A cura di Ilaria Solazzo
Paolo Lanzotti: la penna veneziana che intreccia storia, mistero e fantasia
Scrittore prolifico e raffinato narratore, Paolo Lanzotti è una figura ben nota nel panorama letterario italiano, grazie a una carriera che abbraccia generi diversi, dalla narrativa storica al giallo, fino alla letteratura fantastica. Nato a Venezia e laureato in filosofia presso l’Università di Padova, Lanzotti si distingue per una scrittura colta e accessibile, nutrita da una passione profonda per la divulgazione storica e scientifica.
Lettore onnivoro e appassionato di musica classica e teatro di prosa, l’autore veneziano ha saputo costruire nel tempo una bibliografia solida e variegata, in costante dialogo con il passato e i suoi enigmi. Tra i suoi titoli più noti figurano romanzi come “La voce delle ombre” (Premio Tedeschi Mondadori 2016), “I guardiani della laguna” (Tre60, 2021) e “L’alchimista della laguna” (Tre60, 2024), in cui Venezia, città natale e fonte di ispirazione costante, diventa protagonista di trame avvincenti.
Il suo esordio risale al 1997 con “I tempi del domani” (Perseo Libri), seguito l’anno dopo dalla vittoria del prestigioso Premio “Il Battello a Vapore” con “Le parole magiche di Kengi il Pensieroso” (Piemme, 1998), tradotto anche in Spagna. Da allora, Lanzotti ha pubblicato oltre una dozzina di romanzi, firmando anche opere di successo internazionale come “El secreto del escriba” (ViaMagna, 2007).
Numerosi i riconoscimenti ricevuti nel corso della sua carriera: oltre ai già citati premi “Battello a Vapore” e “Tedeschi”, è stato vincitore del premio “Odissea” nel 2009, e finalista in diverse edizioni dei premi “Urania”, “Odissea” e “Tedeschi”, confermandosi una voce apprezzata anche nel campo della narrativa di genere.
La sua produzione più recente si concentra su una fortunata serie di romanzi pubblicati da Tre60, che coniugano l’intreccio del giallo con una rigorosa ricostruzione storica, ambientati in una Venezia ricca di fascino e mistero. L’ultimo titolo, “L’enigma della maschera” (Tre60, 2025), prosegue questa linea, aggiungendo nuovi tasselli all’universo narrativo costruito dall’autore.
L’intervista…
Buongiorno Paolo, grazie per aver accettato il nostro invito. È un piacere poter parlare con lei di scrittura, storia e mistero.
Il piacere è mio. Parlare di scrittura è sempre un modo per capirla meglio, anche per chi la pratica da anni.
Cominciamo dal principio. Quando ha capito che la scrittura sarebbe diventata una parte fondamentale della sua vita?
Credo che il seme sia stato piantato molto presto, quando da ragazzo divoravo romanzi di ogni genere. Ma la vera consapevolezza è arrivata con il mio primo romanzo pubblicato. In quel momento ho capito che la scrittura non era solo una passione, ma una necessità.
Lei è laureato in filosofia. In che modo questa formazione ha influenzato il suo modo di raccontare storie?
La filosofia insegna a guardare oltre l’apparenza, a interrogarsi sul senso delle cose. Questo approccio critico e riflessivo si riflette inevitabilmente nei miei personaggi, nei dilemmi morali che affrontano, nei temi che scelgo di esplorare.
Nel 1997 ha vinto il Premio “Il Battello a Vapore” con un romanzo per ragazzi. Cosa ricorda di quell’esperienza?
Fu un momento di grande emozione. Non solo per il riconoscimento in sé, ma per l’idea che una storia nata in silenzio, quasi per gioco, potesse trovare lettori e diventare reale. È stato l’inizio di tutto.
Negli anni ha spaziato tra diversi generi: dal fantastico al giallo storico. Cosa la spinge a cambiare registro narrativo?
Credo che ogni storia abbia il suo linguaggio, la sua forma ideale. Non sono i generi che scelgo, ma le idee che mi vengono a cercare. Io cerco solo di ascoltarle e capire come raccontarle al meglio.
La Venezia che descrive nei suoi romanzi è spesso misteriosa, ambigua, affascinante. Che rapporto ha con la sua città natale?
