L’apparizione: un insolito Vincent Lindon al servizio del Vaticano

Da sempre attento alle sorti di personaggi che, vuoi per un motivo, vuoi per un altro, sembrano vivere vite che, in realtà, non gli appartengono, il cineasta francese Xavier Giannoli sembra, di fatto, essere arrivato a un punto della sua carriera in cui, ormai, può sentirsi libero di realizzare opere strettamente personali e intimiste, (quasi) scevre da ogni macchinoso dettame produttivo.

Ed è così dunque, che ha preso vita L’apparizione, che, ad una prima, sommaria lettura della sinossi, potrebbe voler indicare quasi una sorta di “cambio di rotta” all’interno della filmografia del regista, ma che ha, di fatto, molte più cose in comune con quanto è stato precedentemente realizzato di quanto si possa inizialmente pensare.

La storia qui messa in scena, dunque, è quella di Jacques (un ottimo Vincent Lindon), affermato giornalista che viene incaricato dal Vaticano di indagare sul singolare caso di una ragazza (la giovane e promettente Galatéa Bellugi), la quale afferma di aver assistito all’apparizione della Vergine Maria in un piccolo paesino della Francia.

Tema impegnativo, dunque, questo scelto da Giannoli. Eppure, secondo le affermazioni dello stesso regista, del tutto necessario, al fine di capire quale sia, in realtà, il suo stesso rapporto con la religione.

Quindi, con un lungometraggio che si colloca a metà strada tra il dramma religioso e il thriller, si arriva a realizzare una storia molto più complessa e stratificata di quanto possa inizialmente sembrare e in cui, alla fine dei conti, non viene emessa alcuna tesi definitiva, ma, al contrario, lo spettatore viene lasciato libero di trarre le proprie conclusioni e di interpretare il tutto in modo strettamente personale.

Scelta coraggiosa, dunque, questa attuata da Giannoli. Coraggiosa, ma che, tuttavia, non sempre riesce a tenere il passo a ciò che viene messo in scena, presentando non poche discontinuità e forzature (prima fra tutte, la figura stessa dell’amica della protagonista) e facendo sì, di conseguenza, che l’intero lavoro perda complessivamente di credibilità e di compattezza narrativa. Peccato. Soprattutto perché, dato il tema scelto, di spunti interessanti per portare avanti la storia ce ne erano davvero parecchi.

 

 

Marina Pavido