Le protagoniste del cinema sexy anni 80: Michela Miti

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Michela Miti all’anagrafe è registrata come Michela Macaluso, ma con un nome così non avrebbe mai potuto fare cinema e qualcuno ha pensato bene di cambiarglielo. Noi la ricordiamo soprattutto come la sexy supplente per antonomasia dei film di Pierino con Alvaro Vitali e per cinque pellicole comico-erotiche che la lanciarono nel panorama delle starlet più amate dal pubblico anni Ottanta.

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Il debutto assoluto di Michela Miti è in Cornetti alla crema (1981) di Sergio Martino, ma il suo ruolo è abbastanza modesto, nei panni di una squillo. Cornetti alla crema (1981) vede Sergio Martino collaborare con Romolo Guerrieri e Franco Verrucci per soggetto e sceneggiatura. Produce Luciano Martino. Edwige Fenech è protagonista indiscussa, coadiuvata da un eccellente Lino Banfi, ma ci sono pure Gianni Cavina, Marisa Merlini, Milena Vukotic, Armando Brancia, Maurizio Tocchi, Marina Bellini, Luigi Leoni, Filippo Evangelisti e Salvatore Iacono. Poche sequenze inquadrano la bellezza senza veli di Michela Miti che di lì a poco imperverserà nella serie Pierino al fianco di Alvaro Vitali. Cornetti alla crema è una pochade raffinata che presenta Lino Banfi nelle vesti del sarto per preti Domenico Petruzzelli, sposato con l’infelice Milena Vukotic e padre di un figlio ciccione. Gianni Cavina è il migliore amico di Lino Banfi ma è pure un playboy rumoroso che abita al piano superiore dello stesso condominio. Il sarto fa una vita ordinaria e morigerata, tra preti da vestire, cardinali che fissano appuntamenti e una famiglia che dà poche soddisfazioni. Un giorno va a Rovigo per un ordine di abiti talari e conosce per caso un’affascinante cantante lirica (Edwige Fenech nei panni di Marianna Tribalzi) che s’innamora di lui. La Fenech però ha un fidanzato di nome Ulrico, un forzuto e geloso giocatore di football americano che la tallona e le impedisce di lasciarsi andare. A un certo punto la cantante si reca a Roma per un’audizione, il sarto la deve ospitare nella casa dell’amico e cerca di gestire una doppia vita in due appartamenti diversi. Finisce che la moglie di Banfi si innamora dell’amico playboy e va a letto con lui, mentre il povero sarto va sempre in bianco e le busca di santa ragione dal fidanzato della Fenech. Il finale mostra Lino Banfi in carrozzella ingessato da capo a piedi che ha perso l’uso della parola. Martino lo fa precipitare addirittura giù per una scalinata ironizzando su La corazzata Potëmkin (1926). L’intreccio del film si ispira alla pochade teatrale e alla rivista, soprattutto per quel che riguarda il personaggio del fidanzato geloso e forzuto. La commedia degli equivoci è il punto forte della pellicola, una vera e propria pochade condominiale tra portieri curiosi, vicini impiccioni, donne che vanno e vengono da un appartamento all’altro. L’accoppiata Fenech-Banfi è ai massimi livelli, la Vukotic è brava nel ruolo della moglie insoddisfatta e Cavina non stona affatto in un ruolo per lui poco usuale. Lino Banfi è insuperabile nella solita parte da pugliese infoiato e nevrotico che grida, impreca e invoca i santi con ridicoli ritornelli in italo-barese. Ricordiamo la sequenza in Vaticano quando non sa dove fare pipì e riempie di urina una bottiglia di cristallo che contiene un amaro prodotto dai frati. Il bello è che subito dopo un cardinale lo invita a bere da quella stessa bottiglia. Gianni Cavina è l’amico inseparabile che se non scopa una volta al giorno gli viene il raffreddore e che fa tremare il lampadario di Banfi quando salta sul letto con l’amante di turno. Poche parole sulla Fenech che si spoglia quasi per niente, ma d’altra parte la sua carriera è a un bivio e lei preferisce scegliere copioni più raffinati e commedie all’italiana di stampo classico. L’era dell’erotico-pecoreccio sta volgendo al termine. In questo film è una cantante lirica un po’ svampita e viene doppiata in veneto, sia quando canta che quando parla. Notevoli i suoi vestiti, forse un po’ kitsch ma elegantissimi: un completo azzurro con cappellino, un abito bianco e uno nero su cui sfoggia enormi cappelli. La pettinatura è una messa in piega classica e il colore dei capelli è sul rosso, gli occhi castani sono quelli di sempre e il suo sorriso è talmente penetrante che ipnotizza lo spettatore. Edwige Fenech è al culmine di una bellezza matura e le sue doti di recitazione comica sono notevolmente affinate. Vedere si vede poco: qualche sbirciata alle cosce nude sotto un vestito provocante, una mise in sottoveste di seta bianca e slip di pizzo, un paio di tette scoperte. Niente di più. Una parte sexy è quella con un gruppo di mignotte travestite da suore che danzano e ascoltano la Fenech durante una finta audizione per cantare in chiesa. La musica è rock allo stato puro e la Fenech canta ubriaca e seminuda prima di rientrare a casa per fare gli aeroplani e il cavallino con Banfi. Tra lei e Banfi le cose non vanno bene perché la prima volta è lui che fa cilecca e la seconda è lei che si addormenta. La Fenech finisce a fare la ragazza pon-pon del football americano e soddisfa la sua voglia di cantare. Un film per tutti che risulta ancora oggi di piacevole visione. Cornetti alla crema non ha niente a che spartire con il cinema erotico ed ebbe un grande successo di pubblico. A proposito di questo film riporto il giudizio di un critico cinematografico come Giovanni Buttafava su Edwige Fenech: “L’unica tra le bellone plastificate tipo Rizzoli, Russo, Miti (ma metteteci pure la Giorgi, e anche la Muti) che dia l’impressione di porgere il proprio corpo al desiderio delle platee con torpore ironico e sornione, con una grazia quasi paesana”. A parte che non comprendo cosa sia “il torpore ironico e sornione”, però, detto da Buttafava, per la Fenech era di sicuro un complimento. Il film è una raccolta di gag indovinate che vengono dall’avanspettacolo e per le quali Banfi è molto tagliato. Il film invece non piace a Mereghetti che lo demolisce in due battute: “Le grazie incontestabili della Fenech e le battute opinabili di Banfi, per una piatta commedia all’italiana”. Farinotti rincara: “una commediola di nessuna originalità”. Morandini invece conclude che “se vi piace Banfi è la farsa che fa per voi, un film volgare ma in modo sano”.

