LE RECENSIONI DI DAVIDE COMOTTI: RED KROKODIL

Nel vasto panorama del cinema indipendente italiano, Domiziano Cristopharo è sicuramente uno degli artisti più validi, geniali e “anarchici”. Artista, prima ancora che regista. Spesso catalogato sbrigativamente come autore “horror”, tocca in realtà il genere solo marginalmente e sempre in maniera personale, attraverso le correnti artistiche predilette, cioè la body-art e il surrealismo. Per Cristopharo il cinema è innanzitutto arte, un modo per veicolare messaggi attraverso le immagini, è un cinema che “viene da dentro”, epidermico e crudo.

Esempio supremo della sua estetica cinematografica è Red Krokodil (2012): un film estremo, angosciante, un vero pugno nello stomaco, un viaggio nell’orrore esistenziale, mentale e fisico di un uomo distrutto dalla droga. Anzi, da “una” droga in particolare, appunto la “Krokodil”. Come spiega dettagliatamente la didascalia che apre il film, si tratta di un fenomeno venuto alla ribalta solo di recente, ma presente in Russia già da parecchio tempo: una droga fatta in casa (come surrogato economico dell’eroina) che ha effetti devastanti sul corpo, riducendo la carne a squame (da qui il nome) e facendola decomporre. Fa venire i brividi solo a pensarci. Ma Cristopharo fa molto di più, traducendo il pensiero in immagini: una fiction, certo, ma tremendamente realistica. A Cherepovets, una città della Russia, vive il protagonista (Brock Madson), unico interprete del film ad eccezione di alcuni figuranti. “Vive”, si fa per dire, perché in realtà la sua è una “non vita”: consumatore assuefatto di Krokodil, ha il corpo martoriato dalle piaghe, nascoste a malapena da alcune fasce sgualcite. Vive in uno squallido tugurio, si aggira per la casa quasi completamente nudo, sporco come tutto l’ambiente, è privo di forze, mangia pochissimo, consuma droga in continuazione. È consapevole dell’orrore esistenziale che sta vivendo, e per questo motivo è vittima anche di orribili allucinazioni. Sogna di poter cambiare vita, ma sa di poter farci nulla: anche il barlume di speranza finale è destinato a spegnersi.

Con Red Krokodil, Cristopharo accetta di compiere una sfida coraggiosa: mettere in scena una storia di 85 minuti con un solo attore, senza dialoghi (solo monologhi interiori) e girata quasi tutta in interni. E, ancora una volta, il geniale regista vince la scommessa, come dimostra il successo ottenuto ai vari festival in cui è stato presentato: ricordiamo in particolare la prestigiosa Fantastique semaine du cinéma di Nizza, dove l’opera ha vinto nel 2012 il premio come migliore sceneggiatura (scritta, come il soggetto, da Francesco Scardone) e la menzione speciale, ed è stata candidata anche ai premi come miglior film, migliori effetti speciali (di Athanasius Pernath) e migliore attore.

La vicenda tiene alla perfezione per tutta la durata del film, inchiodando lo spettatore allo schermo e facendolo partecipare emotivamente alla tragedia di questo relitto umano. Come sempre nel cinema di Cristopharo, notiamo innanzitutto come l’immagine sia estremamente curata: grazie alla fotografia (diretta da lui stesso) e all’uso particolare delle inquadrature, si creano le luci e le profondità di campo essenziali per evitare le fastidiose immagini patinate “da fiction”; pur essendo girato in digitale HD, sembra davvero di assistere a un film in pellicola. Straordinaria la perfomance dell’interprete, l’esordiente Brock Madson: un grande studio e lavoro di body-art trasformano il personaggio in una “persona”, un essere quasi tangibile di tanto che è realistico. Lo vediamo mentre deambula per l’appartamento con un fare zombiesco, ciondola da una stanza all’altra, si contorce, va in bagno, si stende sul letto, sempre con un’estrema sofferenza. Ma lo vediamo anche nei suoi sogni, mentre corre in prati e altri scenari ameni (splendide le location americane), proiezioni visionarie di una vita impossibile. Più che sogni, il protagonista è ossessionato però da allucinanti visioni: la paura di ciò che si trova oltre una porta, un uomo con la maschera da coniglio, la visione di se stesso, l’occhio nella mano e dietro il muro, l’orribile freak che entra pian piano nella stanza (il “freak” è un tema caro a Cristopharo: vedasi House of flesh mannequins e Museum of wonders). Il continuo riferimento all’occhio, il tema del doppio, il corpo nudo che corre in ampi scenari sono tutti elementi dell’arte surrealista, coniugati senza contraddizioni con il crudo realismo della vita dell’uomo.

Impressionanti anche gli effetti speciali e il make-up di Madson (lercio ed emaciato in volto, coperto alle mani e agli arti da bende che fanno impressione anche prima di vedere le ferite): vediamo squame sanguinanti, piaghe purulente da cui la carne si stacca a brandelli, un chiodo conficcato nella carne (durante la sequenza allucinatoria della crocifissione), l’occhio nel muro penetrato con un dito e grondante sangue, il freak con due teste e un minuscolo corpo che fuoriesce dal torace. L’orrore non è solo però nel disfacimento della carne, ma anche nella putrefazione della mente e della vita che accompagna ogni inquadratura.

A rendere il tutto così angosciante contribuiscono anche gli scenari apocalittici (girati a Cherepovets e a Chernobyl), quasi da post-atomico, che vediamo fuori dalla finestra: inquinamento, fumo, casermoni grigi, l’esplosione nucleare conclusiva. La radio parla del disastro di Chernobyl e trasmette bollettini di guerra: come afferma il regista, “in realtà la vicenda non ha tempo, è un futuro prossimo in cui la storia si ripete”. Red Krokodil è dunque improntato a un nichilismo esistenziale assoluto, a livello sia individuale che umanitario: una sofferenza e un’angoscia senza speranza, sottolineate alla perfezione anche dalla colonna sonora di Alexander Cimini, con le sue melodie cupe e pesanti.

Davide Comotti