola dei Famosi. Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
Ho trascorso molti anni nel Sud-est asiatico, a Bali precisamente, dove producevo la mia linea di abbigliamento. Lì ho fatto tanti viaggi avventurosi, in giro per la Malesia, l’Indonesia, il Borneo. Quindi, quando mi è stato proposto di partecipare all’Isola dei Famosi, pensavo di essere preparata a un’esperienza del genere. Volevo dare una prova di forza, a me stessa e al mondo. Non avevo previsto, però, quanto sarebbe stata difficile e snervante l’interazione con le altre persone. Comunque, è stata un’esperienza che mi ha cambiata nel profondo.
Durante questa avventura hai scoperto di avere risorse interiori che non ti aspettavi?
Avere la certezza che sopravviverai, qualsiasi cosa succeda, ti dà una forza interiore e una sicurezza incredibili.
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