Un rapporto profondo e complesso, come quello con una persona di famiglia. Venezia è per me un luogo dell’anima, un teatro perfetto per storie dense di ombre e bellezza. Non potrei non scriverne.
“La voce delle ombre” ha vinto il Premio Tedeschi nel 2016. Cosa significa per uno scrittore di gialli ricevere un riconoscimento così importante?
È stato un onore e una conferma. Il Giallo Mondadori è una collana storica, che ha fatto la storia del genere in Italia. Essere accolto in quella famiglia è stato un traguardo che ha dato ulteriore slancio alla mia scrittura.
Come nasce solitamente un suo romanzo? Da un’immagine, da un personaggio, da un fatto storico?
Può nascere da tutto questo insieme, ma spesso è una domanda che innesca tutto. “E se…?” A volte è un frammento di cronaca, a volte un dettaglio architettonico o una figura del passato che mi colpisce. Poi comincio a costruire intorno.
Ha pubblicato anche all’estero. Come è stato accolto il suo lavoro fuori dall’Italia?
Con curiosità, soprattutto nei paesi dove la nostra storia affascina molto. I lettori spagnoli, ad esempio, hanno mostrato un vivo interesse per i miei romanzi storici. È sempre sorprendente vedere come una storia “locale” possa avere un respiro universale.
Nella sua bibliografia ricorrono spesso le parole “ombra”, “segreto”, “enigmi”. È un caso?
Direi proprio di no. L’ombra, il segreto, l’enigma sono dimensioni che mi affascinano da sempre. Sono simboli della complessità umana e storica. Sono anche il motore del racconto: ciò che non si sa spinge il lettore – e lo scrittore – ad andare avanti.
Che ruolo ha la documentazione storica nel suo lavoro?
Fondamentale. Anche quando scrivo romanzi di fantasia, mi documento a lungo per rispettare il contesto, le mentalità, i dettagli dell’epoca. La credibilità di una storia passa dalla sua coerenza con il tempo in cui si svolge.
C’è un romanzo, tra quelli che ha scritto, al quale è particolarmente legato?
Forse “I guardiani della laguna”. È stato un ritorno alla Venezia del Settecento, un periodo che amo. Ma più in generale è un libro che sento “mio” in modo profondo, sia per i personaggi che per i temi trattati.
Lei è anche lettore onnivoro. C’è un autore che considera una guida o un punto di riferimento?
Ce ne sono molti, ma se dovessi citarne uno direi Umberto Eco. Per la capacità di coniugare cultura alta e narrazione avvincente. Ma anche Calvino, per l’eleganza della scrittura e la leggerezza che non è mai superficialità.
Come vive il rapporto con i suoi lettori?
Con gratitudine e attenzione. Ogni lettore aggiunge qualcosa alla mia storia, la interpreta, la trasforma. Quando mi scrivono o mi parlano ai festival, cerco sempre di ascoltare. È un dialogo silenzioso ma essenziale.
Sta già lavorando a un nuovo progetto?
Sì, come sempre. Una nuova storia ambientata nella Venezia meno conosciuta, tra medicina antica, alchimia e intrighi di potere. È ancora tutto in divenire, ma il mistero, come sempre, non mancherà.
Un’ultima domanda: cosa consiglierebbe a chi sogna di scrivere ma non ha ancora trovato il coraggio di iniziare?
Di non aspettare il momento perfetto, perché non arriva mai. Di scrivere, anche solo per sé, e di leggere tanto. E soprattutto di non avere paura del fallimento: ogni parola scritta è un passo avanti.
Grazie, Paolo. È stato un viaggio affascinante tra scrittura e memoria. Le sue parole illuminano ciò che spesso resta in ombra.
Grazie a voi. Le vostre domande mi hanno fatto riflettere e riscoprire il senso del mio mestiere. Un dialogo che porterò con me, come un libro prezioso.
“Dove la storia tace, la parola indaga”, Paolo Lanzotti.
“Questo motto riflette”, ha affermato lo scrittore “il mio amore per la ricerca storica, l’enigma e la narrazione che illumina ciò che è nascosto, con un tocco di eleganza filosofica”.