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Pierino contro tutti di Marino Girolami (1982) rappresenta il vero ingresso trionfale della Miti nel mondo del cinema. Nel cast ci sono anche Riccardo Billi, Enzo Liberti e Alvaro Vitali.  Il ruolo che il regista affida alla nuova bomba sexy è quello della supplente che manda in visibilio i ragazzini, soprattutto Pierino che è il più sviluppato e guardone della classe. In un sogno di Pierino c’è anche una scena di nudo quasi integrale, che adesso l’attrice rinnega ma che non si può cancellare e dopo tutto resta un bel vedere. Il film è un concentrato di barzellette – più o meno sconce – legate alla figura di Pierino che Girolami è bravo a rendere cinematografiche, coadiuvato dalla simpatia di Vitali e dalla bellezza fresca e prorompente della Miti. Girolami e Vitali, per sceneggiare il film, pare che si siano procurati tutti i libri sulle barzellette di Pierino, saccheggiando le edicole della stazione Termini. Nel cast troviamo anche un diligente Enzo Liberti nei panni del padre di Pierino, Cristina Moffa fa la sorella maggiore, Riccardo Billi è il nonno sempre in coda per il bagno, Deddy Savagnone è la madre premurosa del figlio ribelle. Alvaro Vitali ha trentuno anni quando interpreta Pierino ma è talmente piccolo e irriverente che risulta credibile ed è davvero inimitabile, pure se il film ha avuto una pletora di scadenti imitatori. Michele Gammino è il professore galante che subisce la corte della bruttissima maestra (Sofia Lombardo) che si infortuna per colpa di Pierino e permette al regista di mettere in campo la bella Michela Miti (la signora Rizzi… e il nome è tutto un programma…) come procace supplente. Pierino fantastica sulla bella insegnante e scommette con i compagni che la farà sua, pure se deve battere la temibile concorrenza del professore di educazione fisica. Notevole la scena in cui Pierino convince la maestra ad aiutarlo per fare pipì con la scusa di avere le mani immobilizzate. Non si vede niente ma lo spettatore immagina Pierino nudo dalla vita in giù e con il membro eretto davanti alla signora Rizzi. Il film non ha una trama e si regge sulle numerose battutacce di Vitali che snocciola barzellette a ripetizione, ma riporta un grande successo di pubblico che neppure i suoi autori avrebbero immaginato. Il primo film vede Alvaro Vitali protagonista assoluto e dominatore della scena per quasi due ore, ben coadiuvato dalla nuova starlet Michela Miti. In questa pellicola la bella attrice ha solo diciannove anni e un fisico notevole messo in risalto da capelli neri, occhi penetranti e maliziosi in un volto angelico. L’attrice ideale per un ruolo sexy malizioso che serve a stemperare la parte puramente comica. Il film è divertente e merita ancora la visione quando lo passano in televisione.

