Le marocchinate del ‘44: Damiana Leone indaga gli stupri di guerra

Gli episodi di violenza sessuale perpetrati dai soldati marocchini, proseliti del Corpo di spedizione francese, ai danni delle inermi donne nostrane nel penultimo anno della Seconda Guerra Mondiale ispirarono al celebre scrittore autoctono Alberto Moravia l’intenso romanzo La ciociara. Che grazie alla trasposizione sul grande schermo per la regìa di Vittorio De Sica permise alla bravissima Sophia Loren, nel ruolo dell’inobliabile protagonista, vittima delle cosiddette marocchinate, di divenire la prima attrice a vincere l’ambìta statuetta dell’Oscar senza recitare in lingua inglese.

Ora il documentario Le marocchinate del ’44 diretto da Damiana Leone si pone l’obbiettivo di approfondire l’increscioso argomento rinunciando al valore aggiunto della recitazione. In grado d’inchiodare l’interesse del pubblico meno sensibile nei riguardi delle opere d’impegno civile.

Al piano-sequenza in slow-motion dell’incipit, con la voce fuori campo della signora inquadrata di quinta che ricorda i racconti dei nonni in merito all’uragano di fuoco e di sangue dell’ultimo conflitto capace di mettere a soqquadro l’intero pianeta, replica il carattere d’autenticità delle vecchie fotografie. I filmati sbiaditi concernenti gli anni dell’infanzia, ed ergo dell’innocenza, le modalità esplicative sui ruderi e i fossati delle bombe assurti a luoghi di giocondo mistero agli occhi dei bimbi, l’addensarsi delle nubi, frammiste alle immagini in bianco e nero degli atroci bombardamenti, tradiscono alcune velleità estetizzanti, ben distanti dal trasformare i motivi pittorici in moniti interiori, insieme ai timbri romanzeschi agli antipodi coi compiuti quadri d’epoca. A serbare qualche gradita sorpresa provvede la franchezza delle testimonianze dei vetusti abitanti di Monte Cassino.

In tal caso il buon nerbo narrativo garantito dalle schiette reminiscenze della terra che bruciava e dalla punteggiatura filmica, impreziosita dai raccordi di montaggio con i soliti pezzi di repertorio, sopperisce alle vane mire ritrattiste con un senso del ritmo degno di nota. Le delucidazioni sulla via Casilina, eletta a percorso preferenziale verso Roma dalla linea difensiva tedesca durante la campagna d’Italia, tirano in ballo gli stilemi della geografia emozionale. Nondimeno l’ambizione di conferire agli spazi in questione gli effetti seducenti d’importanti attanti carichi di significato paga dazio all’impasse dell’infecondo déjà vu. Comprovato dall’inane timbro sbrigativo scelto per cedere presto il passo al succo della vicenda. La depredazione marocchina, il concetto di nemico, l’effigie classica delle cercine, coi panni in testa per porre in equilibrio sulla colonna vertebrale il peso delle brocche da trasportare lungo il cammino, cadono però nel didascalico.

Il corteo religioso, accompagnato dalla vivace ed energica musica di rito, nel mezzo dei crateri dovuti all’impietosa pioggia di granate, sfugge, invece, alle banalità concesse nel tentativo di rileggere un momento storico così rappresentativo per la sfera sociale del Bel Paese. L’ottimo mestiere dimostrato nel restituire l’aria del tempo dona all’assunto il fascino delle tensioni sotterranee ed evocative. Capaci di compensare ai momenti di noia. Che Damiana Leone non risparmia agli spettatori allergici ai segni programmatici del resoconto a corto d’estro per mettere in risalto con la facondia d’una psichiatra chiamata in causa le sintomatiche reazioni mentali agli eventi bellici. Poter scoprire viceversa queste risposte introspettive alle infamie subìte tramite i primi piani dei volti della gente alle prese con la ricostruzione avrebbe accresciuto il coinvolgimento intellettuale ed emotivo di qualsivoglia platea. Ma laddove s’incrocia pubblico e privato subentra la prevedibilità d’una cornice collaudata sulla scorta dei tratti distintivi d’ogni reportage. Le marocchinate del ’44 offre dunque spunti curiosi a un ipotetico film di finzione evidenziando con tutto ciò l’assenza del mix d’informazione culturale ed elaborazione artistica che sensibilizza le masse e illumina le pagine buie della Storia.

 

Massimiliano Serriello