LE RECENSIONI DI DAVIDE COMOTTI: “TULPA”

Dopo una spasmodica attesa da parte dei cultori dell’horror nostrano, il 20 giugno è uscito finalmente nelle sale italiane Tulpa (2012), terza prova di Federico Zampaglione come regista e sua seconda incursione nel genere. Il leader del gruppo musicale “Tiromancino” approda alla regia nel 2007 con la commedia grottesca Nero bifamiliare e si impone con merito all’attenzione di pubblico e critica con il crudele horror Shadow (2009): un “torture-porn” dalle connotazioni metafisiche, sicuramente uno fra i migliori prodotti italiani degli ultimi anni che fa sperare in una rinascita del genere. Zampaglione porta avanti tale impresa anche col suo nuovo film: se in Shadow il regista buttava un occhio ai modelli americani (Un tranquillo weekend di paura, Non aprite quella porta), Tulpa è invece un thriller sanguinario ed esoterico ispirato ai cult italiani degli anni Settanta (Dario Argento, ma non solo).

Questa è la vicenda, ambientata nella Roma dei nostri giorni. Lisa Boeri (Claudia Gerini) è una donna in carriera che lavora presso un’importante società finanziaria diretta da Roccaforte (Michele Placido). Manager glaciale e integerrima di giorno, la notte si trasforma recandosi nel riservatissimo club “Tulpa”, un locale dove si può dare sfogo alle pulsioni sessuali più inconfessabili. La sua vita prosegue tranquilla su questi due binari, fin quando un giorno scopre che le tre persone con cui aveva avuto rapporti nel night sono state brutalmente assassinate. Terrorizzata dalla paura di essere la prossima vittima, non vuole rivolgersi alla polizia per non compromettere la sua reputazione, e decide quindi di indagare in privato.

Federico Zampaglione si colloca in una sorta di “terra di mezzo” del cinema italiano, a metà fra il cinema “ufficiale” e quello indipendente. Essendosi già affermato in ambito artistico, può disporre di un budget più elevato rispetto a molti autori underground, ma nel contempo ha il coraggio e la capacità di sfidare il mercato osando molto di più rispetto ai registi amati dal “grande pubblico”, e per questo motivo è spesso oggetto di discussioni. Il che, già di per sé, è un merito: il cinema di Zampaglione può piacere o non piacere (come tutta l’arte, del resto), ma è un dato di fatto che il regista sia uno dei pochi (al di fuori degli indipendenti in senso stretto) a portare avanti il genere thriller e horror in Italia. E con risultati eccellenti.

Tulpa, come si è accennato, omaggia e si ispira ai thriller italiani degli anni Settanta (rielaborati in senso più moderno, a cominciare dall’ambientazione contemporanea): non solo nella trama (con la catena di delitti e la protagonista che indaga da sola), ma anche nell’estetica dell’assassino e nella coreografia degli omicidi. Il soggetto è scritto infatti dal celebre Dardano Sacchetti, uno dei più grandi soggettisti e sceneggiatori dei seventies italiani (mentre la sceneggiatura è firmata dallo stesso Zampaglione insieme a Giacomo Gensini). Il serial killer vestito interamente di nero (cappello, impermeabile, guanti) richiama il cinema di Dario Argento, a sua volta anticipato da Mario Bava col seminale Sei donne per l’assassino (1964), così come argentiano è il carattere “astratto” della città; i dettagli sanguinari dei delitti hanno un sapore vagamente fulciano (Lucio Fulci è stato un altro maestro del cinema di paura italiano); l’arrivo del carnefice, l’attesa e la paura della vittima sono anch’essi elementi stilistici da thriller anni Settanta, dosati coi tempi e le modalità giuste (a dimostrazione di come il regista conosca il genere e ci sappia fare davvero dietro la macchina da presa). Da antologia alcune sequenze: il delitto iniziale, con la donna legata al letto e il villain che si avvicina implacabile all’uomo girato di spalle; l’inseguimento della prostituta nel tunnel fino al parco giochi; l’omicidio della donna in casa; la claustrofobica fuga di Claudia Gerini dal “Tulpa” attraverso i corridoi sotterranei; l’incubo demoniaco di Lisa; tutto l’angosciante finale.