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   Nello stesso anno Michela Miti interpreta il ruolo di una sexy Biancaneve nel poco riuscito Biancaneve & Co. diretto da Mario Bianchi, che si nasconde dietro l’improbabile pseudonimo di Al Finlay. Il film è liberamente ispirato alla fiaba dei fratelli Grimm con una sceneggiatura da urlo firmata da Nino Marino e Luigi Petrini. Nel cast Michela Miti la fa da padrona nei panni spesso svestiti di una Biancaneve sporcacciona ma non troppo, visto che nei fumetti hard del tempo si era visto di peggio. Accanto a lei ci sono anche Oreste Lionello, Gianfranco D’Angelo, Aldo Sambrell, Franco Bracardi, Enzo Garinei, Aldo Ralli, Tiberio Murgia, Mireno Scali e Serena Bennato. C’è chi ha definito questo film come “un incubo cinematografico” sorretto da una voce narrante fuori campo che imita il gergo dialettale del primo Abatantuono. La colonna sonora invece si ispira al “Ballo del qua qua” di Romina Power e la trama è un delirio trash senza limiti. La matrigna Crimilde “Bocca Svelta” (il trans Damianne Saint-Clair) è un’esperta di arti amatorie orali, chiamata a risvegliare la virilità del re impotente, mentre Biancaneve segue le orme della matrigna e regala “baci profondi” a tutti i sudditi. Crimilde ricatta il re e diventa sua sposa sotto la minaccia di interrompere il servizietto orale che lui gradisce molto. Passano gli anni, Biancaneve diventa sempre più bella e sogna di sposare il principe azzurro, ma nell’attesa fa voto di rimanere illibata, pure se si allena con tutta la servitù maschile del palazzo. La matrigna Crimilde è invidiosa e vuole essere lei “la più brava del reame” in certi giochi erotici, così consulta in proposito lo specchio magico (Gianfranco D’Angelo dentro una specie di televisore). Un bel giorno lo specchio dice: “Cara regina, mi comunicano dalla regia che Biancaneve, fija del re, fa li servizietti mejo de te!”. La regina è un uomo e per questo motivo che non si era mai concessa al marito. Vuole eliminare la rivale, quindi consulta le Pagine Gialle alla voce “killer” dove trova un sicario di nome Jack Il Silenziatore (Gianni Magni). Il sicario risparmia la giovane ma le prende la verginità e porta alla matrigna un ciuffo di peli pubici di Biancaneve per dimostrare di averla uccisa. Franco Bracardi è un oste arrapato che vorrebbe spassarsela con Biancaneve, ma non ci riesce perché la ragazza è più furba di lui. L’oste le consiglia di andare dai Sette Saggi (invece dei Sette Nani…), in via delle Ginestre al numero 103 e Biancaneve, dopo un lungo cammino, raggiunge la casa. Dentro l’abitazione non c’è nessuno, la ragazza, vinta dalla stanchezza, si accascia sul primo letto che vede e cade in un profondo sonno. Proprio in quel momento tornano i Sette Saggi (tra cui Enzo Garinei, Tiberio Murgia e Aldo Ralli) e si rendono conto che in casa c’è un ospite inatteso. Garinei fa la parte niente meno che di Stronzolo e il suo nome è dovuto al carattere poco trattabile.

