L’audizione: Ina Weisse tra Chazelle e Allen

L’audizione di Ina Weisse richiama alla mente Whiplash di Damien Chazelle da una parte, nonché Accordi e disaccordi di Woody Allen dall’altra.

Il primo richiamo è superficiale; il secondo, profondo. Tolto questo, Ina Weisse, gradevole come attrice, dopo l’esordio in cabina di regìa con The architect (Der architekt), incentrato sull’interazione tra geografia emozionale ed eruditi stilemi da film giallo, si conferma più in palla dietro la macchina da presa ché davanti. Lo testimoniano i movimenti di macchina a schiaffo da un soggetto all’altro.

La prova recitativa di Nina Hoss, nativa di Stoccarda e munita del piglio ad appannaggio delle interpreti d’alto rango, prevale sulla cifra stilistica dell’estrosa ma avveduta Ina: oggi come oggi lo spettacolo della recitazione, rispetto a quello dell’interessante ma ermetica scrittura per immagini, ha maggior presa sul pubblico dai gusti semplici. Gli spettatori avvertiti, che non garantiscono il pienone al botteghino, apprezzeranno i brani musicali eseguiti al pianoforte riconoscendone gran parte per il trionfo dell’autocompiacimento intellettuale. L’audizione è comunque film intento ad anteporre, stringi stringi, il cuore alla testa. Ed ergo all’intelletto. Pur disponendo sia della testa che della metaforica coda la vicenda dell’austera e inaccessibile insegnante di violino impersonata dall’attrice di Stoccarda in grande spolvero in quel di Berlino imbocca dal principio alla fine la strada dei buoni sentimenti. Nel farlo paga dazio alla melensaggine dell’enfasi di maniera? Non c’è nulla di manieristico nell’aderenza dell’attrice al personaggio della docente che pretende il massimo sia dall’alunno prediletto sia dal sangue del suo sangue ed esibisce la grinta di un capociurma e le grazie di una venere tutt’altro che algida nell’alcova.

La parte riguardante le spossanti attese degli altri allievi e allieve in attesa di giudizio convincono a metà: di primo acchito l’insegnante di violino che diviene da punto di riferimento del film a riferimento per tutti i punti si dimostra più malleabile di una collega rigida come soltanto le aristocratiche autentiche dei “von” e degli “zu” sanno essere; ed è un peccato che la donna con la forza significante dei controcampi da approfondire sparisca per buona parte del prosieguo degli eventi minimi ma al contempo emblematici. Anche i cinefili borbottoni e saccenti, ansiosi di scoprire i massimi sistemi negli eventi minori, sono sedotti dalle dinamiche interiori ed esteriori in seno a una famiglia avvezza alla cultura musicale e non ma disfunzionale. Restano infatti i semitoni anziché gli accenti ad accendere la fantasia degli spettatori scaltriti. L’egemonia della musica intradiegetica cadenza un ritmo contemplativo e dinamico al tempo stesso. Quello contemplativo converte in pratica le teorie legate al lavoro di sottrazione. Quello dinamico, a furia di aggiungere, traligna la marcia in più dell’antiretorica nella retorica dell’accumulo. I temi ricorrenti, il parlato spontaneo, il carattere d’autenticità della vita di coppia persuadono maggiormente tanto dello scandaglio sociale a passo di corsa quanto degli eloquenti silenzi tralignati troppo spesso in indugi barbosi.

Il pericolo della noia di piombo affiora solo qualche volta. Per il resto, a parte i richiami del citazionismo sugli scudi, le emozioni altrimenti sommesse se non smorzate perlustrano meandri umani senz’alcun dubbio degni di nota. Le scelte anticommerciali sono sopperite a mestiere in altri contesti narrativi in cui sta in ballo il crescendo del film dall’azione perentoria. Mai però risolutiva. Il coniuge francese campione di bon ton anche quando tra moglie e marito il dito lo mette la crisi che conduce all’infedeltà è una freccia all’arco dell’assunto che Ina Weisse non sfrutta come avrebbe potuto e dovuto. Il rispetto della verità custodita nei brani musicali riprodotti ad arte tramite la postura corretta dei violoncellisti avventizi messi in riga da una furia umana con le fattezze e l’anima di un profilo di Venere dai buoni sentimenti rende onore alla necessità morale delle mire autoriali. Ina Weisse si farà comunque. È un’autrice ancora acerba capace nondimeno di tenere sulla corda un pubblico semplice ed esperto grazie ad alcuni slanci alieni ai vani ricami. L’audizione trae poca linfa dai tediosi attimi di sospensione. Però conclude decisamente in attivo. E merita i premi sfuggiti persino all’autrice di riferimento Margareth von Trotta. Si vedrà. E si sentirà anche.

 

 

Massimiliano Serriello