Zampaglione calca la mano sull’aspetto gore e splatter, più che in Shadow (dove non si vedeva così tanto sangue, pur essendo ugualmente crudele nella messa in scena delle torture). L’assassino uccide infatti le proprie vittime con un coltello sacrificale e le priva di una parte del corpo: un uomo viene evirato, a una donna viene martoriato il viso e cavato un occhio con del filo spinato, a un’altra viene ustionato il volto e mozzato un dito. Anche il finale (senza svelare troppo) è un tripudio di crudeltà, con una vittima rinchiusa in una cassa insieme ai topi e un’altra inchiodata al muro e pugnalata a morte. Insomma, Tulpa è un film per palati forti, grazie anche agli ottimi e realistici effetti speciali di Leonardo Cruciano e della sua troupe: fra i tecnici, è doveroso segnalare Tiziano Martella, validissimo effettista e scenografo che ha collaborato ad alcuni celebri horror indipendenti quali Morituris (sua è la realizzazione dei gladiatori zombi), Eaters, Zombie massacre, P.O.E. – Project of evil, oltre ad aver diretto insieme a Davide Sacchetti il cortometraggio Legio XIII.

Squisitamente anni Settanta sono anche altri due aspetti. Innanzitutto il lato “sporco” del film, a livello sia narrativo che estetico: dunque, frequenti concessioni, più o meno esplicite, all’aspetto erotico e morboso (un erotismo sempre malsano e deviato), e una fotografia sanguigna (diretta da Giuseppe Maio) che dà il meglio all’interno del “Tulpa”, prediligendo un colore rosso saturo (corrispettivo del sangue e della perversione), ma si rivela sempre curata anche negli esterni giornalieri e negli altrettanto nitidi interni ed esterni notturni (quando si svolgono i delitti). L’altro aspetto, che Zampaglione aveva dimostrato di amare già in Shadow, è la sottile linea di separazione fra il reale e il soprannaturale: molti classici thriller nostrani erano improntati a tale ambivalenza (La notte che Evelyn uscì dalla tomba, Tutti i colori del buio, solo per citare due esempi illustri), con un effetto perturbante che Tulpa riesce a riprodurre alla perfezione. L’oscuro night-club frequentato dalla protagonista prende il nome infatti da una dottrina esoterica orientale che impregna tutto l’ambiente (scenografie, musica, fotografia) e che sarà spesso al centro della vicenda, facendola oscillare continuamente fra la realtà e l’irrazionale.

Tulpa può vantare inoltre interpreti di gran classe, perfettamente calati nelle rispettive parti. La splendida e sensuale Claudia Gerini è la protagonista incontrastata del film, in grado di trasformarsi senza difficoltà da glaciale donna manager a perversa “creatura della notte”; Michele Placido è grande come sempre nel ruolo del severo direttore Roccaforte, attratto da Lisa Boeri e per questo funzionale alla vicenda; il film, data la sua natura, pullula inoltre di belle donne (Michela Cescon, Crisula Stafida, Federica Vincenti, e molte altre ancora), efficaci nei loro ruoli; da segnalare, infine, la presenza inquietante dello svizzero Nuot Arquint (il torturatore di Shadow), qui nei panni dell’ambiguo direttore del “Tulpa”.

La colonna sonora comprende vari brani scritti da Francesco Zampaglione (fratello del regista) e Angelo Moscianese, la coppia vincente che aveva già composto le musiche di Shadow. Memorabile la title-track dal gusto psichedelico decisamente anni Settanta, mentre scorrono le inquadrature grandangolari di palazzi e cortili assolati. Le altre melodie spaziano fra brani tesi e martellanti durante le sequenze di suspense e melodie dal sapore orientale che sentiamo all’interno del “Tulpa”.

Davide Comotti