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Ma un altro si chiama Scopolo e un altro ancora Pippolo, ed proprio è lui che scopre Biancaneve a letto mezza nuda. Il gruppetto concorda di nascondere Biancaneve per proteggerla dalla regina e soprattutto per approfittare della sua generosità nel concedersi. Crimilde scopre di essere stata raggirata dal killer e medita una vendetta con l’aiuto del mago Magone (Oreste Lionello) che escogita un rimedio per sbarazzarsi dell’odiata Biancaneve. Si tratta di un liquido da iniettare nel membro della regina transessuale che farà morire Biancaneve dopo averlo bevuto. La perfida matrigna si presenta alla casetta dei Saggi (che sono fuori) in abiti maschili e si finge un atleta. Biancaneve è molto facile nel concedersi, lo fa pure con Crimilde vestita da uomo, fino a quando non ingoia il fluido velenoso e stramazza al suolo. I Sette Saggi tornano a casa, vedono la regina in abiti maschili scappare di corsa e trovano la loro amica morta. La regina incappa nel brigadiere Acca Puto (Martufello) e nell’appuntato Mezzo Fiato (Andrea Albari), che la condannano a morte come “frocio esibizionista”. Intanto i  Sette Saggi trovano il modo di resuscitare la fanciulla: per tornare in vita, dovrà fare l’amore con un principe azzurro. Però la fanciulla deve essere vergine e Biancaneve non lo è davvero. Uno dei Saggi, armato di maschera e saldatrice, pratica una chiusura ermetica alla vagina della defunta e la fa apparire ancora vergine. Il Principe Azzurro (il sosia di Benigni, molto utilizzato nei b movies del periodo) incontra qualche difficoltà a sfondare la saldatura, ma alla fine Biancaneve resuscita. Lieto fine con i due che, salutati i Sette Saggi, partono su un cavallo alato (con ali di plastica) e convolano a giuste nozze. Una commedia erotico-trash di Bianchi, Petrini e Marino che supera di molto i confini del demenziale e del triviale, distruggendo colpo su colpo la fiaba dei fratelli Grimm. Difficile giudicare una pellicola così brutta che proprio per questo motivo è diventata un ricercato oggetto da possedere, un vero cult per appassionati di cinema bis. Gli attori non si rendono conto neppure di cosa stanno facendo, a partire da una giovanissima Michela Miti, che in ogni caso possiede il volto perfetto per un ruolo da finta ingenua e sporcacciona ninfomane. Va meno bene a Gianfranco D’Angelo, Oreste Lionello e un giovane Martufello, che sono proprio fuori parte. Mireno Scali, il sosia di Roberto Benigni, è un Principe Azzurro tremendo, ma lui ci ha abituati a interpretazioni pessime e senza speranza. Biancaneve & Co. pare un film improvvisato privo di sceneggiatura, ma proprio questo è il lato positivo della pellicola che ne fa un oggetto unico nel panorama dei primi anni Ottanta. La fotografia di Galbassi è pessima e la regia di Andrea Bianchi non può che essere scadente. Tutto questo fa di un film condito da battute trucide e involontari momenti esilaranti, un cult ineguagliabile. Non occorre pensare per ridere e  basta abbandonarsi al folle delirio di una pochade erotica che rasenta l’assurdo di un fumetto porno-demenziale.

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   Il 1982 è l’anno del lancio di Michela Miti come stella sexy erotica e a noi adolescenti piaceva da morire la sua aria ingenua e maliziosa, quando mostrava le gambe da minigonne ascellari fingendo di non accorgersi degli sguardi allupati.