Una lettera in stile riflessivo ed emozionante, scritta da un Paolo Lanzotti adulto al sé stesso bambino, che sognava di diventare scrittore:
Caro Paolo,
so che stai leggendo queste righe con occhi grandi e pieni di domande. Hai dieci anni, forse undici, e stringi tra le mani un libro che ti fa viaggiare più lontano di qualsiasi treno. A scuola ti distrai spesso, perché nella tua testa c’è un mondo che nessun altro può vedere. È da lì che nascono le storie. Ti scrivo da un tempo in cui quei sogni che ora ti sembrano impossibili si sono fatti realtà. Sì, hai scritto libri. Ne hai scritti tanti, e alcuni hanno viaggiato molto più di te. Qualcuno li ha letti, li ha amati, magari anche criticati. Ma ciò che conta davvero è che non hai smesso di scrivere. Nonostante i dubbi, le fatiche, le notti in bianco, hai continuato. Perché raccontare, per te, è come respirare. Ti confesso un segreto: crescerai, certo, ma una parte di te resterà sempre quel bambino che si perdeva tra i capitoli di un romanzo, che inventava trame guardando il cielo o camminando tra le calli silenziose di Venezia. Quella parte sarà la tua bussola.
Non preoccuparti se nessuno capisce subito cosa vuoi fare. Non è importante convincere gli altri. L’importante è credere abbastanza da scriverlo comunque. Ci saranno momenti in cui penserai di non essere capace. Ci saranno storie che sembreranno fallire. Ma ogni parola scritta sarà un passo avanti. Anche le peggiori ti avranno insegnato qualcosa.
Continua a leggere tutto quello che puoi. Lasciati affascinare dalla musica, dalla storia, dalle voci del passato. Coltiva le tue passioni senza paura di sembrare “strano”. Non lo sei. Sei solo in anticipo.
E un giorno, quando vedrai il tuo nome stampato su una copertina, non sentirti arrivato. Sorridi, invece, pensando a questo momento: a te, lì, su un letto o su una sedia, che immagini storie a occhi chiusi e speri che un giorno qualcuno le ascolti. Quel giorno, credimi, arriverà.
Con affetto e gratitudine, Paolo.
Ci sono scrittori che raccontano storie. E poi ci sono autori come Paolo Lanzotti, che scavano nella memoria collettiva, sussurrano segreti dimenticati e restituiscono alla parola il suo valore più nobile: essere chiave d’accesso alla comprensione del tempo, degli uomini, dell’ombra che accompagna ogni verità.
La sua bibliografia è un viaggio lungo e coerente, pur nella varietà dei generi. Dai romanzi per ragazzi alla narrativa fantastica, dal giallo al romanzo storico, Lanzotti non rincorre mai il mercato, ma l’urgenza di raccontare. È uno scrittore che costruisce mondi precisi, credibili, perché si fida della profondità più che dell’effetto. E ogni libro diventa un atto di ascolto: della Storia, delle città che mutano, delle coscienze che lottano.
La Venezia che attraversa le sue pagine non è cartolina né nostalgia: è una creatura viva, colta nei suoi chiaroscuri, dove ogni pietra e ogni silenzio sembrano custodire un mistero da risolvere. Ed è forse proprio questa la cifra più profonda di Lanzotti: uno scrittore che non semplifica, ma accompagna il lettore in territori dove la verità non è mai assoluta, e la luce ha sempre bisogno dell’ombra per emergere.
Leggere Paolo Lanzotti significa fidarsi. Del tempo lento della scrittura, della cura dei dettagli, dell’intelligenza che non ha bisogno di rumore per essere ascoltata. È un autore che non urla, ma resta. E i suoi libri – come certe domande – tornano, bussano, si fanno ricordare.
In un tempo in cui la velocità sembra dominare tutto, Paolo Lanzotti sceglie la profondità. Scrive come si cammina tra calli poco battute: in silenzio, con rispetto, ascoltando ciò che il tempo ha da dire. Le sue storie non si consumano in fretta: si sedimentano, come la nebbia sopra la laguna. E quando le pagine finiscono, resta quella sensazione rara di aver davvero incontrato un autore. Ma, soprattutto, un uomo che scrive non per distrarre dal mondo, ma per aiutare a guardarlo meglio. Anche dove sembra non esserci più nulla da scoprire.
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