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 W la foca! di Nando Cicero è un film fondamentale della commedia sexy ed è un mito del trash, analizzato in Sexy made in Italy (Profondo Rosso, 2007) parlando di Lory Del Santo. Rimando a quel lavoro per l’analisi completa della pellicola e in questa sede mi limito a dire che si tratta di una divertente pochade surreale e strampalata. Michela Miti è sottoutilizzata e fa la parte di una perversa mangiatrice di uomini che finisce sempre tra le braccia del primo venuto. Ricordiamo la scena in cui Bombolo la presenta come figlia e Michela Miti resta avvinghiata a uno dei suoi tanti ragazzi. Bombolo: “E quello chi è?”. Miti: “Non lo so. Mamma mi dice sempre di non parlare con gli sconosciuti”. Le bellezze della giovane attrice sono oscurate dalla protagonista Lory Del Santo, ma quando Cicero la inserisce nel pieno dell’azione la Miti sa catturare l’attenzione del pubblico maschile.

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Vieni avanti cretino (1982) è l’ultimo film diretto da Luciano Salce (un regista da riscoprire) con protagonista assoluto Lino Banfi, calato a dovere in una serie di situazioni esilaranti tipiche dell’avanspettacolo. Le scenette che caratterizzano il film sono simili a quelle che portò sulla scena Walter Chiari imitando i fratelli Derege. Memorabile la parte iniziale quando Banfi scambia la sala d’aspetto di un dentista per una casa chiusa con tutti gli equivoci che ne conseguono tra lui e un esilarante Gigi Reder. Oltre a Michela Miti ricordiamo Franco Bracardi, Adriana Russo, Gigi Reder, Jimmy il Fenomeno, Luciana Turina e Moana Pozzi. Un barzelletta-movie d’autore che ancora oggi fa ridere a quattro ganasce dopo oltre vent’anni dalla sua uscita, al punto che la recente riproposta in dvd è stata un successo editoriale. L’amico (Franco Bracardi) trova un lavoro dopo l’altro a un imbranatissimo Lino Banfi che ne combina di tutti i colori sia da garagista che da cameriere. Al bar dove lavora si beve tutti i caffé che porta a un cliente per colpa di una serie di equivoci e la scena vede protagonisti anche Adriana Russo, Nello Pazzafini (barista) e il sosia di Benigni, Mireno Scali (cliente). Banfi diventa isterico a forza di bere caffé e poi manda in visibilio il pubblico da ballerino di flamenco cantando: “Filomena muy hermosa, è scappata da Canosa/ Filomena galopera è passata da Lucera./ E con todo il mi tormento l’ho cercata nel Salento./ Una noche pien de pioggia l’hanno vista pure a Foggia./ Io me soy desperado però non me soy sparado;/ sono pieno de libido, arrapedo ed ingrifido/ e anche un po’… rincoglionido”. Il film si caratterizza per una serie di episodi scollegati l’uno dall’altro che stanno insieme grazie alla professionalità di Salce e alla bravura di Lino Banfi. Banfi lavora con Paolo Paoloni, noto omofobo che “non tollera uranisti”, e si fa beccare con le scarpe della zia messe allo scopo di allargarle, gettando dubbi enormi sulla sua mascolinità. In fabbrica ai lavori elettronici impazzisce nell’attivare e disattivare congegni e alla fine viene cacciato. In questo episodio si intravede una giovanissima Moana Pozzi che aveva fatto una breve apparizione anche in W la foca!. Interessante pure la parte con Luciana Turina, padrona di un cane sperduto che offre se stessa a Banfi come premio del ritrovamento. Il finale dela pochade è originale con Luciano Salce che prende Banfi a torte in faccia, recando omaggio alle vecchie comiche. Michela Miti è la bella Carmela che irretisce un Banfi improvvisato meccanico, per rubare tutte le auto dell’officina. Carmela è d’accordo con la banda dei fratelli, pregiudicati e ladri matricolati, che irrompono sul più bello e fanno piazza pulita. La sequenza sexy tra Banfi e la Miti è piccante con la bella attrice che resta seminuda in mutandine bianche e reggicalze. C’è un momento in cui dagli slip traspare er pelo e il seno dritto e sodo della bella attrice sfiora il volto di Banfi. Una vera delizia.

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Michela Miti conclude alla grande il 1982, anno irripetibile della sua consacrazione a diva del comico-erotico, con Pierino colpisce ancora di Marino Girolami. Gianfranco Clerici e Vincenzo Mannino danno una mano al regista per confezionare la seconda parte di un barzelletta-movie che cavalca il successo commerciale del primo film. Michela Miti è di nuovo la signorina Rizzi, l’immancabile supplente bbona che tutti spiano dal buco della chiave e mostra con generosità le sue grazie. Il cast è pressoché identico al Pierino originale ma il film non è sullo stesso livello di spontaneità e freschezza, anche perché prima di questo Pierino parte seconda sono usciti due modesti apocrifi interpretati da Giorgio Ariani (Pierino la peste alla riscossa di Umberto Lenzi) e Maurizio Esposito (Pierino il fichissimo di Alessandro Metz).

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Pierino colpisce ancora è il secondo e ultimo film di Pierino girato da Girolami che ricordiamo soprattutto per la canzonetta “Col fischio o senza” e per le gambe di Michela Miti che si accavallano maliziose dietro la cattedra. Pierino va in collegio, ritrova la supplente, comincia a corteggiarla e a spiarla, poi torna a Roma e il padre tenta disperatamente di farlo lavorare. Un po’ si ride, meno che nel primo Pierino, ma in confronto alle imitazioni di Ariani e Esposito è un capolavoro di comicità.

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Dopo l’exploit del 1982 si devono attendere quattro anni per ritrovare Michela Miti all’opera e in ogni caso non la vedremo più così in forma e così disinibita. La dolce pelle di Angela è una pellicola di Andrea Bianchi del 1986, terribile fratello di quel Mario Bianchi che aveva diretto la bella attrice nell’erotico-trash Biancaneve & Co.. Il regista si fa chiamare Andrew White ma è italianissimo e lavora pure alla sceneggiatura con l’aiuto di Francesco Valitutti. Michela Miti è la protagonista assoluta, recita accanto a Carlo Murari, Anita Ekberg, e Gian Pier Germini. Marco Giusti prende un abbaglio confondendo i due Bianchi quando dice che si tratta della seconda esperienza della Miti con il regista. Il film è brutto, non poteva essere altrimenti, si svolge in una casa di tolleranza dove la maîtresse è niente meno che Anita Ekberg. Michela Miti è la prostituta più giovane e desiderabile, anche perché per un po’ di tempo riesce a mantenersi illibata. Il film è in costume, pare una via di mezzo tra una sorta di decamerotico fuori epoca e un film di cappa e spada, non si capisce bene. La storia racconta le vicende di una ragazza che va a Roma in cerca di fortuna, deve prostituirsi, si innamora di un ricercato e alla fine sposa un vecchio porco. Per fortuna resta presto vedova e si può godere l’eredità insieme al suo innamorato ricercato dalla giustizia. Il film si doveva chiamare Memorie di una ragazza di piacere e nel cast si leggono pure nomi di future porno star come Carmen Di Pietro. Si tratta di un film erotico, ma la versione che circola è molto castigata.

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Un anno dopo Michela Miti è nel cast di Delitti di Giovanna Lenzi (1987) che “Spaghetti Nightmares” definisce “il peggior trhiller italiano mai realizzato”. La trama ruota attorno a sette uomini uccisi da una vipera che un misterioso individuo porta vicino ai denti delle vittime. Un giovane e ingenuo poliziotto indaga sui delitti. Pino Farinotti nel suo “Dizionario di tutti i film” è generoso e concede due stelle al film. Marco Giusti lo definisce invece “un film di culto assoluto” per via della tragica fine che ha colto il produttore Sergio Pastore, che dà pure una mano alla sua fiamma Giovanna Lenzi, al debutto come regista. Pastore muore poco prima dell’inizio della proiezione del film davanti a un cinema romano. La pellicola vede protagonista la stessa regista Giovanna Lenzi (non ha più fatto un film!) con lo pseudonimo di Jeannette Len. Michela Miti ha un ruolo secondario e il protagonista maschile è Saverio Vallone.

La carriera di Michela Miti si avvicina alla fine, anche se per il genere che a noi interessa può dirsi iniziata e conclusa nel corso del 1982, anno in cui aveva fatto sperare molto i suoi fan che vedevano in lei una nuova ragazzina ingenua come la prima Gloria Guida.

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Gialloparma, sceneggiato e diretto da Alberto Bevilacqua, che nel 1999 ricava un pessimo film da uno dei suoi tanti orribili romanzi, è l’ultimo lavoro per il cinema di Michela Miti, che ormai non è più una ragazzina e ha virato decisamente rotta. La Miti è Franca Ghepardi, gli altri attori sono Natacha Amal, Roert Hossein, Kaspar Capparoni, Brontis Jodorowsky e Maria Teresa Rossini. Protagonista della storia è la città di Parma con la sua bellezza antica e i suoi locali esclusivi, argomento che Bevilacqua cucina da sempre in tute le salse. Una donna affascinante e trasgressiva (Amal) torna a Parma con intenzioni bellicose e vendicative nei confronti della matrigna che ha avvelenato la vita del padre. La donna ritrova la gente del suo mondo e il suo ritorno a casa è un modo per guardare dentro la corruzione che alberga tra la gente e le passioni rancorose di una città di provincia. Parma vorrebbe essere la metafora di una società contemporanea in cui gli intrighi di sesso e di potere, di truffa e denaro, servono a eludere la noia delle giornate dei ricchi borghesi. In questo scenario si consuma un delitto e la risoluzione del caso porta la donna al recupero della sua serenità interiore. Il film non è per niente riuscito, ha lo spessore di una soap opera e di una pellicola televisiva, infatti si vede spesso sulle reti Mediaset. Sconsigliato ai vecchi fans di Michela Miti perché potrebbero restarci male nel vederla così cambiata e anche un po’ invecchiata. Non è più la supplente bbona di Pierino, anche se un po’ di scene erotiche le recita e contende un uomo alla protagonista Natacha Amal. La Miti interpreta un film serio che vorrebbe essere di un certo spessore ma naufraga miseramente nella nullità tipica dei lavori di Bevilacqua, scrittore che non vale la pena di leggere e regista da evitare con cura. Da segnalare il fatto che la Miti in questo periodo è compagna fissa di Alberto Bevilacqua e forse per questo motivo la incontriamo anche in teatro insieme allo scrittore tuttofare. Nel 2001 abbiamo visto al Teatro dei Vigilanti di Portoferraio l’opera Viaggio al termine del sogno, scritta da Bevilacqua e interpretata (tra gli altri) da Michela Miti. La presentazione della coppia Bevilacqua – Miti si inseriva nella classica serie di incontri con gli autori di un certo prestigio che in provincia dà lustro alle attività culturali. Non ci dimentichiamo che la supplente bbona di Pierino ha trovato il modo di pubblicare un libro di poesie niente meno che nella collana degli Oscar Mondadori. Di sicuro il fatto di essere la donna di Alberto Bevilacqua ha influenzato le scelte degli editor. Il libro si intitola Alchimia celeste e il critico del Giornale Radio Rai, Piero Dorfles, lo ha inserito in una rubrica dal significativo titolo: “I libri da evitare – come difendersi dalle cattive letture e vivere felici”. Se penso che una volta gli Oscar Mondatori pubblicavano soltanto classici e capolavori consacrati mi prende male. Il libro si può trovare accatastato in grandi pile di invenduto e a un prezzo scontatissimo sulle bancarelle di tutti i Reimanders italiani. Preferisco ricordare Michela Miti nei panni succinti di Biancaneve o della mitica supplente di Pierino che leggere tutte le poesie di una raccolta sponsorizzata Bevilacqua. Michela Miti resta una bellezza del cinema anni Ottanta. Niente e nessuno ce la può cambiare.

 Gordiano Lupi

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FILMOGRAFIA DI MICHELA MITI

Cornetti alla Crema di Sergio Martino (1981)

Pierino contro tutti di Marino Girolami (1982)

Biancaneve & Co. di Mario Bianchi (1982)

W la foca! di Nando Cicero (1982)

Vieni avanti cretino di Luciano Salce (1982)

Pierino colpisce ancora di Marino Girolami (1982)

La dolce pelle di Angela di Andrea Bianchi (1986)

Delitti di Giovanna Lenzi (1987)

Gialloparma di Alberto Bevilacqua (1999)